Secondo un rapporto di Confindustria e Srm
Il Mezzogiorno ha perso tra il 2007 e il 2011 334mila posti
16mila le imprese chiuse, persi 24 miliardi di Pil. Nel 2010 100mila persone sono emigrate

I dati del "Chek-up dell'economia del Mezzogiorno" pubblicato a dicembre 2012 da Confindustria e Società Ricerca Mezzogiorno (SRM) mostrano un'economia meridionale che cola a picco, affondata dalla crisi del capitalismo internazionale e dai provvedimenti antimeridionali dei governi Berlusconi.

La disoccupazione, emigrazione e povertà assoluta
In cinque anni il numero di posti di lavoro si è ridotto di 334mila unità. Tra le regioni meridionali, la Campania ha subito la perdita maggiore (-147mila) posti di lavoro, seguita dalla Sicilia (-81mila), Calabria (-45mila) e Puglia (-35mila).
Un'emorragia massiccia che porta il tasso medio di disoccupazione nel primo semestre 2012 al 17,4%, in forte aumento rispetto al 2011 e di diversi punti superiore al dato del centro-nord. Si tratta di dati tuttavia parziali, la disoccupazione effettiva attuale è di gran lunga maggiore, in quanto nel conteggio ufficiale non rientrano i non iscritti ai centri per l'impiego, un numero enorme di disoccupati effettivi che se conteggiati farebbero lievitare il tasso di almeno dieci punti percentuali.
La Calabria risulta la regione con il più alto tasso di disoccupazione, 19,7%, seguita da Sicilia, 19,4% e Campania, 19%.
La crisi del capitalismo ha accentuato il dualismo tra Sud e Centro-Nord, diventato un baratro se si considerano alcuni fondamentali indicatori, come il tasso di disoccupazione femminile e giovanile, la prima categoria che ha iniziato ad essere espulsa dal lavoro immediatamente in modo massiccio sin dall'inizio della crisi, la seconda categoria che trova enormi difficoltà a trovare un lavoro persino precario e sottopagato. Nei primi due trimestri del 2012 nel Mezzogiorno, il tasso di disoccupazione femminile è al 19,3%, (era di 15,9 nel 2011) di oltre 7 punti percentuali superiore rispetto al dato medio italiano; quello giovanile è del 47,4%, (era di 40,4 nel 2011) oltre 12 punti al di sopra della media italiana (34,9%).
Dall'indagine emerge che l'economia meridionale si caratterizza sempre più per un'elevata presenza del lavoro nero che, inoltre, ha iniziato a risalire proprio dopo l'inizio della crisi, nel 2009, dopo aver conosciuto un calo limitato ma continuo tra il 2005 ed il 2008.
Tantissimi i lavoratori che hanno deciso di abbandonare il Sud per cercare lavoro al centro-nord o all'estero. Nel solo 2010 quest'emorragia ha coinvolto ben 110mila persone.
I trasferimenti che hanno origine nel Mezzogiorno riguardano per una parte significativa, le persone più formate: infatti, sono più di 18 mila i laureati che provengono da una regione del Mezzogiorno e che decidono di trasferirsi nelle regioni del Centro-Nord. Ad essi si aggiungono altre 81 mila persone con altro titolo di studio: in totale, sono quasi 110 mila i meridionali emigrati verso un'altra zona del paese o verso l'estero. In verità nel conteggio rientrano soltanto coloro che hanno effettuato un cambio di residenza, eventualità che riguarda non la totalità dei meridionali che cambia città per trovare lavoro.
A completare il quadro disastroso si aggiungono i dati della povertà assoluta (riguardante chi non riesce a sostenere la spesa mensile minima necessaria per acquisire il paniere di beni e servizi considerati essenziali), dilagante. Essa nel 2007 infatti colpiva il 5,8% del totale delle famiglie risiedenti nel Mezzogiorno. Nel 2011 la percentuale sale all'8%, con un valore più che doppio rispetto a quello registrato nel Nord.

Le imprese
Tra il 2007 e il 2011, il PIL, Prodotto Interno Lordo, del Mezzogiorno ha subito una contrazione di 24 miliardi di euro (-6,8%) e più di 16mila sono state le imprese che hanno cessato l'attività pari a quasi l'1% del totale delle imprese del Sud. Questo il preoccupante dato riguardante il tessuto produttivo. Diverse le cause del crollo. Anzitutto la particolare debolezza delle imprese del Mezzogiorno, in prevalenza di piccola dimensione, (da 1 a 9 addetti). Nel Mezzogiorno ben l'88,6% delle imprese è di piccole dimensioni, rispetto al 79,7% del Centro-Nord.
Particolarmente sottodimensionate sono le imprese in Calabria (93,2% nella classe 1-9) ed in Sicilia (91,3%): in entrambe le regioni sono sostanzialmente assenti le imprese con oltre 250 addetti e in progressivo calo, dopo la chiusura di grandi imprese come la Fiat di Termini Imerese, Palermo.
La crisi ha particolarmente colpito le piccole imprese nel Sud, che già strutturalmente più deboli hanno visto peggiorare le condizioni di accesso al credito, a causa di un aumento delle garanzie richieste, dell'aumento dei costi del denaro a causa dell'imposizione di normative bancarie internazionali più selettive.
Anche lo Stato ha fatto la sua parte nell'accentuare il crollo finanziario del Sud.
I trasferimenti nelle regioni del Sud si sono ridotti, dal 2007 al 2011, di circa 7 miliardi di euro, passando dai 22 miliardi del 2007 a poco più di 15 nel 2011.
La graduale contrazione dei trasferimenti statali ed i vincoli sempre più stringenti imposti dal "Patto di Stabilità" portano ad una riduzione delle spese delle Amministrazioni Pubbliche che, in taluni casi, risultano bloccate nell'erogazione di beni e servizi anche a causa del consistente indebitamento che fa del Mezzogiorno la macro-area più indebitata d'Italia.

Piani straordinari e finanziamenti per il Mezzogiorno
I dati parlano chiaro. È evidente che i provvedimenti antimeridionali del neoduce Berlusconi e del tecnocrate borghese Monti hanno scaricato in Italia la maggior parte del peso della crisi sul tessuto produttivo più debole quello meridionale. Ne pagano le conseguenze le masse popolari con più disoccupati e licenziati, più poveri, più precarietà e lavoro nero, più emigrazione e meno servizi.
Per fronteggiare l'enorme disastro dell'economia meridionale occorre invertire decisamente la tendenza dei governi a scaricare sul Sud il peso della crisi, tornare a far crescere gli investimenti pubblici in Italia e in tutto il Mezzogiorno per creare in questa zona del paese una struttura economica simile a quella che possiede il Centro-Nord. Ciò è possibile solo attraverso piani straordinari e la destinazione di ingenti finanziamenti pubblici per lo sviluppo industriale, tecnologico e infrastrutturale, per il rilancio dell'agricoltura e il turismo, per il risanamento del degrado ambientale, rurale e urbano. Ciò deve essere fatto immediatamente, anche se siamo convinti che solo nel socialismo, dopo aver cambiato davvero l'Italia sarà possibile cancellare il divario economico, infrastrutturale e sociale tra le aree del paese.

17 aprile 2013