Con la proclamazione dei "municipi zapatisti''
MARCOS SVOLTA A DESTRA
Il "subcomandante'' getta il fucile alle ortiche per il riformismo
PRC E DISOBBEDIENTI APPLAUDONO ED ESPORTANO IN ITALIA I "MUNICIPI ZAPATISTI''

Tra l'8 e il 9 di agosto di quest'anno, in occasione dell'anniversario dalla nascita di Emiliano Zapata, ad Oventic, negli Altopiani del Chiapas, migliaia di persone hanno assistito alle assemblee di proclamazione della nascita dei "Caracoles'' (chiocciole nella lingua degli indios), ossia dei cosiddetti "municipi zapatisti'' definiti anche "Giunte del buone governo''. Con lunghi comunicati nei giorni precedenti è lo stesso Marcos a spiegare che la nascita dei "Caracoles'' segna la via del definitivo abbandono dello scontro con il potere, la fine della lotta armata per l'autonomia e l'indipendenza e che il cambiamento del Chiapas passa "attraverso la moltiplicazione dei municipi autonomi e delle loro forme di autogoverno''.
Forse che questa svolta strategica coincide con una qualche vittoria politica del popolo, con un qualche miglioramento sostanziale delle condizioni di vita degli indios del Chiapas? Nient'affatto. Nel marzo del 2001 la grande e pacifica marcia zapatista era giunta a Città del Messico per rivendicare dal neoeletto presidente Vincent Fox i diritti dei popoli indios e l'autonomia economica, politica, culturale e amministrativa del Chiapas. Marcos in quei giorni, ancor prima della fine delle trattative con il governo messicano, affermava: "quel che è certo è che noi vogliamo sbarazzarci al più presto del passamontagna e delle armi. Perché vogliamo fare politica a volto scoperto'' Ma aggiungeva "non toglieremo il passamontagna in cambio di semplici promesse. I diritti degli indigeni devono essere riconosciuti. Se il potere non lo farà, non soltanto riprenderemo le armi, ma lo faranno anche altri movimenti ben più radicali, intolleranti, disperati e violenti di noi''.
Come andarono le trattative? L'intero popolo chiapagheno, che aveva dato generosamente tutto il suo appoggio alla marcia zapatista, fu ingannato e beffato dalle promesse del presidente Fox poiché il parlamento messicano varò subito una legge che non riconosceva né i diritti costituzionali degli indios né piena autonomia al Chiapas, un ricorso degli zapatisti alla Suprema Corte di giustizia messicana fallì miseramente.
Nonostante l'inequivocabile dichiarazione di guerra del governo messicano e nonostante ormai siano passati dieci anni dalla fine della rivolta armata zapatista e gli accordi di S.Andrés del '96 siano rimasti sulla carta, l'esercito zapatista di liberazione nazionale (Ezln) non riprese le armi ma scelse per oltre un anno e mezzo la via del silenzio.
La verità è che l'ex-guevarista Marcos aveva fretta di posare le armi ugualmente, intendeva fare la pace ugualmente con il governo come testimonia la recente svolta a destra e il suo capitolare nel riformismo più imbelle: "Il problema - scriveva già nel marzo del 2001 - non è ottenere il potere, sappiamo che le stanze del potere sono ormai vuote. E che la lotta per il potere è una lotta per la menzogna. Quello che dobbiamo fare nell'epoca della globalizzazione è costruire un nuovo rapporto tra il potere e i cittadini. Se la pace sarà firmata, l'Ezln cesserà di fare politica come l'ha fatta finora. La farà in un altro modo, senza passamontagna, senza armi ma al servizio delle stesse idee''.
D'altra parte se i diritti degli indios saranno finalmente riconosciuti "si capirà allora che la principale arma dell'Ezln non è stato il fucile ma la lingua, la parola. Nell'Ezln - concludeva - è arrivato il momento di superare lo zapatismo. La E di esercito si è rimpicciolita. Non è solo meno faticoso muoversi senza armi, per noi è anche un sollievo''.
