No alla Finanziaria che dà regali ai padroni e elemosine al popolo
Gli statali sciopereranno per il mancato finanziamento del contratto

Il governo della "sinistra" borghese venerdì 28 settembre ha varato la sua seconda legge finanziaria, quella del 2008. Lo ha fatto all'unanimità, cioè anche con i voti della cosiddetta "sinistra radicale". Il giorno avanti Giordano per il PRC, Diliberto per il PdCI, Mussi per SD e Pecoraro Scanio per i Verdi avevano sentenziato: la bozza preparata dal ministro per l'Economia, Padoa-Schioppa, è completamente da rifare. Ma sono bastate alcune piccole concessioni in materia di redistribuzione delle risorse a favore dei più "deboli", più formale che reale, per fare marcia indietro e diventare sostenitori della manovra economica e finanziaria licenziata. Il che ha permesso al presidente del consiglio, accompagnato dai suoi ministri, di presentarsi alla stampa raggiante e pontificare: "È una manovra di svolta", è "una Finanziaria leggera nei numeri e corposa nei provvedimenti", il governo si presenta al Paese "orgoglioso per una manovra che investe nel futuro e fiero del gioco di squadra che è stato fatto". E ancora: "Una manovra che mette al centro la famiglia e le fasce più deboli, a partire dalla riduzione Ici e dal 'piano casa', che inizia un'operazione di redistribuzione che sostiene la domanda in un momento difficile e aiuta le imprese sul fronte della crescita".

Nessuna svolta
Che sarebbe stata una Finanziaria "diversa" da quella dell'anno precedente, caratterizzata da una stangata di 35 miliardi di euro e da tagli drastici alla spesa sociale e pubblica, oltreché cospicui sgravi fiscali per le imprese, era prevedibile vuoi perché i conti dello Stato sono migliorati sensibilmente, vuoi perché sono aumentate in modo corposo le entrate fiscali, il famoso "tesoretto" di oltre 8 miliardi di euro costituitosi con l'extra-gettito fiscale, ma soprattutto perché i consensi popolari verso il governo dell'Unione sono precipitati vertiginosamente e, di conseguenza, i contrasti all'interno della maggioranza si sono intensificati. Lo si era capito anche dal taglio dato al Documento di programmazione economica e finanziaria (Dpef) 2008-2011 approvato il 28 luglio scorso. Ma da qui a dire che siamo di fronte a una manovra di svolta ce ne corre. Anzi, al di là di atteggiamenti tattici dettati dalle circostanze, al di là di taluni provvedimenti di tipo compassionevole, leggendo bene la manovra nel suo divenire, considerando che ad essa è collegato il protocollo del 23 luglio su pensioni, "mercato del lavoro" e competitività, sapendo che ad essa seguiranno nei mesi successivi disegni di legge sulle liberalizzazioni e sul federalismo fiscale a livello locale, per non dire del piano Nicolais di riduzione drastica del personale del pubblico impiego solo rinviato, la politica economica e sociale di questo governo è e rimane di stampo neoliberista e filopadronale.
Non per caso la Confindustria ha accolto la manovra con un applauso a scena aperta; mentre i sindacati confederali Cgil, Cisl e Uil hanno dovuto loro malgrado dissentire per l'assenza di sgravi fiscali a favore dei lavoratori dipendenti, la mancata tassazione delle rendite finanziarie e l'insufficienza degli stanziamenti per i contratti del pubblico impiego tanto da minacciare uno sciopero degli statali a fine ottobre con manifestazione a Roma. Ma andiamo per ordine. La manovra è composta da tre provvedimenti: la legge finanziaria vera e propria di 11 miliardi di euro circa di cui 6,3 miliardi di maggiori entrate e 4,6 miliardi di minori spese; un decreto di 7,5 miliardi di euro spendibili sin dal 2007; il protocollo del 23 luglio con relativa copertura economica siglato con le "parti sociali", da approvare nel consiglio dei ministri del 12 ottobre come "collegato" alla suddetta Finanziaria.

Il più alle imprese
Nell'illustrare la manovra tutti i ministri, compresi quelli della cosiddetta "sinistra radicale", tendono a mettere l'accento sui provvedimenti che riguardano l'Ici, gli affitti, il piano casa, il bonus per gli "incapienti", e ad oscurare quelli a favore delle imprese che invece fanno la parte del leone. Già nella precedente Finanziaria avevano ottenuto un taglio dell'Irap (Imposta regionale per le attività produttive) di cinque punti per un totale di cinque miliardi di euro. A ciò si aggiunge: un nuovo taglio di 5 punti, dal 33 al 28%, dell'aliquota Ires (imposta sulle società) e un ulteriore alleggerimento dell'Irap dal 4,25% al 3,9%. Il ministro Visco sostiene che ciò avverrà a "costo zero" per lo Stato nel senso che saranno cancellati alcuni incentivi e deduzioni, allargando così la base imponibile. Ma questa tesi non è credibile. Non è tutto. La manovra prevede per le piccole imprese con un fatturato inferiore ai 30 mila euro, il "forfettone", ossia un'unica aliquota del 20% che va a sostituire le altre tasse (Irap e Iva), con un abbattimento consistente dell'imposizione. Da non dimenticare la decontribuzione degli aumenti salariali aziendali e delle ore di lavoro straordinario contenuta nel protocollo del 23 luglio. Quanto all'adeguamento agli standard europei della tassazione delle rendite finanziarie in Italia, che pure faceva parte del programma elettorale dell'Unione, niente di niente.
Altra questione. Nella precedente Finanziaria le spese militari avevano registrato un mega aumento di 4, 5 miliardi di euro. Nella presente manovra è tutto confermato, salvo un piccolo e insignificante ritocco in basso. Le proteste del ministro della Difesa Parisi sono infatti subito rientrate. Possono così continuare i piani di ammodernamento delle forze armate e i piani interventisti e imperialisti all'estero. Soddisfatto il ministro dell'Interno Amato, per gli stanziamenti messi in bilancio per arruolare 4 mila nuovi poliziotti da impiegare, magari, contro i lavavetri, coloro che scrivono sui muri e le prostitute.
Vi sono stanziamenti per ferrovie e infrastrutture, non tutte necessarie, alcune dannose per l'ambiente e utili per la speculazione finanziaria. Si parla 1.035 miliardi per mille treni per i pendolari, 215 milioni all'Anas, 80 milioni per la Salerno-Reggio Calabria, 500 milioni per la nuova linea C della metropolitana di Roma, 150 milioni per il sistema metropolitano di Napoli, 150 milioni per la mobilità a Milano e poco altro.

