Il presidente della Repubblica avalla il razzismo e la xenofobia del governo
Napolitano firma la legge razziale
I dubbi espressi non sminuiscono la gravità dell'ignobile atto
Il 15 luglio, ad appena due settimane dalla sua approvazione definitiva in parlamento, Napolitano ha firmato e quindi reso operante l'infame legge razzista e xenofoba sulla "sicurezza". Non ha cioè aspettato neanche che scadessero i prescritti 30 giorni che la Costituzione gli dà facoltà di utilizzare, pur di rendere questo ennesimo servigio al neoduce Berlusconi e al suo alleato secessionista e razzista Bossi. Non meno di quanto fece il re Vittorio Emanuele III, a sua imperitura e meritata infamia, firmando le leggi razziali di Mussolini nel 1938.
L'unica differenza rispetto al monarca sabaudo è che per lavarsi la coscienza e precostituirsi un alibi di fronte all'Europa e alla storia il rinnegato del Quirinale ha accompagnato l'ignobile atto con una lettera piena di "dubbi" indirizzata a Berlusconi, ai ministri Maroni e Alfano e, per conoscenza, al presidente della Camera Fini e a quello del Senato Schifani. Una lunga lettera trasudante ipocrisia da ogni rigo, in cui manifesta le sue "perplessità" e "preoccupazioni" su un provvedimento affetto da "disomogeneità" ed "estemporaneità di numerose sue previsioni", che lo privano "di quelle caratteristiche di sistematicità e organicità che avrebbero invece dovuto caratterizzarlo". Auspicando per questo una "rinnovata riflessione" al fine di "superare futuri o già evidenziati equivoci interpretativi e problemi applicativi".
Un linguaggio da curia vescovile, ipocrita e ambiguo come si conviene a chi voglia dare ad intendere di non essere d'accordo con quanto ha appena firmato ma di non aver avuto altra alternativa possibile. La lettera si apre infatti con la dichiarazione di aver promulgato la legge per non sospendere "l'entrata in vigore di norme - ampiamente condivise in sede parlamentare - che rafforzano il contrasto alle varie forme di criminalità organizzata", e si chiude con la dichiarazione complementare che "al Presidente della Repubblica non spetta pronunciarsi e intervenire sull'indirizzo politico e sui contenuti essenziali di questa come di ogni legge approvata dal Parlamento: essi appartengono alla responsabilità esclusiva del governo e della maggioranza parlamentare".
Niente di più falso ed ipocrita! Sia perché ha palesemente sfruttato, per motivare l'urgenza della firma, le norme "antimafia", del tutto strumentali e secondarie, che erano state inserite appositamente nella legge a scopo demagogico; sia perché non è affatto vero che il capo dello Stato non può pronunciarsi sulle leggi approvate dal parlamento, dato che la Costituzione gli consente di rinviarle con un messaggio motivato alle Camere per una nuova deliberazione (art. 74). È vero che probabilmente la maggioranza avrebbe riapprovato la legge così com'è, e che a quel punto Napolitano, sempre in base alla Costituzione, sarebbe stato costretto a firmarla. Ma intanto avrebbe inviato un segnale forte e inequivocabile di dissenso da una legge fascista, razzista e xenofoba da molti ritenuta anche palesemente incostituzionale in diversi suoi aspetti.
In questo modo invece, firmando e poi inviando la lettera - un atto oltre tutto irrituale, contraddittorio e senza precedenti, come molti, anche insigni costituzionalisti, hanno messo in rilievo - ha cercato di salvarsi la faccia senza mettersi di traverso al nuovo Mussolini; che difatti, dopo aver liquidato le sue "raccomandazioni" con un ironico "ne terremo conto", lo ha ringraziato dichiarandosi "soddisfatto" per la firma e si è sperticato in un'esaltazione della loro sintonia cementata dal gioco di squadra al recente G8: "Lo voglio ripetere ancora una volta, c'è un rapporto di estrema cordialità, ci diciamo tutto in maniera esplicita. Un rapporto che era ed è assolutamente positivo e che si manifesta in tutte le occasioni". Quanto al suo gerarca fascio-leghista Maroni, autore delle norme su cui più si sono appuntate le "perplessità" e le "preoccupazioni" di Napolitano, come il reato di clandestinità e le ronde fasciste e razziste, anche lui si è detto "soddisfatto" della firma della legge e gli ha risposto con malcelata arroganza che "ora si tratta di applicarla". Altro, dunque, che "riflettere, approfondire, superare", come auspicava ipocritamente l'inquilino del Quirinale!
La "sinistra" borghese, che è accorsa subito a difenderlo e coprirlo, dichiarandosi pronta con Minniti, Tenaglia, Bersani e Finocchiaro a "collaborare" e a "dare una mano" se il provvedimento tornasse in parlamento, ha sostenuto con Napolitano la tesi opportunista che egli non poteva non firmare, non avendo ravvisato nel provvedimento "palesi elementi di incostituzionalità". A parte il fatto che bisogna essere orbi da tutti e due gli occhi per non vederceli, comunque anche questo è falso, perché la Costituzione non richiede che il presidente vi ravvisi tali elementi per rinviare una legge alle camere, ma si limita a dire che può farlo "con un messaggio motivato". Quindi nulla impediva al rinnegato del Quirinale di utilizzare questa facoltà, tanto più che di motivi specifici per respingerla ne aveva sottolineati egli stesso ben nove, più uno di carattere generale riguardante l'aver gonfiato il disegno di legge da 20 a 66 articoli, e averlo imposto alle Camere con la forzatura dei maxiemendamenti e con due voti di fiducia, alla stregua del decreto legge iniziale che era stato convenuto non potersi applicare per un provvedimento di tale importanza e delicatezza.
"I tre articoli della legge - sottolineava infatti tra l'altro Napolitano - si compongono ora, rispettivamente, di 32, 30 e 66 commi. Con essi si apportano modifiche o integrazioni a 43 disposizioni del codice penale, a 38 disposizioni del testo unico sulla immigrazione, a 16 disposizioni dell'ordinamento penitenziario e ad oltre circa 100 disposizioni inserite nel codice di procedura penale, nel codice civile e in 30 testi normativi complementari o speciali".
E allora, non foss'altro che per questo, non ce n'era più che abbastanza per respingerla e dare, almeno sul piano politico e morale, quella lezione ai neofascisti, razzisti e xenofobi che tutta l'opinione pubblica antifascista, democratica e progressista si sarebbe aspettata da lui? Invece Vittorio Emanuele Napolitano ha preferito ancora una volta fare la parte dello struzzo, anzi in questo caso del coccodrillo, visto che prima ha firmato la legge e poi ha versato una lacrimuccia per scaricarsi la coscienza. Ma non si illuda che basti a cancellare la vergogna storica di aver messo il suo nome sotto le nuove leggi razziali del regime neofascista, accanto a quelli del nuovo Mussolini e dei suoi gerarchi Maroni e Alfano.

22 luglio 2009