15 arresti e blocco dei cantieri
Le mani della 'ndrangheta sulla Salerno-Reggio Calabria
Nell'inchiesta della Dda è finito in manette anche un sindacalista della Cgil
Con una raffica di 15 arresti e il sequestro di 5 società, il 9 luglio la Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria ha finalmente acceso una piccola luce sulle centinaia di appalti dell'autostrada Salerno-Reggio Calabria dove mafia, 'ndrangheta e camorra la fanno da padrone.
Dai risultati di un'inchiesta avviata circa 2 anni fa è emerso che i lavori di ammodernamento nel tratto tra gli svincoli di Serre, in provincia di Vibo Valentia, e Rosarno sono totalmente appannaggio delle cosche più potenti del vibonese e della città dello Stretto.
Per l'assegnazione degli appalti nei circa 50 chilometri dell'autostrada A3 compresi fra Mileto e Gioia Tauro le gare fino ad oggi espletate sono avvenute a suon di attentati dinamitardi e intimidazioni. Le cosche hanno avuto praticamente mano libera nel decidere a quale impresa assegnare un determinato lotto di lavori previo il pagamento di pizzo pari al 3% dell'ammontare per la cosiddetta "tassa sicurezza cantiere". Non solo; dopo l'assegnazione dell'appalto, la ditta che si era aggiudicato il lotto era costretta a girare in subappalto una parte dei lavori alle imprese collegate alle stesse cosche.
Considerando che per i lotti interessati ai lavori tra Mileto e Gioia Tauro sono stati stanziati oltre 100 milioni di euro, le cosche contavano di intascare alcune decine di milioni di euro considerando anche le forniture di beni e servizi il cui importo finiva con il sistema della sovrafatturazione direttamente nelle tasche dei boss di primo piano della 'ndrangheta come i Pesce-Bellocco, i Bonarrigo, i Mancuso, i Tassone o i De Stefano.
A pagare erano la Condotte spa, la Coop costruttori, la Gepco salc, la Baldassini-Tognozzi, l'associazione temporanea d'impresa composta da Sicilsonde, Italgeo, Caramazza, Rindone. Il tutto con violenza e minacce, scrivono i magistrati della Dda, "costituite dagli attentati subiti dalle ditte e dalla condizione d'assoggettamento ed omertà che deriva dall'appartenenza all'associazione a delinquere di stampo mafioso".
Dalle indagini coordinate dal Pm distrettuale Roberto Placido Di Palma è emerso che ogni intervento sui cantieri era già stato spezzettato e assegnato alle varie cosche: ai Mancuso toccava la competenza nel tratto Pizzo Calabro-Serra San Bruno, ai Pesce quello tra Serre e Rosarno, ai Piromalli l'area fra Rosarno e Gioia Tauro. Nell'elenco degli indagati, per i quali il giudice per le indagini preliminari, Angela Bandiera, non ha ritenuto di accogliere la richiesta della custodia cautelare in carcere, risulta il "capobastone" della famiglia gioiese, Gioacchino Piromalli, considerato dagli inquirenti l'elemento storico di cerniera tra gli anni '70 e il 2000 per tutti i lavori pubblici, dal costruendo Centro siderurgico, mai realizzato, ai lavori portuali fino alle opere più recenti per il rifacimento dell'A3.
I clan si incontravano in contrada Bosco di Rosario dove tenevano veri e propri summit per decidere le percentuali da imporre alle imprese e stabilire i criteri di spartizione sui territori di competenza. Oltre al pizzo gli accordi prevedevano anche l'ingresso nei subappalti e nelle forniture delle imprese collegate alle cosche. Al punto che è stato appurato come le stesse società appaltatrici abbiano consentito l'ingresso nei lavori alle ditte riconducibili alle varie famiglie della 'ndrangheta come ad esempio l'Icem e la Cofor dei fratelli Guarnaccia "collegati ai Condello di Reggio Calabria", la Gd Calcestruzzi e la Giacobbe Domenico di Vincenzo e Domenico Giacobbe "vicini ai Piromalli di Gioia Tauro", l'Edilmoviter, Costruzioni generali e Facep di Salvatore Tassone "legato ai Longo di Polistena e Jerinò di Gioiosa Jonica", la Paparo Antonio, l'"Eurocalcestruzzi", l'Imoter di Antonio Paparo "collegato ai Novella di Guardavalle" o l'Edilmag del defunto Donato Agrusti "stretto alle cosche De Stefano di Reggio e Pesce di Rosarno".
Le indagini hanno, dunque, posto in luce come "le procedure di subappalto fossero state avviate ancor prima dell'autorizzazione dell'ente appaltante". Insomma, i subappalti erano già decisi e prescindevano da una formale aggiudicazione o controllo dell'ente appaltante. "Il tutto - avvertono gli inquirenti - a scapito delle imprese pulite estromesse dalle gare in quanto non gradite all'ambiente".
Nell'inchiesta è coinvolto anche Antonio Noè Vazzana, sindacalista della Fillea-Cgil, finito in manette perché secondo gli inquirenti rappresenta una "figura centrale" per il controllo del territorio e la spartizione degli appalti. Tanto che, nel corso di una vertenza degli operai del cantiere di Asfalti sintex, spiega l'ordinanza, la famiglia Pesce si attivò perché il sindacalista "ammorbidisse lo sciopero indetto dai lavoratori che non percepivano la retribuzione mensile".
Insomma dopo oltre venti anni di lavori in corso, con cantieri aperti e poi richiusi, sequestri, truffe e inchieste della magistratura, lo scandalo politico-mafioso sull'autostrada Salerno-Reggio Calabria continua. E pensare che nel 1998 fu proprio l'allora presidente del Consiglio D'Alema a annunciare pomposamente l'inizio dei lavori di ammodernamento dell'infrastruttura assicurando che tutta l'opera si sarebbe conclusa entro il 2001.
Sono passati quasi 10 anni ma la fine dei lavori è ben lontana anche perché nei 5 anni successivi col governo Berlusconi e l'ex-ministro Lunardi, quello che disse: "Bisogna convivere con la criminalità organizzata", la mafia ha avuto di fatto una sorta di impunità istituzionale.

18 luglio 2007