è quello che sta facendo in questi ultimi mesi, disarmare il popolo oppresso del Chiapas con le parole d'ordine "via le armi'' e "superare lo zapatismo'', che richiama la rivolta armata dei contadini contro i latifondisti guidata da Emiliano Zapata a inizio del secolo scorso, "largo ai municipi autonomi'', tipo quelli già esistenti in Equador e Bolivia, Stati in cui come nel Messico il potere è nelle mani della classe dominante e sfruttatrice borghese che certo non ha disarmato il suo esercito. Forse Marcos questo piccolo particolare lo ha dimenticato, visto che sostiene che "il mondo e la società messicana nel suo concreto è composta da diversi. Tra questi diversi bisogna costruire una relazione sulla base della tolleranza e del rispetto'' e che questa sarebbe la soluzione alternativa alla lotta armata.
Ogni ulteriore commento è superfluo poiché a quasi tre anni dalla marcia zapatista i diritti degli indios nei fatti sono ancora calpestati, le chiacchiere di Marcos non hanno cambiato la situazione, e chi ha un minimo di conoscenza della storia sa bene che gettare i fucili e smantellare l'esercito di liberazione nazionale significa soltanto regalare il Chiapas alla borghesia e all'imperialismo che intendono mettere le mani sulle sue ingenti risorse petrolifere e gasmetanifere. Per questi ultimi un Marcos riformista "armato'' di lingua e parole è una manna dal cielo, un vero sollievo, anche Fox lo sa bene e spinge per la definitiva capitolazione e scioglimento del Ezln.
Per altro le "giunte del buon governo'' sono anche un modo per riassorbire ed istituzionalizzare quelle assemblee generali dei villaggi indigeni, basate sulla democrazia diretta, che fanno parte da millenni della cultura Maya come "residuo'' del comunismo primitivo.
Non c'è quindi da stupirsi se alla proclamazione della svolta di Marcos hanno partecipato disobbedienti e dirigenti del PRC, amministratori locali che intrecciano gemellaggi con i "municipi autonomi'' della Selva Locandona oltre a molti degli esponenti dell'ultimo vertice di Porto Alegre, quello che ha imbracato il movimento no-global nelle pastoie del riformismo e nell'illusione del cosiddetto "bilancio partecipato'' e della "democrazia partecipativa''.
Marcos è un ribelle piccolo borghese che è rientrato nei ranghi della borghesia e per questo ha il sostegno della socialdemocrazia al governo in Europa e dei "rivoluzionari'' parolai come quelli del vertice di Rifondazione.
Pierluigi Sullo, direttore del settimanale "Cantieri Sociali - Carta'' -, già dirigente del quotidiano trotzkista "il manifesto'', definisce il coordinamento dei municipi autonomi "la forma della democrazia ai tempi con la globalizzazione liberista''. Certi gruppi trotzkisti e "ultrasinistri'' e anarchici vorrebbero esportare in Italia l'esperienza di Porto Alegre (dovrebbe nascere a novembre una Rete del Nuovo Municipio) per recuperare i voti degli astensionisti e coinvolgere le masse nelle istituzioni borghesi in camicia nera.
Marcos propone la sua "nuova'' linea politica anche per le città del Messico. I marxisti-leninisti viceversa affermano da sempre che: non è possibile combattere la "globalizzazione'' senza combattere con tutti i mezzi l'imperialismo, a cominciare dall'imperialismo di casa propria; le istituzioni borghesi non distruggono, anzi difendono e perpetuano il capitalismo, lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo e la proprietà privata dei mezzi di produzione; "il potere politico nasce dalla canna del fucile''. Sul piano strategico non si può quindi ignorare la questione del potere politico, che è la madre di tutte le questioni. Anche quando la lotta di classe non ha ancora raggiunto lo stadio della rivoluzione socialista, non esiste ancora un Partito d'avanguardia realmente comunista e rivoluzionario e non si pone nell'immediato la conquista del potere politico da parte del proletariato.