Con un golpe bianco e marcato presidenzialismo
Napolitano ricorre ai "saggi" nel tentativo di mettere assieme destra e "sinistra" borghesi nello stesso governo
Senza il PMLI e il socialismo è impossibile il cambiamento

Com'era nelle previsioni di tutti, giovedì 28 marzo Bersani è risalito al Quirinale senza avere in mano quella maggioranza "certa" per formare un governo a cui Napolitano aveva condizionato il "pre-incarico" che gli aveva conferito: "L'esito delle consultazioni non è stato risolutivo", questa la formula burocratica con cui il capo dello Stato ha certificato il fallimento del tentativo di Bersani, dopo essersi rifiutato di avallare la sua ultima richiesta di potersi presentare lo stesso alle Camere tentando un voto di fiducia "al buio". Ma non gli ha revocato ufficialmente il mandato, lo ha "congelato" in attesa di una soluzione di ricambio, che ha escogitato dopo un altro giro di consultazioni con le quattro principali forze politiche, PD, PDL, M5S e Scelta civica, che è servito solo a riconfermare l'impossibilità in questa fase di trovare un accordo per formare una qualsiasi maggioranza.
Giudicata troppo rischiosa, in questo clima politico, anche l'ipotesi di un governo istituzionale, che avrebbe potuto incorrere in una clamorosa bocciatura alle Camere, per sbloccare la situazione Napolitano ha agito infatti come ha sempre fatto in casi del genere: cioè travalicando i poteri assegnatigli dalla Costituzione e comportandosi di fatto come se fosse il presidente di una repubblica presidenziale, così come fece nel novembre 2011 nominando Monti senatore a vita per poi insediarlo di peso a Palazzo Chigi col suo "governo dei tecnici" per praticare all'Italia la feroce "cura" dimagrante imposta dalla grande finanza internazionale e dall'Unione europea.

Operazione extracostituzionale e del tutto inedita
È così che dopo essersi consultato solo con il governatore della Banca centrale europea Draghi, Napolitano ha deciso di pilotare personalmente la crisi, con un paio di mosse extracostituzionali che si configurano ancora una volta come un vero e proprio golpe bianco: da una parte cioè prolungando artificialmente la vita al governo Monti, reinvestendolo di fatto di poteri oltre l'ordinaria amministrazione finché non se ne troverà uno nuovo o si celebreranno nuove elezioni; dall'altra nominando con procedura del tutto inedita due gruppi di "saggi", o "facilitatori" come lui li ha definiti: uno sulle "riforme" istituzionali e uno sui temi economico-sociali, composti da dieci membri scelti oculatamente nel PD, nel PDL e tra i montiani, con il compito di individuare i punti di convergenza per mettere insieme queste tre forze in un possibile "governo del presidente", "governo di scopo" o "governo di larghe intese" che dir si voglia.
Con la prima mossa, infatti, Napolitano ha voluto rassicurare la UE e i mercati rilanciando il governo Monti come "una concreta certezza", che è ancora "operativo e tutt'ora in carica, benché dimissionario e peraltro non sfiduciato dal parlamento". Al punto che "ha annunciato e sta per adottare provvedimenti urgenti per l'economia". Con la seconda mossa della commissione di "saggi", che dovrà riferirgli a breve su "precise proposte programmatiche che possano divenire in varie forme oggetto di condivisione da parte delle forze politiche", l'inquilino del Quirinale vuole spingere i tre partiti, facendo leva sulle forze più "responsabili" al loro interno, a cessare i veti incrociati e mettersi d'accordo per governare insieme: quantomeno per fare le "riforme" più urgenti tra cui la nuova legge elettorale e i provvedimenti per l'economia, per poi andare a nuove elezioni. In ogni caso le loro conclusioni potranno essere utili al suo successore, la cui imminente elezione, a questo punto, precederebbe la formazione del governo.
La scelta dei personaggi che fanno parte di questi due gruppi la dice lunga sul tipo di operazione politica che ha in mente Napolitano: il primo gruppo, quello sulle "riforme", è guidato dall'ex presidente della Corte costituzionale Valerio Onida, distintosi recentemente per aver bacchettato i pm di Palermo rei di essersi opposti al ricorso del capo dello Stato alla Consulta contro il loro rifiuto di distruggere le intercettazioni tra lui e Mancino, e per aver rilasciato un'intervista a "Il Giornale" in cui si è premurato di negare che Berlusconi possa essere giudicato ineleggibile. E a farne parte, affiancati dal ciellino ex PDL, poi passato ai montiani, Mario Mauro, sono stati chiamati Luciano Violante per il PD, e Gaetano Quagliariello per il PDL. Proprio cioè i due professionisti dell'inciucio che avevano trovato l'accordo sulla nuova legge elettorale nel 2012, poi saltato per volontà di Berlusconi che ha preferito tenersi il "porcellum" già pensando alle elezioni anticipate.
Il dalemiano e presidenzialista Violante è poi graditissimo al neoduce, per le posizioni "garantiste" che ha sempre preso in sua difesa e contro il "partito dei giudici", tanto che per un momento aveva pensato perfino di proporlo alla successione di Napolitano. Sarà un caso che D'Alema sia stato l'unico del PD a sapere in anticipo della scelta di Napolitano, insieme a Berlusconi che era stato informato tramite il fido Gianni Letta? Nell'altra commissione il dialogo inciucista è affidato poi ad un altro dalemiano, Filippo Bubbico, che proverà ad intendersela col leghista Giancarlo Giorgetti, noto per aver intascato una mazzetta da Fiorani, e con Giovanni Pitruzzella, un ex avvocato di Schifani promosso alla presidenza dell'Antitrust.

