Come accadde nel '29 tra Mussolini e Mc Donald
NASCE L'ASSE EUROPEO TRA IL NEODUCE BERLUSCONI E IL LABURISTA BLAIR
Uniti dal liberalismo e dall'idea della Ue fondata sullo Stato nazione. I DS spiazzati e divisi sull'alleanza tra i premier inglese e italiano. La Fiat benedice subito l'avvenimento
Il 15 febbraio scorso il premier britannico Blair e il presidente del Consiglio Berlusconi hanno firmato a Roma un documento per una posizione comune da tenere alla successiva riunione del Consiglio Ue di Barcellona e in seno alla commissione Giscard-Amato che dovrà scrivere la Costituzione europea. L'accordo di Roma segna la nascita di un asse europeo Italia-Gran Bretagna, al quale si è unita anche la Spagna di Aznar, in contrapposizione all'alleanza franco-tedesca.
L'intesa tra il premier laburista e il neoduce nasce esplicitamente sotto il segno del liberismo più sfrenato e conclamato, in aperta sfida ai residui di "statalismo'' ancora presenti nei paesi dell'Unione e in particolare nella politica dei governi socialdemocratici di Jospin (allora in carica) e Schroeder. Nel comunicato emesso dopo il vertice, infatti, Italia e Regno Unito si impegnano, anche attraverso incontri bilaterali periodici, a coordinare le loro politiche economiche per portare avanti a livello interno e in Europa, a partire dal prossimo vertice Ue di Barcellona, una "riforma'' dei mercati del lavoro, parallelamente con una "riforma'' dei mercati dei prodotti e dei capitali, che viene definita con il termine liberista di "modernizzazione'': "In particolare - sottolinea il comunicato congiunto - dobbiamo riesaminare l'attuale regolamentazione dei mercati del lavoro sia a livello europeo che nazionale per assicurare che essa tenga conto dell'esigenza di flessibilità per le imprese e del livello necessario di sicurezza e di occupabilità per i dipendenti''.
Le linee guida di questa politica dichiaratamente liberista sono fissate in un documento comune che oltre che sulla "riforma'' del mercato del lavoro punta sulla liberalizzazione della produzione e del mercato dell'energia (gas ed energia elettrica, su cui ci sono resistenze soprattutto da parte francese), su una regolamentazione europea delle scalate societarie (Opa), sull'integrazione dei mercati finanziari, sulla riduzione degli interventi statali nell'economia, sulla innovazione tecnologica, in particolare nel campo informatico e telematico, sull'incentivazione della rete di piccole e medie imprese.

SFRUTTAMENTO SELVAGGIO DEI LAVORATORI
In un altro documento in 25 punti viene presentata nel dettaglio la ricetta dei due governi per "creare nuovi posti di lavoro e aumentare il tasso di occupazione'': per prima cosa si sottolinea che "il modello dell'occupazione a lungo termine presso un unico datore di lavoro sta scomparendo a poco a poco e viene sostituito da quello di una vita lavorativa fatta di lavori diversi, che richiedono capacità differenti''. Sulla base di questa premessa si invoca quindi un'intensificazione delle "riforme'' che portino a una maggiore "flessibilità'' del mercato del lavoro, respingendo "le pressioni derivanti dalla fase ciclica di rallentamento degli ultimi mesi che spingono per ritornare a politiche tradizionali di sovvenzionamento e di tutela dei posti di lavoro, politiche che nel lungo termine avrebbero conseguenze per la crescita dell'occupazione''.
Bisogna al contrario, secondo i due governi, premere l'acceleratore sulle forme di lavoro "flessibile'', come il part-time, i contratti "atipici'', il lavoro in affitto, la mobilità, gli incentivi fiscali all'occupazione precaria, ecc. In parole povere sullo sfruttamento selvaggio della mano d'opera. Sotto questo aspetto l'intesa tra la politica thatcheriana di Blair e quella marcatamente liberista e antisindacale di Berlusconi e del suo tirapiedi leghista Maroni non potrebbe essere più perfetta.
Non per nulla, nella conferenza stampa al termine del vertice romano, i due premier hanno parlato perfettamente all'unisono, da vecchi amici e alleati, ignorando come un dettaglio insignificante la loro appartenenza a schieramenti politici europei formalmente "opposti''. Il laburista Blair, a chi cercava di fargli notare la contraddizione, ha risposto seccamente e senza un'ombra di imbarazzo che le "vecchie distinzioni tra destra e sinistra non sono più valide come lo erano 30 o 40 anni fa. Al di là delle idee politiche, i governi si devono confrontare su come creare posti di lavoro, posti di lavoro di maggiore qualità''. Del resto non era stato proprio lui a sentenziare, non appena apparve chiaro che intendeva proseguire e intensificare la politica liberista della Thatcher, che "l'economia non è né di destra né di sinistra''?
Musica per le orecchie del neoduce, che si è subito inserito nella sua scia sottolineando con sussiego che "non bisogna confondere la politica sociale con la politica di sinistra vetero-sindacale che mira a difendere i privilegi di chi ha un lavoro a scapito di chi non ce l'ha''. E poi, ha aggiunto Berlusconi in aperta sfida alle posizioni della Cgil, "la nostra politica sul lavoro è esattamente uguale a quella del partito laburista e del premier inglese. Mentre è completamente diversa dalla vetero-politica del sindacato comunista italiano''.

