Paolo Mieli: uno storico borghese da strapazzo

L'odio anticomunista che Paolo Mieli nutre verso il PMLI è pari all'amore che nutre per il capitale, il "libero mercato'', la seconda repubblica e il revisionismo storico con la conseguente riabilitazione del fascismo e di Mussolini. Eppure ci fu un tempo che Mieli gridava "morte al capitale'' nientemeno che dalle file di un'organizzazione trotzkista e operaista come "Potere operaio'' di Franco Piperno e Oreste Scalzone.
Il "pentimento'' è comunque arrivato presto. Sarà perché Mieli è uno che "calcola molto'', come ha confessato in un'intervista fresca fresca a "Libero'' del 26 ottobre e facendo due conti gli deve esser assai meritato passare da nemico giurato a servo fedele della borghesia, che ora se lo coccola come un figliol prodigo.
Nato a Milano il 25 febbraio del 1949. Il padre, Renato, ebreo italiano, è un ex direttore dell'edizione milanese dell'"Unità'' ed ex dirigente del PCI espulso dal partito per aver appoggiato la controrivoluzione ungherese del '56. Paolo Mieli inizia comunque la sua carriera politica nella Fgci dove rimane fino al 1967 (uscendone da destra) per poi passare a militare nell'organizzazione romana di "Potere operaio''.
Nel frattempo, non ancora diciottenne, collabora come giornalista a "l'Espresso'' dove rimarrà fino al 1985, allorché Scalfari preferisce nominare direttore del settimanale di via Po, in sostituzione di Livio Zanetti, il più politicamente affine Giovanni Valentini piuttosto che un Mieli considerato un "filosocialista''. Su "l'Espresso'' Mieli tiene la rubrica "Diario extraparlamentare'' continuando a tessere i rapporti con le organizzazioni trotzkiste e operaiste del tempo nonostante fosse cessata la sua militanza.
Decisivo il suo incontro con il capostipite del revisionismo storico italiano Renzo De Felice, del quale sarà allievo e collaboratore per ben 8 anni. Con lui infatti si laurea in storia moderna con una tesi su Bottai e il "fascismo di sinistra'' degli anni '30, per divenire poi suo assistente universitario alla cattedra di Storia dei partiti politici per 5 anni. A De Felice deve certamente il suo ricorrente elogio del "dubbio'', a giustificare lo sforzo di riabilitare la dittatura fascista di Mussolini, e persino il Medioevo, il regno delle due Sicilie e i Borboni in chiave antirisorgimentale. Il che lo qualifica come uno storico borghese da strapazzo che mira a mistificare e ribaltare la verità storica.
Nel '75 è costretto a scegliere fra carriera universitaria e carriera giornalistica e sceglie la seconda. Inizia la sua scalata che lo porterà nel marzo 2003 a sfiorare la poltrona della presidenza Rai. E inizia anche la sua sostanziale conversione al liberalismo borghese sia pure nella sua variante riformista, di cui il vate è il suo eterno amico Ernesto Galli della Loggia col quale più tardi (siamo nel 1983) darà vita al fallimentare mensile liberalsocialista "Pagina''.
Uscito dall'"Espresso'', Mieli approda a "La Stampa'' finché, nel maggio 1990, ne viene nominato direttore. L'esperienza alla direzione del giornale di Agnelli dura però solo due anni, perché Cesare Romiti, all'epoca amministratore delegato della Fiat, lo chiama alla direzione del principale quotidiano della borghesia italiana, il "Corriere della Sera''. è il 1992 e siamo in piena tangentopoli, ma Mieli arriva al Corsera persino con gli apprezzamenti di Craxi la cui frequentazione risale a molti anni prima, quando nel 1978 volò in Tunisia per raccogliere il saggio su Proudhon che il segretario del PSI scrisse strumentalmente per attaccare Marx ed Engels e l'intera storia dei partiti che da loro prendono le mosse.
Ci fu un momento che Craxi l'avrebbe voluto anche direttore del suo Tg2, ma Mieli in quel caso "calcolò'' che non gli conveniva. Egli infatti si vanta di stare "al di sopra'' delle parti.
In realtà la sua è tutt'altro che una politica neutrale. E', come dichiara, al 99 per cento col "centro-sinistra'', ma per sospingerlo a identificarsi nella politica della destra. Alla direzione del "Corriere della sera'' si schiera apertamente per il maggioritario, l'uninominale e per la seconda repubblica della quale tesse gli elogi. "La mia sinistra ideale è quella inglese'', dichiara a "Libero''. Ossia una "sinistra'' che sappia "fare i conti con se stessa''. Egli insomma vuole che i DS si schierino fino in fondo, semmai ce ne fosse bisogno, col capitalismo e il regime neofascista.
Analogo atteggiamento "cerchiobottista'' tiene con la religione. Si dichiara "laico'' eppure non perde occasione per tessere gli elogi di Wojtyla: "Io mi fido di questo papa, col quale ho un rapporto personale. Mi ha toccato le corde intime e come uomo di comunicazione ho detto, da laico: seguitelo (nel digiuno, ndr), forse sarà inutile, ma lo merita'' ("Libero'', idem). E nel 2001, in un'intervista all'"Avvenire'' ha preso persino le difese della beatificazione di Pio IX.
Nobiltà e clero, insomma, sono la sua passione. Nel '96 sposa Barbara Parodi Delfino, giornalista di "Studio aperto'' nonché rampolla dei nobili visconti di Modrone. Il ricevimento si tiene alla villa dei Parodi a Porto Ercole.
Lasciata la direzione del Corriere nel '97, prosegue però il suo sodalizio con Romiti, Mieli diviene direttore editoriale della RCS Rizzoli e continua a tenere sul quotidiano milanese la rubrica "Opinioni'' dalla quale ha sferrato l'attacco contro il PMLI e si è ridicolizzato come storico deformando il nome del Partito. Eppure è da tempo che Mieli ci conosce. Almeno dal lontano 1972 quando, sulla rivista del PSI "Mondo operaio'' del dicembre 1972, nel suo lungo servizio dal titolo "Un `censimento' della contestazione'', cita proprio "Il Bolscevico''. E che dire del comunicato stampa del 10 marzo 2003 in cui il PMLI condannava "duramente le provocatorie e intollerabili scritte antisemite'' contro Mieli, del quale sembra non abbia alcun ricordo?
"Guardi, - dichiara ancora a `Libero' - il mio maestro Renzo De Felice mi ha insegnato che il senso dell'onore, il fair play è l'essenza della polemica: l'idea di non riconoscere all'avversario le sue ragioni è la cosa più arrogante'. Peccato che questa regola Mieli la riservi solo ai fascisti e ai borghesi. Verso il PMLI ovviamente usa lo stesso trattamento che la borghesia ha sempre riservato ai suoi nemici più accaniti e indomiti.