No all'arresto del presidente del Sudan
L'eventuale mandato di carcerazione della Corte penale internazionale violerebbe la sovranità e l'indipendenza dello Stato africano

Il procuratore generale della Corte penale internazionale (Cpi), Luis Moreno Ocampo, ha chiesto ai giudici di emettere un mandato di arresto per genocidio, crimini contro l'umanità e crimini di guerra contro il presidente del Sudan Omar Hassan al-Bashir. L'accusa è quella di aver "commesso, attraverso altre persone, un genocidio contro i fur, i masalit e gli zaghawa", tre dei principali gruppi etnici che abitano in Darfur, la regione occidentale del Sudan teatro dal 2003 di una sanguinosa guerra.
La richiesta del procuratore, presentata lo scorso 14 luglio, è stata appoggiata dal segretario generale dell'Onu, Ban Ki-moon. In un comunicato ha invitato "il governo del Sudan a continuare a cooperare completamente con le Nazioni Unite, tenendo fede ai suoi obblighi per garantire la sicurezza del personale Onu" presente nel paese, e sottolineato che la Cpi "è un'istituzione indipendente e che le Nazioni Unite devono rispettare l'indipendenza del processo giudiziario". Un tentativo per dire che la questione è di competenza della Corte e non del Palazzo di vetro quando, diversamente dagli altri casi trattati dalla Cpi, in quello del Darfur la richiesta di indagare sulle responsabilità per i crimini commessi in cinque anni di guerra è partita direttamente dal Consiglio di Sicurezza, con la risoluzione numero 1593 del 2005 e su suggerimento di una commissione di giuristi internazionali presieduta dall'italiano Antonio Cassese e creata per decidere se il conflitto in Darfur potesse essere dichiarato genocidio oppure no.
Si sono dichiarati preoccupati per le possibili conseguenze negative dell'azione giudiziaria della Cpi sui difficili negoziati di pace per il Darfur, sia la Lega Araba che l'Unione Africana, che ha chiesto alla corte internazionale di sospendere il procedimento contro Bashir "fino a che non troveremo una soluzione ai problemi primari del Darfur e del Sud Sudan".
Una posizione che l'Onu sembra disposto a accogliere pur di poter continuare a operare nel paese con la "missione di pace" congiunta con l'Unione Africana.
Il governo di Khartoum rispondeva attraverso il portavoce del ministero degli esteri affermando che il Sudan "non riconosce nulla di ciò che proviene dalla Cpi", considerato "non esistente". Il Sudan non è tra i 106 stati che hanno ratificato il Trattato di Roma, istitutivo della Corte e quindi ha il diritto di non riconoscere la giurisdizione della Corte sul proprio territorio.
L'iniziativa dell'Onu di avviare l'indagine della Cpi è quindi una violazione della sovranità del Sudan promossa dal Consiglio di sicurezza e avallata anche da Usa, Russia e Cina che pure non hanno ratificato il Trattato di Roma. La risoluzione sul Darfur fu approvata col voto favorevole della Russia e l'astensione di Usa e Cina, come dire due pesi e due misure a favore dei paesi imperialisti più forti che si mettono sotto i piedi il diritto internazionale e la parità giuridica tra gli Stati.
Una situazione che rende ancor meno credibile l'organo sovranazionale è che le sue iniziative finora hanno riguardato solo esponenti africani. Alla sbarra del tribunale sono finiti cinque congolesi, quattro ugandesi e due sudanesi; in tutti i casi, tranne che il Sudan, su richiesta dei governi dei paesi coinvolti (Repubblica Centrafricana, Uganda e Repubblica Democratica del Congo) ma non è un caso che il tribunale eserciti la sua azione in Africa, teatro di "guerre minori", e non contro crimini ben più evidenti da quelli compiuti dagli imperialisti occupanti in Iraq o Afghanistan o dai sionsiti imperialisti contro il popolo palestinese.

1 ottobre 2007