A Roma e a Cefalonia
Napolitano insiste sul ruolo militare interventista dell'Italia nel mondo
Il presidente della Repubblica, come Prodi, invoca ancora una volta la "riconciliazione" con i fascisti
Un falso storico: la Resistenza nata a Cefalonia

Come c'era da aspettarsi l'"ex comunista" Napolitano non si è lasciato sfuggire l'occasione della sua prima celebrazione del 25 Aprile per dare un'altra prova della sua piena e incondizionata sottomissione al capitalismo, al regime neofascista e all'imperialismo. E lo ha fatto seguendo le orme del suo predecessore Ciampi, mirando come lui a raggiungere tre obiettivi: falsificare la storia e il significato della Resistenza, spostandone il baricentro dalla lotta partigiana e di popolo al ruolo dell'esercito regio e delle forze armate alleate; portare avanti il disegno della "riconciliazione nazionale", per la stabilità e il rafforzamento della seconda Repubblica neofascista, presidenzialista, federalista e imperialista; creare una solidarietà di massa in chiave nazionalista e interventista attorno alle forze armate italiane e alle missioni di guerra, spacciate per missioni di "pace", in cui sono impegnate in vari teatri internazionali, dall'Afghanistan, al Libano, ai Balcani.
Per far questo Napolitano non si è limitato a una celebrazione di routine del 62 anniversario della Liberazione, ma ha voluto organizzare due eventi ben studiati allo scopo: il primo, del tutto inedito, con la convocazione il 24 aprile al Quirinale delle Associazioni combattentistiche e d'arma insieme alla Confederazione fra le Associazioni combattentistiche e partigiane. Il secondo, il giorno dopo, sulle orme di Ciampi che vi si recò per primo nel marzo 2001, con la visita nell'isola greca di Cefalonia per rendere omaggio ai caduti della divisione Aqui massacrati dai nazisti dopo l'8 settembre 1943.
Nel discorso tenuto al Quirinale, Napolitano ha calcato l'accento soprattutto sul primo e sul terzo degli obiettivi sopra accennati: "La Liberazione - ha detto il capo dello Stato - fu per l'Italia il frutto di innumerevoli sforzi, coerenti nello spirito e negli scopi anche se distinti nei modi, che anticiparono, accompagnarono e spesso integrarono l'intervento pur determinante delle forze anglo-americane: la lotta partigiana in armi, le azioni di combattimento delle Forze Armate in Italia e all'estero dopo l'8 settembre, la resistenza dei deportati e degli internati nei lager e quella spontanea delle città come dei piccoli comuni, fino all'azione, spesso silenziosa e misconosciuta, di tantissimi singoli cittadini".
Secondo certa stampa di regime, in particolare quella fiancheggiatrice del "centro-sinistra", come ad esempio la Repubblica e l'Unità, egli avrebbe inteso con ciò rispondere alle dichiarazioni sprezzanti di Berlusconi sulla Resistenza, il quale aveva ribadito la sua non partecipazione alle rievocazioni in quanto il 25 Aprile è una "festa di parte", e che casomai bisognerebbe ringraziare l'America, e non i partigiani, per averci liberati. In realtà è vero il contrario. Le parole di Napolitano vanno proprio nella stessa direzione di quelle del neoduce di Arcore, anche se dette in maniera più subdola e insinuante. Intanto egli attribuisce valore "determinante" all'intervento degli anglo-americani, il che equivale a dire che la Resistenza da sola non avrebbe avuto alcuna possibilità di vittoria contro il nazifascismo, che è quello che da sempre sostiene la storiografia reazionaria e filoimperialista. Inoltre egli affoga la lotta armata partigiana in mezzo a tutta una serie di aspetti minori o non direttamente collegati con la Resistenza allo scopo di sminuire l'importanza della guerra di popolo; con ciò preparandosi come vedremo la strada per il completo ribaltamento della verità storica che ha operato il giorno dopo a Cefalonia, attribuendo come Ciampi l'inizio della Resistenza ai militari dell'esercito regio.

