Come Marchionne alla Fiat e con l'appoggio di Napolitano
Monti impone relazioni industriali mussoliniane
Fermiamolo con lo sciopero generale

Il governo della grande finanza e della UE del tecnocrate borghese Mario Monti procede come un carro armato nella distruzione dei diritti dei lavoratori e delle libertà sindacali. In questo ambito, strumentalizzando la crisi in atto e coprendosi dietro i "voleri" della BCE, porta avanti un attacco inedito, esiziale, al ruolo e alla funzione del sindacato che ricorda quanto era previsto nel "Piano di rinascita democratica" e nello "Schema R" della loggia P2 di Gelli e sodali.
Nessun governo precedente, dal dopoguerra, nemmeno quello di Craxi e nemmeno quelli del neoduce Berlusconi, era arrivato a tanto. In questa operazione di autentico massacro sociale e sindacale Monti copia e generalizza le relazioni industriali di stampo mussoliniano imposte dal nuovo Valletta, Sergio Marchionne, alla Fiat e gode dell'appoggio aperto e reiterato del nuovo Vittorio Emanuele III, Giorgio Napolitano, oltre a quello della Confindustria e dei mass-media di regime.
Lo si è visto con la controriforma liberista delle pensioni, varata dall'esecutivo senza tenere in alcun conto le obiezioni di CGIL, CISL e UIL, ancorché timide e insufficienti. Ed è quello che accadrà per il varo della "riforma" del "mercato del lavoro", con al centro la cancellazione o quanto meno la manomissione dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Sia Monti che il ministro del welfare, Elsa Fornero, avevano detto che questa partita sarebbe stata condotta con il consenso dei sindacati negoziando con loro. Ma non sarà così. Ad essi viene chiesto, nella sostanza di accettare le ricette del governo. Punto e basta.
Ciò che il governo è disponibile a concedere su questo terreno, bontà sua, è questo: incontri informali in modo separato con le organizzazioni sindacali, una ad una, e a seguire con le associazioni padronali; poi incontri plenari con tutte le "parti sociali" per illustrare la proposta di "riforma" del governo con nessuna trattativa: prendere o lasciare. A questo proposito le parole del ministro e del presidente del Consiglio sono illuminanti e inequivocabili: abbiamo organizzato questi "incontri informali con le parti sociali" ha detto la Fornero, al termine dei quali il governo prenderà comunque le sue decisioni "senza farsi condizionare". La "riforma" del "mercato del lavoro" e l'abolizione dell'art. 18 vanno fatte e in fretta, sostiene Monti, perché è l'Europa a chiedercelo, e le faremo "anche senza l'accordo di tutti".
Dunque nessuna trattativa, nemmeno nella sua forma collaborativa della concertazione e del "patto sociale" risoltasi sempre a scapito degli interessi dei lavoratori e della masse popolari. C'è il capo dello Stato Napolitano a spingere in questa direzione quando afferma, proprio nel corso della sua recente visita a Napoli: "Quel che mi auguro è che il movimento dei lavoratori dia di nuovo prova di saper guardare agli interessi generali e non stia sulla difensiva". In poche parole sacrifichino gli interessi dei lavoratori per superare la crisi e rimettere in sesto la malandata economia capitalistica italiana.
In questo attacco pesante e pericoloso agli spazi contrattuali e all'agibilità del sindacato si è distinto il Corriere della sera. Nel suo editoriale, l'ex ambasciatore Sergio Romano ritiene che CGIL, CISL e UIL stiano ostacolando il governo nella sua opera di "salvataggio" del Paese. Critica le loro pretese perché "vogliono concertare, vale a dire concorrere alla definizione delle misure che il governo presenterà al Parlamento e ai suoi partner europei". Il sindacato faccia il suo mestiere "ma tra queste funzioni - conclude Romano - non vi è quella di concorrere al governo del Paese".
Tornando agli incontri informali. Il primo si è tenuto il 5 gennaio tra il ministro e il segretario della CGIL, Susanna Camusso. Il secondo lunedì 9 gennaio con il segretario della CISL, Raffaele Bonanni. Il terzo con il segretario della UIL, Luigi Angeletti, in corso mentre stiamo scrivendo. In essi non si è andati oltre un semplice scambio di vedute sui temi in discussione. Solo la Camusso ha criticato la convocazione separata delle organizzazioni sindacali. Mentre per Bonanni e Angeletti l'importante è arrivare a un "patto sociale" col governo all'interno del quale si può discutere lo stesso articolo 18.