Poco per i poveri e il sociale
E veniamo ai provvedimenti per un totale di 4 miliardi, indicati dalla "sinistra radicale" come risarcimento sociale. Di cui 1,9 miliardi a favore dei poveri. Si tratta di un bonus, una tantum, cioè solo quest'anno di 150 euro a persona da distribuire a Natale agli "incapienti" che sono coloro che hanno un reddito sotto i 7,5 mila euro l'anno ed essendo esentasse non possono usufruire di sgravi fiscali. Né più né meno di un'elemosina per comprarsi il panettone e che non migliora certo le loro miserevoli condizioni di vita.
C'è il pacchetto casa, un altro aspetto della Finanziaria, indicato come qualificante da un punto di vista sociale, ma che visto nella sua reale dimensione concreta ha un sapore propagandistico ed elettoralistico. La riduzione dell'Ici (Imposta comunale sugli immobili) sulla prima casa per coloro che non superano un reddito di 50 mila euro l'anno per un tetto massimo di 200 euro, oltre lo sconto di 103 in atto, ma la media è calcolata in 100 euro. Il mancato introito per i comuni sarà coperto dallo Stato. Una detrazione Irpef di 300 euro l'anno per le famiglie che vivono in affitto con un reddito fino a 15.493 euro, contributo che calerà a 150 euro se il reddito è superiore non oltre i 30.987 euro. Inoltre vi sono 550 milioni di euro per l'edilizia popolare a canone sociale.
Seguendo questo metodo, nella manovra si trovano un pugnellino di milioni per l'Università e la ricerca, un altro pugnellino per i non autosufficienti e i migranti, un po' di spiccioli per i libri di testo per la scuola media gratis (anche a quella privata?), altri spiccioli per la rottamazione dei frigoriferi.
Non ci sono sgravi, lo ripetiamo, per i lavoratori dipendenti che pure sono tra i maggiori contribuenti dello Stato, con esosi prelievi fiscali direttamente in busta paga, e hanno visto ridursi fortemente il potere d'acquisto. Non ricevettero nulla nella manovra del 2007, in quanto la riduzione del cuneo fiscale fu solo a vantaggio delle aziende, non ricevono nulla ora. Mancano provvedimenti per bloccare le tariffe di luce, gas e acqua e i prezzi su pasta, pane e verdura che volano in alto. Non ci sono finanziamenti sufficienti per il rinnovo dei contratti del pubblico impiego. Rimane tutto intero il problema della stabilizzazione dei precari nella pubblica amministrazione, destinato ad aggravarsi se poi andasse avanti il piano Nicolais, "3 fuori 1 dentro". Di Mezzogiorno non se ne parla neppure se si escludono gli stage semestrali per i neolaureati del Sud, nonostante l'ampliarsi del divario Nord-Sud.
All'ultimo tuffo, recuperando alcune proposte contenute nel ddl Santagata, integrandole con quelle di Chiti, Prodi ha inserito un pacchetto per tagliare i contributi statali ai partiti parlamentari e gli stipendi parlamentari, nel tentativo di placare la protesta che si è diffusa nel Paese.
Si tratta del taglio del 10% dei rimborsi elettorali e del taglio della metà nello scatto biennale degli stipendi di deputati e senatori la cui consistenza è puramente simbolica e insignificante, sempre ammesso che non venga bocciato in aula. Del tutto simbolica e senza effetti concreti è da considerarsi inoltre la proposta di ridurre il numero dei parlamentari e dei consiglieri regionali, comunale e di circoscrizione.

Che sia generale lo sciopero
La manovra economica appena approvata non giustifica un cambiamento di giudizio nettamente negativo sul governo Prodi. Non riduce i motivi di protesta contro la sua politica economica e sociale e contro il protocollo sul welfare. È perciò da appoggiare lo sciopero generale indetto dai sindacati non confederali per il 9 novembre. Circa lo sciopero degli statali annunciato dai vertici sindacali confederali per la fine di ottobre? Alla buon'ora! Forse sono stati costretti dalla pressione dei lavoratori. Non importa, va bene lo stesso. Ma allora perché non allargarlo a tutte le categorie per imporre una reale inversione di tendenza alla politica economica e sociale del governo e uno stop alle pretese intollerabili del grande padronato? È ciò che chiedono i lavoratori dalle fabbriche.

3 ottobre 2007