Napolitano vuol conciliare Resistenza e interventismo
Nella seconda parte del discorso tenuto al Quirinale, approfittando dell'uditorio militaresco e militarista che egli aveva appositamente invitato allo scopo, Napolitano si è poi lanciato in una sperticata quanto disgustosa esaltazione delle forze armate italiane interventiste e delle missioni di guerra in cui sono impegnate nel mondo, istituendo addirittura un legame storico e morale tra queste e la Resistenza. Un'operazione che va oltre il già infame ribaltamento operato dalla "sinistra" borghese sull'articolo 11 della Costituzione per piegarlo alla dottrina interventista: "Il grande moto di libertà e di progresso che noi associamo alla storica giornata del 25 aprile ci ispira oggi nell'impegno che dispieghiamo in diverse aree e regioni del mondo", ha detto infatti il rinnegato del Quirinale. A Cefalonia riprenderà e svilupperà ulteriormente questo inaudito concetto guerrafondaio, che si propone di rivestire l'"interventismo imperialista dell'Italia con la gloriosa bandiera della Resistenza, sostenendo che "il non assistere inerti ai conflitti che lacerano vaste zone del mondo" e "il fare la nostra parte per la pace e per la sicurezza internazionale sotto la guida delle Nazioni Unite e nell'ambito delle nostre alleanze, significa porsi in coerenza e continuità con il retaggio ideale della Resistenza e con la missione che in essa assunsero i militari italiani".
A sostegno di questa politica e cultura guerrafondaie non si è vergognato di chiedere al governo e al parlamento di aumentare la spesa per "portare avanti e accelerare il processo di modernizzazione e rinnovamento interno ormai in corso da lungo tempo" nell'esercito professionale interventista: "Le nostre forze armate - ha sentenziato infatti perentoriamente questo rinnegato della prima ora - debbono conservare standard quantitativi e qualitativi comparabili a quelli dei principali partner europei, e produrre così uno sforzo innovativo tale da consentire all'Italia di collocarsi, nell'ambito delle Organizzazioni internazionali ed in primo luogo in seno all'Unione Europea, tra le nazioni guida del processo di stabilizzazione e salvaguardia della sicurezza e dello sviluppo nell'era della globalizzazione".
Col discorso tenuto il 25 Aprile a Cefalonia, Napolitano ha poi sviluppato e completato lo sporco disegno anticipato il giorno prima al Quirinale. Richiamandosi al suo predecessore, di cui ha detto di aver voluto raccogliere l'ispirazione, ha esordito rendendo omaggio a "tutte le vittime" della lotta di Liberazione, che egli ha definito "Festa di tutti gli italiani" e da intendersi "come riconquista dell'indipendenza e della dignità della patria". In questo modo, in un sol colpo, egli ha così ottenuto tre risultati: ha implicitamente negato il carattere antifascista, partigiano e di massa della Resistenza; ha ridotto quest'ultima ad un limitato moto patriottico di carattere borghese, una sorta di "secondo Risorgimento", come sostenuto dalla storiografia di matrice liberale e azionista; ha invitato alla riconciliazione con i fascisti nel nome dell'unità nazionale e della "patria", vale a dire del regime neofascista di cui egli è il primo rappresentante. In questo egli si è mosso in perfetta sintonia con Prodi, che dopo la cerimonia del mattino all'altare della patria aveva dichiarato che "bisogna rinnovare la memoria perché quella ferma viene uccisa dal tempo" (come dire che è ora di rivedere i giudizi sulla Resistenza), e che il Paese "è sulla strada della riconciliazione politica. Anche se ci vuole ancora un po' di tempo".

Un falso storico per attaccare la Resistenza e i partigiani
Proseguendo poi nella strada aperta da Ciampi con la visita nell'isola nel marzo 2001 (vedi Il Bolscevico n. 12 del 29/03/2001), anche il rinnegato del Quirinale ha preso spunto dalla strage di Cefalonia, insistendo sul concetto caro alla storiografia di destra della "strage ignorata", per esaltare il contributo "altamente significativo e obiettivamente importante" dei militari italiani alla Resistenza, e addirittura il valore di "impulso" iniziale che quell'episodio avrebbe secondo lui rappresentato per "la successiva maturazione dello spirito della Resistenza". Lo stesso falso storico commesso prima di lui da Ciampi, consistente nello strumentalizzare le vittime di Cefalonia per attribuire allo stesso esercito regio e ai militari badogliani, e non alla lotta di un intero popolo, con alla testa i partigiani comunisti delle brigate Garibaldi, il vero merito della Liberazione. Una strage, quella dei soldati italiani della Aqui, tra l'altro "dimenticata" non certo dalla storiografia antifascista e di sinistra, bensì proprio da quelle forze anticomuniste, atlantiste, fasciste e vaticane che nascondevano le stragi tedesche e proteggevano i criminali nazisti, come quelle di Sant'Anna di Stazzema, per non ostacolare l'ingresso della Germania nella Nato e in nome della "guerra fredda" contro l'Unione Sovietica e della "lotta al comunismo". Quelle stesse forze che oggi il rinnegato Napolitano e tutti i valletti del regime neofascista e dell'imperialismo osannano come i "vincitori del comunismo".
Napolitano quindi mente e falsifica la storia come Ciampi. E in un certo senso ancor di più, perché Ciampi, da liberale azionista ed ex ufficiale dell'esercito regio, compiva questo falso in coerenza con il suo passato e la sua formazione culturale e politica. Napolitano lo fa da rinnegato del comunismo, e quindi ci aggiunge un'abiura politica e storica personale che, unitamente a tutte le altre che ha già fatto e che ormai non si contano più, dà più valore e credibilità al falso. È lo stesso motivo per cui la classe dominante borghese la campagna anticomunista di criminalizzazione dei partigiani e della Resistenza l'ha fatta fare a rinnegati come Otello Montanari, Occhetto e Pansa, piuttosto che ai soliti ex repubblichini alla Pisanò e Tremaglia.

3 maggio 2007