Allo stato non c'è (o non è stata resa pubblica) una proposta precisa di "riforma" del "mercato del lavoro". Si sa però che il governo sta lavorando attorno all'ipotesi del "contratto unico", modello Ichino per intendersi, oppure a quella del "contratto prevalente". Ambedue avrebbero come finalità, in teoria e solo in teoria, la riduzione dei contratti precari e l'offerta di un "vero" inserimento nel lavoro per i giovani.
In realtà non si esce in entrambi i casi da una situazione di precariato e in ciascuna proposta è prevista la modifica o la cancellazione dell'articolo 18, come ha ripetuto Monti quando ha affermato che "l'art. 18 non è un tabù". In ogni caso si parla di un contratto che prevede ben tre anni di prova, nel corso dei quali il rapporto di lavoro si può interrompere senza alcuna conseguenza per le aziende, un salario più basso che si "normalizza" in progressione" e lo stesso vale per i diritti sindacali. Ma non c'è la garanzia dell'assunzione a tempo indeterminato al termine dei tre anni. Per quanto riguarda la sterilizzazione dell'articolo 18 tutte le ipotesi restano in campo. Si va dalla cancellazione totale all'abolizione per i licenziamenti individuali per motivi economici (di crisi produttiva, di ordini, ecc.). Ciò avverrebbe nell'ambito della "riforma" degli "ammortizzatori sociali" che introdurrebbe una indennità di disoccupazione fino della durata di tre anni, a certe condizioni, ma anche una forte riduzione dell'uso della cassa integrazione che permette ai lavoratori di non rompere il rapporto con l'azienda in cui è occupato nei momenti di crisi e l'abolizione dell'istituto della mobilità. Insomma, non c'è nessun vantaggio per i lavoratori sia per quelli giovani che per quelli anziani.
L'assalto governativo all'articolo 18, va ribadito forte e chiaro, non ha una ragione economica ma politica. Non ha alcuna connessione con la crescita e lo sviluppo. E non c'è affatto un problema di eccessiva rigidità del "mercato del lavoro" come affermano i padroni. In Italia le aziende dispongono, a norma di legge o contrattuale, di vari strumenti per licenziare: ci sono i licenziamenti collettivi in caso di crisi; ci sono i licenziamenti individuali "per giusta causa" e "per giustificato motivo". Togliere la tutela contro i "licenziamenti illegittimi" ha lo scopo di colpire il sindacato nei luoghi di lavoro, rendere indifesi i delegati e i lavoratori che non si piegano allo strapotere padronale, che si battono per vedere rispettati i diritti contrattuali, ivi compresi quelli sulla sicurezza antinfortunistica. In questo senso il modello Marchionne fa scuola: condizioni di lavoro di supersfruttamento, limitazione del diritto di sciopero, cancellazione delle RSU, sanzioni sia a lavoratori che a sindacati dissenzienti.
All'offensiva a largo raggio liberista e neofascista del governo Monti non ha fatto seguito una reazione di lotta adeguata da parte sindacale. Eppure, il progetto reazionario e neofascista in parte già applicato, è sin troppo chiaro. Questa offensiva non si ferma né si vince con sterili e controproducenti richieste di concertazione né di "patto sociale" che potrebbero avvenire solo alle condizioni poste dai tecnocrati nostrani e di Bruxelles. Ci vuole la mobilitazione delle masse popolari, ci vuole lo sciopero generale nazionale per spazzare via, come invoca il PMLI, il governo della grande finanza, della UE e della macelleria sociale. "L'epoca delle chiacchiere è finita - ha affermato Giorgio Cremaschi, presidente del CC della FIOM - anche per il sindacato. È inutile piangere, è inutile lamentarsi. Monti è lì solo per fare il massacro sociale che a Berlusconi non sarebbe riuscito per scarsa credibilità accumulata. Allora, visto che ci trattano come i greci, bisogna fare come la Grecia: scioperare e lottare esplicitamente contro questo governo, con l'obiettivo di farlo cadere".

11 gennaio 2012