Napolitano: "Accordatevi sul federalismo fiscale. La Costituzione non è intoccabile. Già modificati 38 articoli"
"Mettere il Mezzogiorno alla prova della maturità"

Per Napolitano la Costituzione non solo si può ma si deve cambiare, e il momento giusto è questo, per completare i numerosi cambiamenti già operati fin qui col federalismo fiscale, il rafforzamento dei poteri del premier e la riduzione del peso del parlamento. Lo ha ribadito con forza il 18 settembre a Venezia, intervenendo a un convegno della fondazione Pellicani sul 60° anniversario della Carta costituzionale.
Dopo aver aperto il suo discorso con una difesa tanto formale quanto solo apparente della Costituzione del 1948, definendola un "ancoraggio" di fronte a un "pericolo di disorientamento della comunità nazionale, per l'indebolirsi della sua coesione e del suo tessuto ideale e civile", si è subito affrettato però a invitare a non considerarla "un'icona" e a prendere decisamente in considerazione "scelte di riforma": come ad esempio - ha specificato - "l'abbandono del bicameralismo ancora vigente e l'istituzione di una Camera delle regioni o delle autonomie". Una "riforma", per inciso, di ispirazione piduista e assai cara alla lega neofascista di Bossi, tanto da averla inserita col "Senato federale" nella controriforma costituzionale del 2005, poi bocciata dal referendum costituzionale del 2006, e sulla quale fu pienamente d'accordo anche la "sinistra" parlamentare e lo è tuttora. Ma il rinnegato del Quirinale la riesuma dalla pattumiera incurante di insultare in questo modo la volontà popolare di cui si dovrebbe invece ergere a garante per dovere costituzionale.
Ma procediamo. Dopo aver aperto la breccia Napolitano si industria per allargarla. Anche se è da scartare la strada di una riscrittura generale della Carta, già fallita insieme alla Bicamerale golpista di D'Alema e - appunto - con la bocciatura della controriforma Calderoli del 2005 da parte del referendum popolare, cambiare si può, occorre solo trovare il giusto approccio: "Che la Costituzione non sia intoccabile - suggerisce infatti il rinnegato del Quirinale - lo dimostra il semplice fatto che tra il 1963 e il 2005 sono stati modificati, sostituiti, aggiunti 38 articoli o commi, anche di notevole rilievo. Sto solo mettendo in guardia dal rischio di nuove, defatiganti e inconcludenti, progettazioni di riforma globale della Carta".
Inutile - avverte cioè Napolitano - sognare nuove Bicamerali o Assemblee costituenti, e nemmeno tentare di tagliare il nodo con una soluzione unilaterale come fece la Casa del fascio con la controriforma Calderoli: meglio partire dalle cose già fatte o avviate, come per esempio la "riforma" federalista del Titolo V approvata nel 2001, "per dar vita al sistema disegnato nell'articolo 119, ormai comunemente classificato come 'federalismo fiscale'". Ed è meglio e più produttivo farlo in due, in maniera "bipartisan", partendo proprio da quel federalismo fiscale che può rappresentare l'anello di congiunzione tra la controriforma abbozzata dal "centro-sinistra" nel 2001 e la proposta Calderoli appena presentata dal governo.
"Voglio dire francamente questa sera, toccando l'attualità - ha detto infatti Napolitano per caldeggiare il suo invito ai due poli del regime neofascista a dialogare - che se si mettono a confronto gli orientamenti - in materia di federalismo fiscale - annunciati dall'attuale governo, quelli presentati in parlamento dal precedente governo, quelli formulati dalle Regioni e quelli delineati da forze dell'opposizione, si può constatare obbiettivamente l'emergere di assonanze e convergenze significative tra le rispettive impostazioni". Napolitano è consapevole - e lo dice- che la fase politica non è delle più favorevoli al dialogo, per l'arroganza e i continui colpi di mano del neoduce, tentato di procedere alle controriforme a colpi di maggioranza, tanto che anche per il federalismo fiscale il governo vorrebbe una cambiale in bianco dal parlamento facendolo approvare come legge delega: "Non sono ovviamente da sottovalutare le persistenti distanze sui punti rilevanti e le difficoltà insite nella stessa natura di una legge delega", ammette infatti l'inquilino del Quirinale. Aggiungendo però subito dopo: "Ma credo non si debba essere pessimisti sulla possibilità di un approdo largamente condiviso, se il confronto verrà avviato e condotto, in parlamento e in altre sedi di concertazione istituzionali, con metodo accorto, con reciproca attenzione, con volontà di avvicinamento tra i diversi punti di vista, senza nervosismi e forzature, e con quel senso della gradualità che in questa materia è indispensabile".
E già che ci siamo, insieme al federalismo fiscale, per Napolitano si potrebbe cogliere l'occasione per approvare anche "dispositivi costituzionali idonei a tutelare le esigenze di stabilità del governo", questione che i costituenti non furono in grado di affrontare allora ma che "è rimasta aperta e andrebbe riesaminata, nei suoi termini concreti, senza tornare ad accendere un vano conflitto sul cambiamento della forma di governo". Rafforzare cioè i poteri del premier senza cambiare formalmente da parlamentare a presidenziale la forma di governo, cosa su cui potrebbe essere trovata facilmente un'intesa "bipartisan", dato che anche il PD aveva già presentato una proposta in tal senso col ddl Violante, che prevede anche il monocameralismo e il Senato federale cari alla Lega.
Quanto al pericolo degli egoismi regionalistici, preludio del secessionismo, che il federalismo fiscale inevitabilmente reca con sé e che rischia di accentuare il "persistente e perfino aggravato divario tra Nord e Sud che denuncia la storica incompiutezza dell'unificazione nazionale", Napolitano indica la classica ricetta presa dal libro dei sogni: "Ciò richiede - ha concluso infatti il rinnegato del Quirinale - la più chiara manifestazione di volontà nel combattere chiusure ed egoismi nelle regioni più sviluppate, nel tener fede concretamente al principio di solidarietà, e nel chiamare al tempo stesso le regioni del Mezzogiorno, alla pari di tutte le altre, alla prova della responsabilità - parola chiave, lo penso anch'io - per l'uso economico e il rendimento qualitativo delle risorse pubbliche, nazionali ed europee".
Insomma, è il ragionamento di Napolitano, le regioni ricche del Nord accettino di rinunciare a un po' del loro grasso che cola come elemosine a quelle povere del Mezzogiorno, e queste ultime si rassegnino d'ora in poi ad arrangiarsi con le loro ridotte risorse economiche, dopo aver fatto per un secolo e mezzo da serbatoio di mano d'opera a basso prezzo e da pattumiera per la parte più ricca e sviluppata del paese. Un ragionamento che, al di là dell'ipocrisia "equanime" di cui è imbevuto, rappresenta una resa e un incoraggiamento di fatto all'egoismo e alle pulsioni secessioniste della borghesia del Nord, mentre condanna il Meridione alla rassegnazione a sprofondare ancora di più nella miseria e nel sottosviluppo.

1 ottobre 2008