Le reazioni dei partiti borghesi al golpe bianco di Napolitano
La cosa paradossale è che dopo aver strapazzato in tutti i modi il supplicante Bersani accusandolo di volerli coinvolgere in un nuovo inciucio, anche i rappresentanti del M5S hanno applaudito l'operazione di Napolitano, proclamando che egli aveva dato loro ragione facendo propria la loro idea di un parlamento che lavora anche senza governo, o con un governo prorogato come quello di Monti. Come al solito depistano sostenendo di essere estranei ai giochi politici che si svolgono loro intorno, e così non si sono neanche accorti e nulla dicono del golpe bianco di Napolitano e che ciò che essi applaudivano è pur sempre un tentativo di inciucio PD-PDL sotto altre forme. C'è stato solo il brontolio a scoppio ritardato di Grillo quando si è accorto che nella commissione non c'era neanche un suo rappresentante e ha letto invece i nomi di Violante e Quagliariello, ma si è accontentato di liquidare i dieci "saggi" come inutili "badanti della democrazia", senza approfondire oltre.
Se appaiono scontati l'appoggio incondizionato dei montiani, quello più o meno convinto del PD e il silenzio complice di SEL all'operazione presidenzialista di Napolitano, più incerta e contraddittoria, per non dire ostile è la posizione del PDL. In un primo tempo era stata di sostanziale assenso, ma poi Berlusconi ne ha preso le distanze, inviando il suo tirapiedi Alfano da Napolitano a dettare condizioni sui tempi dell'operazione, che devono essere brevissimi, dieci giorni al massimo, dopodiché o si fa un governo col PDL o si va al voto, e "senza pregiudicare la finestra temporale di giugno".
Il neoduce teme infatti che Napolitano voglia guadagnare tempo fino al 15 aprile, quando si dovranno riunire le camere per l'elezione del nuovo inquilino del Quirinale, per liberarsi della patata bollente passandola al suo successore. E teme che questi possa anche essere un candidato a lui ostile come Rodotà, Zagrebelsky o addirittura Prodi, imposto magari con un accordo tra PD e M5S. Per questo, pressato dai suoi processi e sentendo il vento in poppa dei sondaggi che lo danno in crescita, scalpita per rompere ogni indugio e andare subito al voto, e se ha accordato altri dieci giorni a Napolitano è solo per verificare se il suo golpe riesce a spaccare il PD e far venire allo scoperto gli inciucisti; che sono tanti, dalemiani, veltroniani, renziani, ex Dc e chi più ne ha più ne metta.
Una tattica ricattatoria assai efficace, la sua, visto che lo stesso Bersani, che in quanto "congelato" sarebbe ancora formalmente in pista, ha dichiarato che se lui è un problema è disposto a farsi da parte, che sul Quirinale ci sarà "ampia condivisione" e che pur ribadendo di escludere un "governo di larghe intese" è pronto anche ad incontrare Berlusconi in qualsiasi sede istituzionale.
Perciò altro che "cambiamento", come predicano ognuno a modo suo il liberale Bersani e il megalomane qualunquista Grillo! Da questa crisi incancrenita il regime neofascista può uscire solo in due modi: o con un altro inciucio tra il PD e il PDL, che salvi Berlusconi e formi un governo del tutto analogo al governo Monti e in continuità con esso; oppure, vista l'improbabilità di un accordo PD-M5S, con nuove elezioni, che potrebbero solo portare a un nuovo stallo o peggio ancora a un ritorno del neoduce a Palazzo Chigi.
In ogni caso a farne le spese saranno come sempre i lavoratori e le masse popolari, con nuove stangate, perdita di diritti e ulteriore fascistizzazione del Paese. L'unico vero cambiamento può venire solo dalla lotta contro il capitalismo, per il socialismo. E dare forza al PMLI è l'unico modo per la classe operaia e le masse popolari di rilanciare questa lotta e cambiare l'Italia.

3 aprile 2013