No all'abolizione del valore legale della laurea

Chi si aspettava che la sostituzione dell'"autorevole" prof. Francesco Profumo (autorevole, certo, nei salotti borghesi per la sua direzione manageriale e aziendalista del Politecnico di Torino) a Mariastella Gelmini al dicastero di viale Trastevere avrebbe prodotto un cambiamento positivo nelle politiche governative in materia di istruzione, resterà deluso. Nella scorsa settimana si sono diffuse parecchie indiscrezioni sulle nuove mosse del governo: abolire il valore legale dei titoli di studio, che quindi diventerebbe poco più che carta straccia e non sarebbe più impiegato come criterio di valutazione nei concorsi pubblici, "rendendo ancora più arbitrari e oscuri i meccanismi concorsuali", come scrive la Rete della Conoscenza. Norma, questa dell'abolizione del valore legale della laurea, sostenuta fortemente dal "Piano di rinascita democratica" della P2 di Gelli e ora esaltata, fra gli altri, dal piddino ultra-destro Pietro Ichino che ha firmato sul Riformista un appello in tal senso.
Oltre a ciò il governo ha in mente un nuovo metro di valutazione delle università volto ad un'inaccettabile divisione concorrenziale fra atenei di serie A e atenei di serie B, figlia della famigerata "autonomia universitaria". Sarebbero quindi maggiormente valorizzate le "credenziali" degli studenti provenienti da università più "eccellenti", "meritorie" e "facoltose", cioè quelle più influenti e costose che sono riuscite ad accaparrarsi più fondi privati (ad esempio la Bocconi di Milano, noto tempio della finanza capitalista, di cui peraltro è presidente lo stesso Mario Monti). Gli studenti più poveri, che a questi atenei non potrebbero nemmeno avvicinarsi senza indebitarsi enormemente, sarebbero relegati in atenei di "serie B" e successivamente penalizzati rispetto ai laureati usciti da quelli di "serie A". Ecco la meritocrazia di cui si riempono la bocca i politicanti borghesi nostrani!
L'obiettivo dichiarato è quello di completare l'aziendalizzazione e privatizzazione delle università nonché la divisione classista degli studenti, mettendo una pietra tombale sulle conquiste del Sessantotto e del Settantasette.
Contro questa norma si sono schierate le organizzazioni studentesche, con il coordinamento universitario "Link" che la giudicava la "più spaventosa delle liberalizzazioni". La Rete 29 aprile ricordava invece che a questo progetto erano legati anche l'introduzione (già caldeggiata da Gelmini) dei prestiti d'onore e l'aumento delle tasse e prevedeva un crollo delle immatricolazioni in stile Regno Unito.
Anche il rettore dell'Università di Bari, Corrado Petrocelli, ha preso posizione contro il governo, affermando che "negare il valore legale della laurea significa compromettere definitivamente la mobilità sociale. Dietro queste proposte, c'è l'idea di concentrare le eccellenze in poche realtà, lasciando che tutti gli altri atenei svolgano attività derubricate a rango inferiore". Molti degli "atenei di serie B", infatti, sarebbero proprio nel nostro martoriato Mezzogiorno.
Alla conferenza stampa seguita al Consiglio dei ministri del 27 gennaio, Profumo (contestato dagli studenti a Roma appena il giorno prima) ha assicurato che queste norme non sono state inserite nel decreto legge sulle semplificazioni.
Bisogna però tenere alta la guardia. Monti non ha certo rinunciato a questa aspirazione e lo dimostra il fatto che ha già avviato una "consultazione" via internet sul tema. Dovrebbe far riflettere anche l'affermazione dell'ex ministro berlusconiano Gelmini: "Quel che conta è che il processo sia stato avviato".
Questo passo indietro del governo, sia pure parziale, dimostra che il movimento studentesco può farcela se si mobilita con forza e combattività. Adesso non deve farsi ingabbiare dalle false e fuorvianti aperture di Monti e proseguire la lotta per cacciare il governo della grande finanza, dell'UE e della macelleria sociale prima che faccia altri danni alla già disastrata istruzione pubblica.

1 febbraio 2012