Nella sua opera, Il Capitale, Marx denuncia la natura dello sfruttamento e del lavoro salariato
Marx: Il Capitale è un lupo mannaro di pluslavoro operaio
Ma il capitale ha un unico istinto vitale, l'istinto di aumentare il proprio valore cioè di valorizzarsi, di creare plusvalore, di assorbire con la sua parte costante, che sono i mezzi di produzione, la massa di pluslavoro più grande possibile. Il capitale è lavoro morto, che si ravviva, come un vampiro, soltanto succhiando lavoro vivo e più vive quanto più ne succhia. Il tempo durante il quale l'operaio lavora è il tempo durante il quale il capitalista consuma la forza-lavoro che ha comprato. Se l'operaio consuma per se stesso il proprio tempo disponibile, egli deruba il capitalista. (...)

Il capitale costante, i mezzi di produzione, considerati dal punto di vista del processo di valorizzazione, esistono solo allo scopo di assorbir lavoro e, con ogni goccia di lavoro, una quantità proporzionale di pluslavoro. Intanto che essi non fanno questo, la loro semplice esistenza costituisce per il capitalista una perdita negativa; poiché, durante il tempo nel quale rimangono inoperosi, essi rappresentano un'inutile anticipazione di capitale; e questa perdita diventa positiva appena l'interruzione nel loro impiego rende necessarie spese supplementari per il ricominciamento del lavoro. Il prolungamento della giornata lavorativa va al di là dei limiti della giornata naturale fino entro la notte opera soltanto come palliativo, calma solo approssimativamente la sete da vampiro che il capitale ha del vivo sangue del lavoro. Quindi, l'istinto immanente della produzione capitalistica è di appropriarsi lavoro durante tutte le ventiquattro ore del giorno. Ma poiché questo è impossibile fisicamente, quando vengano assorbite continuamente, giorno e notte, le medesime forze-lavoro, allora, per superare l'ostacolo fisico, c'è bisogno di avvicendare le forze-lavoro divorate durante il giorno e la notte. Questo avvicendamento ammette vari metodi; per esempio può esser regolato in modo che una parte del personale operaio provveda per una settimana al servizio diurno, per la seguente al servizio notturno ecc. Si sa che questo sistema dei turni, questa rotazione, predominava nel periodo giovanile, sano dell'industria cotoniera inglese, e delle altre; che, fra l'altro, fiorisce presentemente nelle filande di cotone del governatorato di Mosca. Questo processo di produzione di ventiquattro ore continue esiste ancor oggi come sistema in molti rami dell'industria della Gran Bretagna rimasti finora "liberi", fra gli altri negli alti forni, nelle ferriere, nei laminatoi e in altre officine metallurgiche dell'Inghilterra, del Galles e della Scozia. Il processo lavorativo abbraccia qui oltre le ventiquattro ore dei sei giorni di lavoro, anche, in gran parte, le ventiquattro ore della domenica. (...)

"Che cos'è una giornata lavorativa?" Qual è la quantità del tempo durante il quale il capitale può consumare la forza-lavoro della quale esso paga il valore d'una giornata? Fino a che punto la giornata lavorativa può essere prolungata al di là del tempo di lavoro necessario per la riproduzione della forza-lavoro stessa? S'è visto che a queste domande il capitale risponde: la giornata lavorativa conta ventiquattro ore complete al giorno, detratte le poche ore di riposo senza le quali la forza-lavoro ricusa assolutamente di rinnovare il suo servizio. In primo luogo è evidente che l'operaio, durante tutto il tempo della sua vita, non è altro che forza-lavoro, e perciò, che tutto il suo tempo disponibile è, per natura e.per diritto, tempo di lavoro, e dunque appartiene alla autovalorizzazione del capitale. Tempo per un'educazione da esseri umani, per lo sviluppo intellettuale, per l'adempimento di funzioni sociali, per rapporti socievoli, per il libero giuoco delle energie vitali fisiche e mentali, perfino il tempo festivo domenicale - e sia pure nella terra dei sabbatari -: fronzoli puri e semplici! Ma il capitale, nel suo smisurato e cieco impulso, nella sua voracità da lupo mannaro di pluslavoro, scavalca non soltanto i limiti massimi morali della giornata lavorativa, ma anche quelli puramente fisici. Usurpa il tempo necessario per la crescita, lo sviluppo e la sana conservazione del corpo. Ruba il tempo che è indispensabile per consumare aria libera e luce solare. Lesina sul tempo dei pasti, e lo incorpora dove è possibile nel processo produttivo stesso, cosicché al lavoratore vien dato il cibo come a un puro e semplice mezzo di produzione, come si dà carbone alla caldaia a vapore, come si dà sego e olio alle macchine. Riduce il sonno sano che serve a raccogliere, rinnovare, rinfrescare le energie vitali, a tante ore di torpore quante ne rende indispensabili il ravvivamento di un organismo assolutamente esaurito. Qui non è la normale conservazione della forza-lavoro a determinare il limite della giornata lavorativa, ma, viceversa, è il massimo possibile dispendio giornaliero di forza-lavoro, per quanto morbosamente coatto e penoso, a determinare il limite del tempo di riposo dell'operaio. Il capitale non si preoccupa della durata della vita della forza-lavoro. Quel che gli interessa è unicamente e soltanto il massimo di forza-lavoro che può essere resa liquida in una giornata lavorativa; e ottiene questo scopo abbreviando la durata della forza-lavoro, come un agricoltore avido ottiene aumentati proventi dal suolo rapinandone la fertilità.
Con il prolungamento della giornata lavorativa, la produzione capitalistica, che è essenzialmente produzione di plusvalore, assorbimento di pluslavoro, non produce dunque soltanto il rattrappimento della forza-lavoro umana, che vien derubata delle sue condizioni normali di sviluppo e di attuazione, morali e fisiche; ma produce anche l'esaurimento e la estinzione precoce della forza-lavoro stessa. Essa prolunga il tempo di produzione dell'operaio entro un termine dato, mediante l'accorciamento del tempo che questi ha da vivere. (...)

