Ipocrisia del nuovo Vittorio Emanuele III
Napolitano firma la nomina a ministro di Romano, in odore di mafia, poi dissente

Giorgio Napolitano in occasione della nomina del nuovo ministro all'Agricoltura Saverio Romano ha superato il limite della decenza politica, morale e istituzionale autolaureandosi presidente dell'ipocrisia.
Di fronte all'ennesimo diktat del nuovo Mussolini che lo ammoniva: "Presidente, mi assumo io la responsabilità politica della proposta: questa nomina è necessaria per l'equilibrio e la stabilità del governo... Senza la nomina di Romano non posso escludere una crisi di governo"; il nuovo Vittorio Emanuele III non ha opposto nessuna obiezione e, a parte qualche "perplessità" di facciata, ha controfirmato la nomina ministeriale del transfuga UDC, attuale capo cosca dei "responsabili" dei Popolari d'Italia Domani (PID), che prende così il posto di Galan, spostato ai Beni Culturali, poltrona lasciata vuota dal dimissionario Sandro Bondi.
Per ironia Romano va a occupare lo stesso dicastero che negli anni '80 fu del suo padrino politico, il boss democristiano Calogero Mannino, anch'egli inquisito per mafia, condannato in appello a 5 anni e 4 mesi poi annullati in Cassazione e successivamente assolto nell'ottobre 2008, nonostante il sostituto procuratore generale Vittorio Teresi avesse chiesto la condanna ad otto anni.
Un precedente non proprio di buon auspicio per il neoministro, già in odore di mafia e accusato di corruzione in due diversi procedimenti a suo carico.
Con questo atto a dir poco vergognoso Napolitano ha di fatto istituzionalizzato il mercimonio di parlamentari messo in atto da Berlusconi per puntellare la sua nera maggioranza dopo l'uscita dei finiani. Tant'è che ora il neoduce ha la strada spianata per procedere all'assegnazione di altre cinque o sei poltrone da sottosegretario e una da viceministro e assicurarsi così il pieno e completo appoggio dei cosiddetti "Responsabili" che gli hanno garantito un buon margine di voti per ottenere il parere favorevole definitivo sul conflitto di attribuzioni per il caso Ruby, e l'immediata approvazione del ddl sul processo breve e prescrizione 'corta' in discussione alla Camera per evitare il processo per concussione sul caso Mills.
Insomma un vero e proprio mercato delle vacche allestito sul Colle istituzionalmente più alto di Roma che giustamente ha suscitato grande clamore nell'opinione pubblica tanto da costringere il Quirinale a fare un repentino passo indietro e a diramare, appena pochi minuti dopo il giuramento di Romano, una nota ufficiale in cui si legge che: "Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, dal momento in cui gli è stata prospettata la nomina dell'on. Romano a ministro dell'Agricoltura, ha ritenuto necessario assumere informazioni sullo stato del procedimento a suo carico per gravi imputazioni. Essendo risultato che il giudice delle indagini preliminari non ha accolto la richiesta di archiviazione avanzata dalla Procura di Palermo, e che sono previste sue decisioni nelle prossime settimane, il capo dello Stato ha espresso riserve sull'ipotesi di nomina dal punto di vista dell'opportunità politico-istituzionali. A seguito, dell'odierna formalizzazione della proposta da parte del presidente del Consiglio, il presidente della Repubblica ha proceduto alla nomina non ravvisando impedimenti giuridico-formali che ne giustificassero un diniego. Egli ha in pari tempo auspicato che gli sviluppi del procedimento chiariscano al più presto l'effettiva posizione del ministro".
Eppure anche i sassi sanno che Romano, a parte i gravi procedimenti a suo carico non ancora archiviati, è stato il braccio destro di Totò Cuffaro, l'ex governatore della Regione Sicilia condannato in via definitiva a sette per fatti di mafia e ora detenuto a Rebibbia ed è stato anche uno dei pochissimi parlamentari a non aver votato nel 2002 la norma che ha reso permanente il 41 bis, il carcere duro per i boss. Mentre nel suo feudo elettorale di Belmonte Mezzagno, il comune dove Romano è nato e dove suo zio, Saverio Barrale è sindaco, sono oggi in corso le procedure che potrebbero portare allo scioglimento dell'amministrazione per
infiltrazioni da parte di clan.
Romano è tuttora indagato per concorso in associazione mafiosa e corruzione aggravata in due distinti procedimenti. Per uno la procura ha chiesto, seppure con riserve, l'archiviazione, ma il Giudice per le indagini preliminari ha rimandato indietro l'istanza fissando un'udienza che potrebbe concludersi anche con l'indicazione, ai Pubblici ministeri, di andare più a fondo nell'indagine. L'altro, quello nato dalle dichiarazioni di Massimo Ciancimino, figlio dell'ex sindaco DC mafioso di Palermo, invece, è ancora tutto da approfondire e ruota attorno alle mazzette date ai politici da una società che avrebbe dovuto distribuire gas russo. Insieme a Romano e Cuffaro risulta indagato anche il senatore del PDL Carlo Vizzini. Un quadro giudiziario non certo immacolato che potrebbe ulteriormente aggravarsi con le motivazioni dei giudici della Cassazione che hanno confermato la condanna di Cuffaro a 7 anni per favoreggiamento aggravato e che potrebbero ritirare in ballo proprio Romano.
Insomma di argomenti gravissimi per impedire la sua nomina a ministro certo non mancavano!
Anche i precedenti, a cominciare dallo stesso Berlusconi, Previti, Dell'Utri, Scajola, Fitto, Matteoli, Brancher, Cosentino e tutta la cricca degli appalti con alla testa Bertolaso e Verdini, tanto per citare alcuni tra i casi più clamorosi, avrebbero dovuto suggerire un'altra condotta da parte del Quirinale. E invece Napolitano anche questa volta ha voluto coprire col suo nero manto istituzionale il governo Berlusconi e la sua politica neofascista, piduista, mafiosa e corruttiva.

13 aprile 2011