Il neoduce vuol bloccare le intercettazioni e imbavagliare chi le stampa e le diffonde
Magistrati e giornalisti insorgono

Col pretesto di "garantire il diritto dei cittadini alla privacy e alla sicurezza" il 13 giugno il Consiglio dei ministri ha varato all'unanimità il famigerato disegno di legge Alfano recante le nuove "Norme in materia di intercettazioni telefoniche, telematiche e ambientali. Modifica della disciplina in materia di astensione del giudice, degli atti di indagine, e integrazione della disciplina sulla responsabilità amministrativa delle persone giuridiche".
Si tratta di un disegno di legge liberticida e fascista che di fatto blocca le intercettazioni telefoniche utilizzate dalla magistratura inquirente per fini investigativi e processuali col chiaro intento di salvare definitivamente il neoduce Berlusconi e la sua banda di malfattori dai guai giudiziari; spazza via ogni residua libertà democratico borghese inerente il "diritto all'informazione libera e pluralista" e imbavaglia la stampa per nascondere all'opinione pubblica la corruzione e il malaffare che regnano sovrani a tutti i livelli nelle istituzioni di questo marcio sistema capitalista e, come testimonia la norma ad hoc "salva clero" anche nelle alte sfere vaticane.
Non a caso il neoduce Berlusconi aveva tentato in un primo momento di imporre addirittura per decreto la nuova normativa anticipandone i contenuti il 7 giugno durante il convegno dei giovani industriali a Santa Margherita Ligure.

Artigli spuntati ai magistrati
Il ddl, che ora passa all'esame della Camera dove fra l'altro pare che gli sarà riservata una corsia preferenziale per una rapida approvazione definitiva, prevede in prima battuta che le intercettazioni saranno possibili solo per reati che abbiano il massimo della pena edittale dai dieci anni in su. Un altro stretto giro di vite viene impresso anche alle intercettazioni "ambientali" che sarà possibile attivare solo nei luoghi in cui esiste il fondato sospetto che si svolga il crimine.
Altre gravissime novità introdotte dal ddl riguardano le procedure: la più sconcertante riguarda l'autorizzazione stessa all'intercettazione che spetterà a un collegio di tre giudici che decideranno con decreto motivato e contestuale alla richiesta dell'autorità giudiziaria. Dunque il Pm non potrà più chiedere l'autorizzazione agli ascolti al Gip ma ad un organismo collegiale (magari di nomina governativa). E comunque, anche in caso di concessione dell'autorizzazione all'ascolto, è previsto che l'intercettazione deve concludersi entro un tempo massimo prestabilito di tre mesi. Non solo, è previsto anche che, le intercettazioni autorizzate per un'indagine non possono essere più utilizzate in un procedimento diverso da quello per cui sono state autorizzate. Ossia se un Pm che indaga su reato di una certa gravità, viene autorizzato a intercettare, ma poi scopre, grazie proprio alle intercettazioni, un reato ancora più grave, non può utilizzare le risultanze di indagine già in suo possesso ma per procedere deve aprire un nuovo fascicolo e ricominciare da zero. Non a caso la normativa prevede l'istituzione di un archivio riservato per la conservazione degli atti (che quindi non vanno più depositati in cancelleria) e le registrazioni vanno immediatamente distrutte dopo la sentenza definitiva.
Alcune deroghe sono previste per i reati contro la pubblica amministrazione (inclusi corruzione e concussione), usura, ingiuria, minaccia, molestia o "disturbo delle persone con il mezzo del telefono" e i cosiddetti reati "persecutori" come lo "stalking" ma solo su richiesta della parte offesa a tutela delle vittime.

Bavaglio e manette alla stampa
I cronisti che pubblicano intercettazioni oggetto di indagine (come quelle della clinica Santa Rita a Milano o di "Bancopoli", per fare solo due esempi) rischiano da uno a tre anni di carcere e una multa fino a mille euro. Nel caso si tratti di magistrati e pubblici ufficiali la pena per diffusione di notizie d'indagine sale fino a cinque anni. Nel ddl all'articolo 1 è inoltre inserita una norma che prevede "l'obbligo di astenersi" per il magistrato che ha "pubblicamente rilasciato dichiarazioni" sul procedimento che gli è stato affidato. Lo stesso articolo prevede che il capo dell'ufficio o il procuratore generale è obbligato a sostituire il magistrato sotto indagine per rivelazione del segreto d'ufficio.
Sarà inoltre reiterata una norma già presente nel ddl Mastella approvato dal governo di "centro-sinistra" e relativa alla modifica dell'articolo 617 che prevede la reclusione da uno a tre anni di carcere anche per "chiunque prenda illecitamente cognizione di atti del procedimento penale coperti da segreto".

La norma salva clero
Tra le pieghe del decreto c'è anche una norma salva clero. Il ddl all'articolo 12 dispone infatti che per le intercettazioni che riguardano vescovi, sacerdoti e rappresentanti del clero in genere, imputati di corruzione, usura o altro, il pubblico ministero deve inviare "l'informazione" addirittura "al Cardinale Segretario di Stato" presso la santa Sede. Mentre se si indagano semplici monaci e sacerdoti (per esempio per violenze sessuali) si deve avvisare il vescovo diocesano.

La condanna di magistrati e giornalisti
Altro che indipendenza della magistratura, libertà di stampa e pluralismo dell'informazione. Dall'Associazione nazionale magistrati, alla Federazione nazionale della stampa, dall'Ordine dei giornalisti agli editori, all'Unione dei cronisti si leva sempre più forte la protesta contro "questo ddl che fa paura ed è pericoloso". Netto il "no" al ddl Alfano da parte del presidente dell'Anm Luca Palamara che sottolinea: "le intercettazioni sono uno strumento investigativo indispensabile, specie in ambiti in cui è forte l'omertà"; il rischio aggiungono i vertici dell'Anm è che "possono restare fuori dalle intercettazioni reati a forte allarme sociale come il sequestro di persona non a scopo di estorsione, la rapina semplice, lo sfruttamento della prostituzione".
Contro il ddl si è schierato apertamente anche il sostituto procuratore della Dda di Palermo Antonio Ingoia che fa notare: "Oggi circa il 70 per cento delle indagini sulla criminalità organizzata si fonda sulle intercettazioni telefoniche, qualsiasi limitazione nell'ambito dei reati è una minaccia all'efficienza di questo importante strumento investigativo. Molte intercettazioni anche su mafia e criminalità organizzata, non sempre iniziano da quel tipo di reati, ma iniziano magari con ipotesi minori e poi vengono fuori gli elementi nuovi".
Mentre l'Associazione Stampa Romana denuncia che questa: "è la legge-bavaglio più grave, nella limitazione dei diritti dell'informazione, dai tempi del regime fascista. I giornalisti devono mantenere il diritto-dovere di informare, e di diffondere notizie penalmente rilevanti e di pubblico interesse; pertanto chiediamo alla dirigenza della Fnsi azioni di protesta esemplari, e di proclamare più giorni di sciopero, il primo da attuare in questa stessa settimana".

18 giugno 2008