Strumentale il richiamo alla sentenza della Corte di giustizia europea
No alla proposta Brunetta per le donne in pensione a 65 anni
Sono ben altri i provvedimenti necessari per favorire la parità uomo-donna
Opposizione dei sindacati confederali
Udite udite, l'ex craxiano e oggi berlusconiano ministro della Funzione pubblica, lo stangatore e fustigatore dei pubblici dipendenti, Renato Brunetta, pare essere preoccupato delle disparità esistenti in Italia per le donne rispetto agli uomini. Si riferisce forse all'accesso al lavoro e ai tassi occupazionali femminili, assai più bassi di quelli dell'altro sesso? No! Si riferisce alle differenze delle retribuzioni, più basse del 20-30% quelle percepite dalle donne rispetto a quelle degli uomini? No! pensa al doppio lavoro delle donne, quello professionale e quello casalingo per assistere figli e anziani data la carenza, quando non l'assenza, di asili nido e di strutture sociali e assistenziali? No! Pensa alla disparità tra uomo donna nei posti di responsabilità nelle professioni, nella politica e nelle istituzioni? No! Per questo ripugnante e, nei suoi modi ridicolo, ministro le sperequazioni antifemminili si superano parificando l'età pensionabile in alto. In soldoni portandola dagli attuali 60 a 65 anni.
Ha avuto la faccia tosta di avanzare questa incredibile e demenziale proposta partecipando al Forum "Terza economia organizzato da The European House Ambrosetti" il 13 dicembre scorso a Stresa (Lago Maggiore). Incredibile e vergognosa anche per il momento in cui cade, caratterizzato da una gravissima crisi finanziaria, economica e produttiva, con centinaia e centinaia di migliaia di posti di lavoro a rischio e di cui le donne sono per l'appunto le prime vittime. Ma ecco cosa ha detto Brunetta in proposito. "L'obiettivo è l'equiparazione maschi e femmine nell'età pensionabile". "Basta - ha aggiunto - con l'ottica di compensazione, di discriminazione, con l'ottica paternalistica per cui le donne sarebbero privilegiate perché penalizzate nella fase di maternità. Perseguirò - ha esclamato perentorio - l'obiettivo di perequazione, ovviamente verso l'alto, tra maschi e femmine per quanto riguarda il pensionamento". Il motivo? "per fare giustizia - ha precisato Brunetta - e per perseguire quegli obiettivi di innalzamento del tasso di occupazione, grande gap del nostro Paese rispetto agli altri". "Per quanto mi riguarda sono datore di lavoro di tre milioni e 650 mila persone e mi applicherò con determinazione al perseguimento di questo obiettivo". Ma "Potrebbe essere l'occasione - ha concluso - per estendere questa logica a tutto il sistema".
Il ministro ha giustificato questa bordata controriformatrice previdenziale con la sentenza della Corte di giustizia europea che, il 13 novembre scorso, ha condannato l'Italia per essere venuta meno agli obblighi dell'art. 141 CE relativi alla parità di retribuzione tra lavoratori di sesso maschile e lavoratori di sesso femminile "mantenendo in vigore una normativa in forza della quale i dipendenti pubblici hanno diritto a percepire la pensione di vecchiaia a età diverse a seconda che siano uomini o donne". Una sentenza che poteva e può essere contestata nel merito per come è formulata. Ma poi, ci sarebbe da aggiungere quante direttive della Ue rimangono inapplicate dai governi per varie ragioni? Anche la tesi secondo cui l'Italia è rimasta uno dei pochi paesi che in Europa non ha parificato l'età pensionabile tra i due sessi è per un verso falsa, e per un altro non tiene conto che in quei paesi dove la parificazione l'hanno fatta c'è un tasso d'occupazione femminile assai più alto e un sistema di welfare più ampio ed efficiente che alleggerisce non poco il cosiddetto "lavoro di cura".