Dobbiamo confessare che il nostro operaio esce dal processo produttivo differente da quando vi era entrato. Sul mercato si era presentato come proprietario della merce "forza-lavoro" di fronte ad altri proprietari di merci, proprietario di merce di fronte a proprietario di merce. Il contratto per mezzo del quale aveva venduto al capitalista la propria forza-lavoro dimostrava, per così dire, nero sul bianco, che egli disponeva liberamente di se stesso. Concluso l'affare si scopre che "egli non era un libero agente", che il tempo per il quale egli può liberamente vendere la propria forza-lavoro, è il tempo per il quale egli è costretto a venderla, che in realtà il suo vampiro non lascia la presa "finché c'è un muscolo, un tendine, una goccia di sangue da sfruttare". A "protezione" contro il serpente dei loro tormenti gli operai debbono assembrare le loro teste e ottenere a viva forza, come classe, una legge dello Stato, una barriera sociale potentissima, che impedisca a loro stessi di vender sè e la loro schiatta alla morte e alla schiavitù, per mezzo di un volontario contratto con il capitale. Al pomposo catalogo dei "diritti inalienabili dell'uomo" subentra la modesta Magna Charta di una giornata lavorativa limitata dalla legge, la quale "chiarisce finalmente quando finisce il tempo venduto dall'operaio e quando comincia il tempo che appartiene all'operaio stesso". Quantum mutatus ab illo! (Quanto diverso da quello (che è stato), ndr)

(Marx, Il Capitale, Libro I, Sezione III - La produzione del plusvalore assoluto, Capitolo 8)


In fabbrica il Capitale impone la sua autocrazia sugli operai

La subordinazione tecnica dell'operaio all'andamento uniforme del mezzo di lavoro e la peculiare composizione del corpo lavorativo, fatto di individui d'ambo i sessi e di diversissimi gradi d'età, creano una disciplina da caserma che si perfeziona e diviene un regime di fabbrica completo e porta al suo pieno sviluppo il lavoro di sorveglianza già prima accennato, quindi insieme ad esso la divisione degli operai in operai manovali e sorveglianti del lavoro, in soldati semplici dell'industria e in sottufficiali dell'industria. "La difficoltà principale nella fabbrica automatica... consisteva... nella disciplina necessaria a far rinunciare gli uomini alle loro abitudini irregolari di lavoro e identificarli con la regolarità immutabile del grande automa. Ma inventare e applicare con successo un codice disciplinare rispondente alle esigenze e alla velocità del sistema automatico costituiva un'impresa degna di Ercole; e questa è stata la nobile opera di Arkwright! Perfino oggi che il sistema è organizzato in tutta la sua perfezione, è cosa quasi impossibile trovare fra gli operai in età virile... utili ausiliari del sistema automatico", Il codice della fabbrica in cui il capitale formula come privato legislatore e arbitrariamente la sua autocrazia sugli operai, prescindendo da quella divisione dei poteri tanto cara alla borghesia e da quel sistema rappresentativo che le è ancor più caro, non è che la caricatura capitalistica della regolazione sociale del processo lavorativo; regolazione che diventa necessaria con la cooperazione su grande scala e con l'uso dei mezzi di lavoro comuni, specialmente delle macchine. Alla frusta del sorvegliante di schiavi subentra il registro delle punizioni del sorvegliante. Tutte le punizioni si risolvono naturalmente in multe e in ritenute sul salario, e l'acume legislativo di questi Licurghi di fabbrica rende loro l'infrazione delle proprie leggi anche, se mai possibile, più redditizia della loro osservanza.
Il nostro non è che un semplice accenno alle condizioni materiali in cui viene compiuto il lavoro di fabbrica. Tutti i sensi sono lesi egualmente dalla temperatura aumentata artificiosamente, dall'atmosfera impregnata delle scorie delle materie prime, dal chiasso assordante, ecc., astrazion fatta dal pericolo di morte che si cela nell'ammucchiamento di macchine una vicinissima all'altra, che produce, con la regolarità del susseguirsi delle stagioni, i propri bollettini industriali di battaglia. L'economizzazione dei mezzi sociali di produzione, che giunge a maturazione come in una serra soltanto nel sistema di fabbrica, diviene allo stesso tempo, nelle mani del capitale, depredazione sistematica delle condizioni di vita dell'operaio durante il lavoro, dello spazio, dell'aria, della luce e dei mezzi personali di difesa contro le circostanze implicanti il pericolo di morte o antiigieniche del processo di produzione, per non parlare dei provvedimenti miranti alla comodità dell'operaio. Ha torto il Fourier a chiamare le fabbriche "ergastoli mitigati"?

(Karl Marx, Il Capitale, Libro primo, Il processo di produzione del capitale, 2, Quarta sezione, Capitolo XIII, Macchine e grande industria, pag. 130-134)