Intervenendo all'assemblea dei banchieri confessa che andrà avanti senza concertare coi sindacati
Monti: "Percorso di guerra", ossia lacrime e sangue
Il premier lascia l'economia a Grilli
Davanti all'Italia sta un "percorso di guerra durissimo" che è appena all'inizio, e che non si placherà almeno fino al pareggio di bilancio. Traduzione: questo governo andrà avanti senza pietà con la politica di lacrime e sangue, e lo farà infischiandosene altamente del problema dell'"equità" che pure aveva garantito all'inizio di questo percorso, anche perché il tempo della "concertazione" con le parti sociali è finito per sempre.
È questo in buona sostanza il duro messaggio che il tecnocrate liberista Mario Monti ha annunciato al Paese dalla platea dell'Abi, l'associazione dei banchieri italiani riuniti in assemblea l'11 luglio al palazzo dei Congressi di Roma, parlando a braccio dopo l'intervento del presidente dell'Abi, Giuseppe Mussari, che aveva assicurato l'appoggio dei banchieri al suo governo nonostante "non sia stato tenero con le banche" (sic). "L' Italia - ha detto infatti Monti - ha iniziato un percorso di guerra durissimo contro i diffusi pregiudizi esterni, contro la diffusa e un po' cinica sottovalutazione di noi stessi che si accompagnano nella psicologia italiana a momenti di superficiale esaltazione, e contro gli effetti inerziali di decisioni prese in passato". Ma è "una guerra pacifica", ha subito aggiunto cercando di addolcire la brutalità dell'annuncio, una guerra che ha una prospettiva di pace "non lontana". Quando? "in qualche punto del 2013", ha indicato vagamente il premier.
Ma al di là di questo aggiustamento retorico da vecchia volpe della politica, il significato del messaggio è chiarissimo: le lacrime e il sangue che ha fatto versare finora ai pensionati, ai lavoratori e alle masse popolari sono solo un assaggio, il peggio deve ancora venire, perché "la fase drammatica che abbiamo alle spalle non deve uscire troppo rapidamente dalla nostra memoria".
E questo "percorso di guerra" sarà talmente inesorabile, svincolato da ogni considerazione di carattere politico e sociale, che su di esso le parti sociali, Confindustria e sindacati, non avranno nessuna voce in capitolo, come accadeva in passato con la cosiddetta concertazione. Un discorso che è stato letto anche come un avvertimento al neopresidente di Confindustria, Squinzi, e alla segretaria CGIL, Camusso, che si erano da poco fatti l'occhiolino a Serravalle pistoiese convenendo su alcune critiche alla politica del governo. A questo proposito Monti ha scandito infatti che "le parti sociali devono restare 'parti' e non soggetti nei confronti dei quali il potere pubblico dia in outsourcing responsabilità politiche"; e questo perché "esercizi profondi di concertazione in passato hanno generato i mali contro cui noi combattiamo e a causa dei quali i nostri figli e nipoti non trovano facilmente lavoro".
Quindi, dopo il danno ecco anche la beffa! Dopo che per vent'anni, in nome della "produttività" e della salvezza dell'Italia dalla crisi, i lavoratori hanno dovuto subire la concertazione e il patto sociale imposto congiuntamente dai governi di "centro-destra" e "centro-sinistra", la Confindustria e i vertici sindacali collaborazionisti di CGIL, CISL e UIL, la morale è che la concertazione è stata la causa di tutti i mali attuali e che va liquidata, ora che ha ormai esaurito il suo compito, come un inutile e dannoso "residuo del passato" che intralcia l'applicazione della spietata cura liberista praticata al Paese dal "governo dei professori". Una logica antioperaia e ultraliberista, questa del massacratore sociale Monti, che del resto perfeziona semplicemente quella dei suoi predecessori Berlusconi, Tremonti e Sacconi.
Non a caso, punta sul vivo, la Camusso ha reagito dichiarando che "Monti non sa di cosa parla. L'ultima concertazione avvenne nel 1993 e salvò dalla bancarotta il Paese, anche grazie a una riforma delle pensioni equa, al contrario di quella fatta dal suo governo". Peccato che quella che lei tanto esalta sia stata invece proprio la frana che ha preparato la strada alla valanga della controriforma Fornero. Evidentemente la destrorsa Camusso ha la coda di paglia, e ora che è lo stesso tecnocrate borghese a scaricare i sindacati gettando sprezzantemente alle ortiche quello che per due decenni è stato il loro cavallo di battaglia, deve presentare la concertazione come "l'età dell'oro" in confronto al "percorso di guerra" di Monti: mentre invece quest'ultimo è semplicemente la logica conseguenza, lo sbocco inevitabile, di quella.
Comunque sia, infischiandosene dei mal di pancia della Camusso, che del resto paiono destinati a restare tali, visto che a tutt'oggi continua a tergiversare sullo sciopero generale, Monti andrà avanti come un carro armato su questo percorso. E la prova è che proprio in contemporanea col suo bellicoso discorso ha annunciato di lasciare l'interim del ministero dell'Economia al suo sottosegretario Vittorio Grilli, per concentrarsi sulla politica generale del governo e sugli incontri internazionali. Il neo ministro, già direttore generale del Tesoro ed ex ragioniere generale dello Stato, prima di essere nominato viceministro all'Economia da Monti, è stato manager di grandi banche d'affari internazionali e ha ricoperto importanti incarichi a livello europeo. Membro dell'Aspen Institute Italia, ha sviluppato la sua rapida carriera istituzionale all'ombra di Tremonti e della Lega, di cui è stato candidato per la successione a Mario Draghi alla presidenza di Bankitalia.
Egli è quindi l'uomo giusto per assicurare la continuità della politica economica col precedente governo. Comunque Monti continuerà a determinare gli indirizzi generali di tale politica attraverso un "Comitato di coordinamento della politica economica e finanziaria" da lui stesso presieduto: un gabinetto di guerra, appunto, di cui faranno parte lo stesso Grilli, Passera, la Fornero e altri ministri volta a volta competenti, con la possibilità di invitare alle riunioni anche il governatore di Bankitalia Visco.

Firenze, 18 luglio 2012