Dopo che "La Repubblica" aveva resa pubblica l'iniziativa del sottosegretario alla presidenza
Monti blocca Catricalà che voleva porre la giustizia sotto il controllo dei politici
Il premier tuttavia non licenzia il suo collaboratore più stretto amico di Berlusconi

Il 27 maggio il quotidiano "La Repubblica" dava notizia di un progetto di legge governativo di "riforma" del Consiglio superiore della magistratura (Csm), l'organo di autogoverno dei magistrati, che se attuato sposterebbe dai giudici al parlamento (ovvero ai partiti della maggioranza di governo), il potere di giudicare e infliggere sanzioni disciplinari ai magistrati che sbagliano. Una cosa analoga è prevista anche nei confronti del Consiglio di Stato, della Corte dei Conti e dei giudici tributari.
Il progetto, firmato dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Antonio Catricalà, è contenuto in quattro articoli infilati nel disegno di legge governativo sul "merito, sulla trasparenza e sulla responsabilità", col solito sistema della legge "cavallo di Troia" massiciamente usato dai governi Berlusconi. Il meccanismo è semplice e consiste, per quanto riguarda i giudici ordinari, nel modificare la composizione della sezione disciplinare del Csm, che attualmente è composta da quattro magistrati e due membri laici nominati dal parlamento, rendendola paritetica, cioè tre membri togati e tre laici. Analogamente viene disposto per le sezioni disciplinari del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti: un solo magistrato è previsto infatti nelle sezioni disciplinari dei giudici amministrativi e contabili, mentre per i giudici tributari si delega a una decisione del governo, con la raccomandazione di garantire una composizione "almeno paritaria" della sezione: come a dire, meglio se a prevalenza di membri di nomina parlamentare.
Secondo la ricostruzione de "La Repubblica", il progetto era stato inviato il 2 maggio da Catricalà alla Corte dei Conti e al Consiglio di Stato (ma non al Csm, che non ne sapeva nulla), per sollecitare "un parere urgente" da ottenere "se possibile prima che il Consiglio dei ministri approvi lo schema del provvedimento" (il ddl sul "merito scolastico", ndr). Dopo qualche giorno il documento era tornato indietro con la richiesta di chiarimenti, parendo evidentemente strano che in un disegno di legge ordinaria riguardante tutt'altra materia si tentasse di far passare delle modifiche di tal peso ad organi istituzionali e che avrebbero richiesto quantomeno una procedura di legge costituzionale. Ma il sottosegretario non si scoraggiava, e il 14 maggio mandava un altro plico, con una lettera in cui spiegava seraficamente che "il fine che il ddl vuole perseguire è di assicurare terzietà agli organi disciplinari per evitare la critica, fin troppo estesa nella società civile, di una giustizia domestica e dare trasparenza e certezza di imparzialità all'azione disciplinare".
Una motivazione pretestuosa che sembra prelevata di peso dall'armamentario propagandistico del neoduce Berlusconi sulla "faziosità" dei magistrati e sulla necessità di mettere loro la mordacchia perché così chiede a gran voce anche "la gente". E del resto lo stesso progetto dell'ex presidente dell'Antitrust, amico stretto di Berlusconi, sembra scopiazzato direttamente dal progetto di controriforma della giustizia firmato dall'ex Guardasigilli Angelino Alfano approvato dal Consiglio dei ministri il 10 marzo 2011, e che prevedeva appunto di sottrarre il potere disciplinare al Csm e affidarlo ad un'Alta corte composta per metà dai magistrati e per metà da membri eletti dalle Camere. Con l'aggravante che il progetto di Alfano era un disegno di legge costituzionale, mentre Catricalà voleva infilarlo surrettiziamente in un ddl ordinario.
Non appena la notizia è stata pubblicata dal quotidiano diretto da Ezio Mauro, che evidentemente l'aveva ricevuta da fonte diretta, tanto da essere in possesso delle copie dei documenti autografi di Catricalà, è intervenuto il premier Monti in persona per sconfessare il suo sottosegretario assicurando che quel progetto era stato solo una iniziativa personale "inopportuna", tanto che aveva ricevuto anche il parere negativo del ministro della Giustizia, "ritenendo impossibile una simile riforma attraverso legge ordinaria anziché costituzionale". "Il presidente del Consiglio - dichiarava infatti Monti in una nota - aveva già da tempo ritenuto tale iniziativa inopportuna e non percorribile, escludendola conseguentemente dai provvedimenti all'esame del Consiglio dei ministri".
Ma se "già da tempo" Monti aveva stoppato l'iniziativa di Catricalà, perché costui ancora fino a non certo molti giorni fa, il 14 maggio, sollecitava il parere urgente della Corte dei Conti e del Consiglio di Stato sul suo progetto in previsione di presentarlo alla riunione del Consiglio dei ministri? Possibile che si ostinasse ad andare avanti da solo nonostante fosse già stato bocciato dal premier? E perché Monti si è deciso a rivelare questo retroscena solo dopo che la notizia dell'esistenza di questo progetto era comparsa sulla stampa? Dubbi del tutto legittimi, se anche il leader dell'IDV, Di Pietro, ha fatto notare come "la presidenza si è decisa a smentire molte ore dopo l'anticipazione. Meglio tardi che mai. Tuttavia il solo fatto che un progetto di tale enormità sia stato preso in considerazione dal governo, salvo poi essere giudicato inopportuno, è per me molto inquietante".
Comunque sia, se quanto detto da Monti risponde a verità, logica vorrebbe che avesse richiesto immediatamente le dimissioni del sottosegretario, avendo egli continuato a portare avanti a sua insaputa un progetto già bocciato dal premier e dal Guardasigilli Severino come inopportuno e al di fuori delle corrette procedure costituzionali. Invece il premier si è guardato bene dal chiedere la testa del suo più stretto collaboratore, ben sapendo che è stato messo in quel posto appositamente dal suo maggior "azionista", il neoduce Berlusconi, dopo che nel corso della trattativa con Monti e Napolitano per farsi da parte, non ce la fece a imporre il fido Gianni Letta per quella importante carica. E quanto importante sia quella carica e che sia Catricalà a ricoprirla, lo si capisce bene adesso, dopo questa vicenda che rivela in modo lampante che il neoduce non solo "non è andato al mare", come ha capito perfino il fulmineo Bersani, ma lavora ancora alacremente, attraverso i suoi fedeli scagnozzi nel governo come Catricalà, per portare avanti i suoi progetti mussoliniani, con in testa quello della controriforma neofascista della giustizia.

13 giugno 2012