DESTRA E "SINISTRA'' INTERSCAMBIABILI
Se la musica è questa è naturale che l'intesa sia stata immediatamente benedetta dalla Fiat, il cui amministratore delegato, l'allora in carica Paolo Cantarella, aveva sottoscritto le parole dei due premier dichiarando che "le leggi dell'economia sono tali che non importa se c'è un governo di destra o un governo di sinistra, l'importante è che ci sia un mercato del lavoro in grado di creare crescita'', e sentenziando lapidariamente che "la logica del posto fisso è tramontata definitivamente''. Questo a ulteriore dimostrazione che al grande capitale non gliene frega nulla delle distinzioni formali tra destra e "sinistra'' socialdemocratica, tra conservatori e laburisti o tra Polo e Ulivo, ma gli importa solo che portino avanti, come in effetti fanno, la stessa politica favorevole ai suoi interessi economici, politici e strategici.
Ciò naturalmente non toglie che la "sinistra'' del regime neofascista sia rimasta completamente spiazzata e divisa dall'iniziativa spregiudicata di colui che fino a ieri considerava il suo principale alleato e interlocutore internazionale. Una parte dei DS, infatti, ha reagito assai stizzita all'avvenimento, arrivando a definire con Cesare Salvi "grave e inquietante il ruolo che Tony Blair sta assumendo in Europa e che lo ha reso di fatto il leader della destra europea'', e a chiedere con Mussi e Folena un sollecito "chiarimento'' in seno al Partito socialista europeo (PSE). Per altri invece, come il responsabile DS per il lavoro, Cesare Damiano, "la dichiarazione italo-inglese è coerente con il recente piano d'azione dell'Unione europea per migliorare le competenze e la mobilità dei lavoratori presentato nei giorni scorsi da Romano Prodi''. Ciò a dimostrazione di come sul piano dei principi e dei contenuti i rinnegati diessini e i loro alleati nell'Ulivo non possano aver nulla da obiettare, dal momento che hanno abbracciato da tempo gli interessi del capitalismo e dell'imperialismo.
Si dice anche - e ci pare assai probabile - che Blair abbia ottenuto da Berlusconi il via libera all'aggressione militare all'Irak che sta preparando insieme a Bush per i prossimi mesi. Tuttavia sarebbe sbagliato pensare che l'asse Roma-Londra, a cui si aggiunge Madrid (anch'essa favorevole all'intervento imperialista, mentre Parigi e Berlino sarebbero più titubanti) sia un'alleanza che guarda più agli Usa che all'Europa. Per Blair, come per Berlusconi, non è in discussione la loro adesione alla più vasta alleanza economica, politica e militare europea.

UNA UE IMPERIALISTA DI "STATI-NAZIONE''
Entrambi i leader hanno sottolineato il loro convinto europeismo, solo che non intendono per rispettive ma convergenti ragioni sottostare all'egemonia franco-tedesca. Un'egemonia ancora dominante, ma che già scricchiola sotto il peso delle difficoltà dell'economia tedesca e dell'incertezza delle scadenze elettorali. Mentre al contrario i governi di destra in Italia e Spagna e quello laburista in Gran Bretagna appaiono più solidi e al riparo da capovolgimenti politici.
Per Blair l'asse con Berlusconi ed Aznar rappresenta il cavallo di Troia che gli può permettere di far rientrare l'imperialismo britannico nel gioco europeo da protagonista di primo piano, ricavandone i benefici economici ma senza dover cedere quote di autonomia politica ad un super-governo Ue a guida franco-tedesca. Lo ha ben espresso il ministro inglese per l'Europa, Peter Hain, che in un'intervista a la Repubblica del 14 febbraio ha detto: "è evidente che la modernizzazione economica è centrale per noi. Ma con Roma troviamo convergenze anche su un'idea di Europa che non sia un super-stato federale guidato da Bruxelles, ma resti invece fondata sullo Stato-nazione''.
Quanto a Berlusconi l'asse con Blair ricalca a ben vedere le orme della politica estera di Mussolini alla fine degli anni '20, quando dopo aver consolidato il regime all'interno, il duce del fascismo, anche assumendo personalmente la guida del ministero, sviluppò una politica estera a tutto campo per soddisfare il bisogno dell'imperialismo italiano di "contare di più'' sulla scena internazionale.
In particolare la politica del neoduce con Blair ricorda in maniera impressionante quella di Mussolini con l'allora premier inglese Mc Donald, che per alcuni anni, dal 1929 fino ai primi anni del decennio successivo, vide lo svilupparsi di un'asse Roma-Londra in difesa dei rispettivi interessi geo-politici in Europa, Mediterraneo e Medio Oriente. Dopo l'avvento di Hitler al potere nel 1933 si fece più forte e prevalse via via in Italia la corrente favorevole all'alleanza con la Germania. Ma con Ciano la corrente filo inglese del fascismo sopravvisse fino all'immediata vigilia della guerra, a dimostrazione di un'antica tendenza che risale del resto - a conferma della realtà dei ricorsi storici - all'alleanza tra Inghilterra e Piemonte durante le guerre di indipendenza in Italia.
Anche per il neoduce l'intesa con Blair rappresenta quindi un mezzo per far valere di più gli interessi dell'imperialismo italiano nella Ue, oltreché una preziosa legittimazione personale di fronte alle critiche, anche di una parte della stessa stampa inglese, sollevate a livello internazionale dalla sua situazione giudiziaria e dall'enorme conflitto di
interesse che lo riguardano.

26 giugno2002