Con l'elezione plebiscitaria del rinnegato Veltroni
E' nato un nuovo (vecchio) partito borghese liberale e anticomunista
La democristiana Bindi ha scavalcato a sinistra il neosegretario che nega di essere stato comunista. Hanno votato per il PD grossi banchieri e imprenditori
Il leader del Pd chiede "subito" le controriforme istituzionali
Com'era scontato le elezioni primarie per il Partito democratico del 14 ottobre hanno incoronato leader a grandissima maggioranza il liberale borghese e anticomunista Walter Veltroni. Una maggioranza di oltre il 75%, che unitamente alla grande affluenza di oltre tre milioni di votanti ai seggi conferisce alla sua elezione un forte carattere plebiscitario, superiore alle previsioni.
Evidentemente ha funzionato bene il sostegno che la grande stampa borghese, da "la Repubblica" al "Corriere della Sera", per non parlare ovviamente de "l'Unità", del Tg1 di Riotta e del Tg3, ha accordato al neopodestà di Roma e al nascituro PD, come ha funzionato il pompaggio del "nuovo" soggetto politico da parte della grande borghesia, con diversi grossi banchieri e imprenditori che sono anche andati di persona a votare alle primarie. Tra questi l'amministratore delegato di Unicredit, Alessandro Profumo, la cui moglie era candidata con Rosy Bindi, i banchieri di Intesa Sanpaolo Pietro Modiano e Enrico Salza, il petroliere Massimo Moratti, la cui moglie Milly era candidata per Veltroni, l'avvocato degli Agnelli Franzo Grande Stevens, gli industriali Arturo Artom e Anna Maria Artoni, grandi elettori di Letta, la moglie del presidente di Pirelli Tronchetti Provera, Afef, testimonial per Veltroni, e il presidente del gruppo editoriale "l'espresso" Carlo De Benedetti, che votando a Torino ha dichiarato: "A fine 2005 auspicai che si andasse alla costituzione del PD e indicai anche in Veltroni uno dei leader che avrebbero potuto realizzarlo. La mia presenza è conseguente a quel che ho detto e pensato. Spero vivamente che il PD sia un elemento chiarificatore della politica italiana e ne metta in movimento il quadro".

Il candidato dei "poteri forti"
Tutto questo ha portato acqua al mulino di Veltroni, che con la sua politica di apertura al centro e a destra e di chiusura a sinistra, è stato fin dall'inizio il candidato superfavorito dei "poteri forti" e dei grandi mass-media del regime, e ha profittato più dei suoi avversari dell'alta affluenza al voto, lasciando agli altri candidati un ruolo da comparse che ha finito per far risaltare ancor di più la sua investitura plebiscitaria. La democristiana prodiana Rosy Bindi, che aveva cercato di ritagliarsi uno spazio scavalcando a sinistra il neopodestà di Roma con una campagna dagli accenti vagamente sociali e "laicisti", non ha raggranellato che il 14% dei voti, mentre il democristiano di destra Enrico Letta ancor meno, l'11%. Insignificante la prestazione degli altri due candidati, Mario Adinolfi e Piergiorgio Gawronski.
Con le primarie del 14 ottobre e l'investitura plebiscitaria del suo leader Veltroni nasce un nuovo (vecchio) partito borghese liberale e anticomunista. "Nuovo" perché non ha più niente in comune con la storia, i valori e le tradizioni del movimento operaio, della sinistra in generale e perfino della socialdemocrazia dai quali lontanamente proviene la sua componente principale, ed è invece in tutto e per tutto un partito borghese, anticomunista e liberale; un soggetto del tutto nuovo nel panorama politico italiano, dichiaratamente ispirato al Partito democratico americano, e a maggior ragione dopo queste elezioni primarie all'americana orchestrate sapientemente per dare una vernice "democratica" all'elezione del candidato già deciso dagli apparati politici e dai "poteri forti" che l'hanno sponsorizzato.
Non a caso, nella sua conferenza stampa subito dopo le primarie, Veltroni ha detto che "il Partito democratico inventerà un nuovo lessico per la politica italiana", perché, ha spiegato, "i cittadini non ci chiedono solo che il PD sia un'altra tappa di una storia, ma di fare una cosa del tutto nuova, chiedono discontinuità". E sempre non a caso, per sottolineare il "successo strepitoso" delle primarie, "l'Unità" ha titolato a tutta pagina "La rivoluzione d'ottobre", rilanciando una definizione del democristiano Dario Franceschini, braccio destro di Veltroni. Un'operazione quindi chiaramente suggerita al quotidiano vicino ai rinnegati della ex Quercia dallo staff veltroniano, per sottolineare la distanza siderale che separa ormai il nascituro PD dalle lontane radici della sua componente diessina.

Da revisionista ad anticomunista
Ma allo stesso tempo il PD è anche un partito vecchio, perché non è altro che la somma di due apparati di potere e di clientele politiche, quello dei rinnegati del comunismo, che hanno attraversato indenni e perfettamente adattati tutte le fasi del tradimento storico della classe operaia e del socialismo, fino ad approdare nel campo della borghesia e del liberalismo, e quello degli ex democristiani, che ancora coltivano le inveterate pratiche egemoniche e clientelari e i forti legami con la mafia e il Vaticano, più i rottami dei vecchi partiti socialista e liberale sfasciati da tangentopoli.
Lo stesso Veltroni, che per autoesaltare la "novità" della sua leadership liberale rispetto ad "ex comunisti" di apparato come D'Alema e Fassino, si vanta di non essere mai stato comunista, in realtà ha avuto più o meno la stessa storia e lo stesso percorso politico dei suoi ex compari nel PCI revisionista. Tant'è vero che in una sua recente biografia dal titolo "Veltroni, il piccolo principe", gli autori ricordano per esempio che in un suo discorso del 1974 sul problema della droga, il leader liberale e anticomunista del PD sentenziava: "I giovani sognano una società più giusta e umana, quella società per noi è il socialismo". E anche su Berlusconi la pensava assai diversamente da oggi, che chiede di non demonizzarlo, di smetterla di considerare nemico, ed è arrivato addirittura ad offrire pubblicamente a sua moglie Veronica di entrare a far parte del PD: "Dal 1988 ho avvertito che Berlusconi era un pericolo per la democrazia italiana", andava dicendo infatti, sempre a stare al suddetto libro biografico, negli anni della scesa in campo del cavaliere piduista.
Ma oggi Veltroni, forte dell'investitura plebiscitaria che gli dà una posizione di arbitro e di portavoce praticamente unico della "sinistra" borghese, ha ben altre idee, e scavalcando lo stesso Prodi chiama direttamente la destra borghese al dialogo in nome del "rinnovamento" del Paese, a cominciare dalle controriforme istituzionali, facendo sapere come segnale politico di aver trovato "graditissimo" il biglietto di auguri inviatogli dal caporione fascista Fini. Non a caso ha subito voluto precisare che quello che lo ha incoronato leader del PD è stato "un voto per e non contro, un voto sereno, razionale, determinato e anche allegro e festoso". E ha poi ribadito con enfasi che occorre fare subito il pacchetto di "riforme costituzionali" già all'esame in commissione parlamentare, tra cui la riduzione del numero dei parlamentari, il monocameralismo e la corsia veloce per i provvedimenti del governo. A cui egli aggiunge di suo il potere per il premier di nominare e revocare i ministri, e cioè il presidenzialismo: "risultati significativi - ha concluso con piglio decisionista Veltroni - potrebbero essere ottenuti in otto mesi".

17 ottobre 2007