Mentre nel "centro-destra" la proposta ha trovato più dissensi che consensi, il PD di Veltroni sempre desideroso di dialogare-collaborare col governo del neoduce Berlusconi, a Brunetta ha inviato una lettera aperta della senatrice Vittoria Franco dove si legge che: "Noi del PD sosteniamo le sue proposte sulla equiparazione dell'età pensionabile se lei sostiene (in una logica di scambio, ndr) il nostro progetto che prevede misure per promuovere l'occupazione femminile". Dichiarazioni contrarie sono venute da tutte e tre (questa volta) le confederazioni sindacali. "Il governo non ci provi nemmeno a mettere mano all'età pensionabile - ha detto il segretario della Cgil-Fp, Carlo Podda -. Le donne vanno in pensione con il massimo dell'età e con il nostro sistema si va sulla base dei contributi. Dire che la misura serve per risolvere la sperequazione è una provocazione intollerabile". "Al ministro Brunetta - ha sottolineato il segretario della Cisl, Raffaele Bonanni - vogliamo ricordare, senza voler fare polemica, che le pensioni sono una materia del governo ma anche delle parti sociali. Non è questo il momento di fughe in avanti. Le pensioni sono un tema delicato che non può essere utilizzato come uno spot pubblicitario". Telegrafico Angeletti segretario della UIL: "Non sono d'accordo sulla necessità: sono favorevole a fondare l'innalzamento sulla volontarietà, con incentivi".
Più articolato e argomentato il No all'aumento dell'età pensionabile per le donne da parte di Morena Piccinini che nella Cgil nazionale cura proprio il settore della previdenza. In premessa ricorda che nella legge 903 del 1977, meglio conosciuta come legge di parità di trattamento tra uomo e donna, tuttora in vigore, c'è già nell'art. 4, la possibilità però attenzione facoltativa per le lavoratrici, se lo vogliono di "continuare a lavorare fino agli stessi limiti di età previsti per gli uomini". Perciò è singolare giudicare discriminatoria "una norma che è stata pensata e voluta proprio per agevolare le donne offrendo loro un opportunità in più, quella di scegliere se continuare o meno a lavorare". Discriminatorio e penalizzante sarebbe, al contrario "costringere le lavoratrici - aggiunge Piccinini - a lavorare obbligatoriamente fino a 65 anni, tenendo conto che già oggi l'età reale di pensionamento delle donne è più alta di quelle degli uomini".
La sindacalista della Cgil evidenzia che con la "riforma" previdenziale del 1995 era stata introdotta in Italia la possibilità del pensionamento flessibile con età 57-65 anni uguali per uomini e donne. Poi soppressa dalla controriforma Maroni (legge 243 del 2004) introducendo anche nel sistema contributivo l'età pensionabile fissa: 60 anni per le donne, 65 uomini per gli uomini. Nega che le risorse risparmiate saranno poi utilizzate con certezza per le donne. È già accaduto nel 1992 quando l'età pensionabile fu portata da 55 a 60 anni e "tutte le promesse non mantenute". Tra l'altro, l'attuale governo si sta caratterizzando con provvedimenti che penalizzano proprio le donne: vedi la cancellazione della legge 188/2006 fatta per evitare i licenziamenti in bianco delle lavoratrici in caso di maternità, la detassazione degli straordinari, che non favoriscono certo le lavoratrici, la mancata stabilizzazione dei precari nel pubblico impiego in maggioranza donne.
Tutti gli studi confermano che le donne "studiano di più, ma vengono assunte meno, hanno meno opportunità di lavoro, a parità di lavoro hanno retribuzioni più basse, hanno meno opportunità di carriera o sono addirittura costrette al licenziamento in caso di maternità, hanno lavori saltuari, precari, discontinui, part-time, hanno a loro completo carico il lavoro di cura, e altro ancora: a fronte di questa situazione innegabile come si fa - è la conclusione di Piccinini - a dire che l'unica soluzione possibile per garantire pari opportunità alle donne è quella di costringerle a lavorare cinque anni in più"?
Tra l'altro, già oggi le donne hanno un'età reale di pensionamento più alta degli uomini, perché cominciano a lavorare più tardi, perché non hanno un lavoro stabile o regolare per anni.
Un No fermo e risoluto alla proposta provocatoria di Brunetta! Si vada alla mobilitazione generale se essa dovesse diventare provvedimento di legge!

14 gennaio 2009