Nonostante il governo sia stato battuto al senato sulla politica estera
Napolitano rinvia alle Camere Prodi ma con un programma più di destra
I 12 punti del dittatore democristiano
La "sinistra radicale" accetta senza fiatare lo spostamento a destra del governo
Il governo di Romano Prodi è caduto al Senato sulla politica estera. Se tecnicamente sono stati i voti mancati di alcuni senatori a vita su cui contava, tra cui Andreotti e Pininfarina a farlo cadere, esso è caduto in realtà da sinistra, perché non c'è dubbio che sia stata la grande opposizione popolare alla svendita di Vicenza agli Usa e alla missione di guerra in Afghanistan, e i contraccolpi che essa ha provocato nella "sinistra radicale" che lo sostiene, a costringere il governo di "centro-sinistra", spronato anche dal rinnegato Napolitano ansioso di compiacere i suoi padroni americani, a presentarsi in parlamento per affrontare un così rischioso passaggio, considerata l'aleatoria maggioranza di cui disponeva.
Se non ci fosse questa opposizione, se non ci fosse stata la grande manifestazione nazionale del 17 febbraio a Vicenza, probabilmente il governo avrebbe anche potuto evitare la fallimentare prova di forza parlamentare del 21 febbraio, o quantomeno essa avrebbe potuto avere conseguenze meno disastrose che non le dimissioni di Prodi. Eppure, ignorando completamente la dura lezione, Prodi, D'Alema e gli altri leader riformisti, rinnegati e democristiani dell'Unione, ottenuta la resa incondizionata della "sinistra radicale" con lo spauracchio delle elezioni anticipate e il ritorno di Berlusconi, tentano di uscire dalla crisi spostando ancora più a destra la barra del governo. Napolitano ha rinviato Prodi e il suo governo alle Camere, non avendo individuato "una concreta alternativa" nelle consultazioni con i partiti e per consentire "un immediato ristabilimento della normalità dell'azione di governo e dell'attività parlamentare", soprattutto per "gli impegni europei e internazionali" e per le "pressanti esigenze di intervento e di riforma in campo economico, sociale e istituzionale".
Prodi ha accettato l'incarico, ma non senza prima aver posto alla coalizione un diktat in 12 punti, "prioritari e non negoziabili", con cui si è fatto un proprio programma di governo blindato e insindacabile e si è attribuito i pieni poteri per mettersi al riparo da qualsiasi dissenso interno. Questi punti rispondono pienamente alle pressioni dell'alleato americano, della Confindustria e del Vaticano, tant'è vero che al primo punto Prodi ha messo il "rispetto degli impegni internazionali", con riferimento specifico alla Nato e all'Afghanistan. È implicito che la nuova base di Vicenza rientra in tali "impegni". Mentre ai "poteri forti" offre il completamento del piano di infrastrutture avviato dal governo Berlusconi, con esplicito riferimento alla Tav Torino-Lione, i rigassificatori, la riduzione della spesa pubblica, l'attacco alle pensioni, la prosecuzione delle liberalizzazioni. E per il Vaticano ci sono le "politiche a sostegno della famiglia": quella "regolare", ovviamente, visto che in questo dodecalogo che sostituisce a tutti gli effetti il programma dell'Unione in 281 pagine non compaiono i "Dico", con grande giubilo, non a caso, dei teo-dem della Margherita, di Mastella, di Andreotti e di Ruini.
Gli ultimi tre punti, poi, costituiscono un vero e proprio golpe dittatoriale, col quale Prodi si arroga, all'interno del governo, poteri di tipo presidenzialista simili a quelli reclamati nel 1924 da Mussolini e addirittura superiori a quelli disegnati per Berlusconi dalla Casa del fascio con la controriforma costituzionale bocciata dal referendum popolare dello scorso giugno. Col 10° punto, infatti, Prodi impone ai suoi ministri le dimissioni da parlamentari, in modo da legarli alla sorte del suo governo. Con l'11° impone il suo portavoce Sircana come unico portavoce di tutto l'esecutivo, vale a dire che i ministri non potranno più esprimere giudizi personali o rilasciare interviste sugli atti del governo, facoltà riservata al solo Sircana a nome di tutti. Infine con il 12° Prodi si attribuisce il potere di decidere a suo insindacabile giudizio nei casi controversi e di contrasti tra le forze che compongono la maggioranza: come ha già fatto del resto per la concessione della base di Vicenza agli americani.
È semplicemente vergognoso come la cosiddetta "sinistra radicale" abbia accettato a scatola chiusa e senza fiatare questo diktat di stampo mussoliniano del dittatore democristiano Prodi. Un diktat che seppellisce definitivamente il programma elettorale dell'Unione, già vanificato e stravolto nella pratica di questi 9 mesi di governo e disegna un altro governo ancor più a destra di quello uscito dal voto di aprile. Eppure Giordano ha avuto la faccia tosta di dichiarare che "erano i punti che facevano parte del programma. Le modalità di inveramento le discuteremo nel confronto parlamentare. Ora è importante ridare fiducia a Prodi". E anche la Direzione del PRC, nel ribadire la fiducia incondizionata a Prodi, non si perita di giudicare ipocritamente i 12 punti come "una base condivisa dentro le linee del programma dell'Unione e delle iniziative legislative già in corso". Neppure Diliberto si è vergognato di dichiararsi "molto soddisfatto" e di auspicare di "guadagnare attorno a questi punti anche delle altre personalità".
E infatti, sottoposta come nel 1998 a un sapiente e martellante linciaggio mediatico e politico, la "sinistra radicale" non solo si è cosparsa il capo di cenere implorando il ritorno del dittatore democristiano e firmandogli la cambiale in bianco dei 12 punti senza discutere, ma ha ormai archiviato perfino il tabù delle "maggioranze variabili", e ora è pronta ad accettare voti da Follini, da Casini e anche dal diavolo in persona, pur di non perdere le poltrone e restare aggrappata al carro di Prodi. Infatti non ha battuto ciglio neanche quando i leader dell'Ulivo sono andati a contrattare i voti perfino con gli autonomisti siciliani di Lombardo. Caduto da sinistra, Prodi ripropone il suo governo con un programma ancora più di destra.
Forse il governo del dittatore democristiano Prodi avrà la sua risicata maggioranza, e per qualche tempo riuscirà ancora a sopravvivere e a fare altri danni alle masse lavoratrici e popolari, con la complicità della "sinistra radicale" a lui asservita . Il nuovo attacco alle pensioni mentre si accingeva a presentarsi in parlamento per la fiducia la dice lunga su questo. Ma ciò non farà che approfondire il fossato che già lo divide dalla classe operaia e dalle masse popolari, che pure lo avevano votato e si erano illuse in un cambiamento rispetto al governo Berlusconi, e prima o poi gli toccherà sbattere ancora il grugno sul duro. Noi continueremo a non dargli tregua e incalzarlo da sinistra per affrettare il più possibile questo momento.

28 febbraio 2007