In vista del secondo incontro tra il ministro Fornero, sindacati e Confindustria
No alla "riforma" del "mercato del lavoro" del governo Monti neoliberista e filopadronale
Contratto d'inserimento per i giovani con diritti ridotti per 3 anni. Demolizione degli ammortizzatori sociali. Licenziamenti più facili
Va fermata con lo sciopero generale e la lotta di piazza

Tira a diritto, eccome se tira a diritto il governo della grande finanza, della UE e della macelleria sociale guidato dal tecnocrate borghese Mario Monti, che si va affermando come il nuovo "cavallo di razza" del grande capitale italiano ed europeo. In tempi incredibilmente brevi, grazie all'appoggio dei principali partiti della destra e della "sinistra" borghesi e con la sostanziale sterilizzazione del parlamento sono stati approvati il decreto contenete la manovra economica di 30 miliardi e il decreto sulle liberalizzazioni denominati impropriamente e con una buona dose di ipocrisia "Salva Italia" e "Cresci Italia". A compimento di questo disegno neoliberista che affama le masse popolari e distrugge i diritti dei lavoratori ora è la volta della "riforma" del "mercato del lavoro" da realizzare, anch'essa in fretta, al massimo entro febbraio-marzo con provvedimenti strutturali e senza tabù, come ha rimarcato di recente il presidente del consiglio non attraverso, pare, un decreto ma con una legge delega, ma non è detto che sarà così; da definire (se possibile) con il consenso delle "parti sociali", ma senza una vera e propria trattativa e relativo accordo formale.
A proposito di quest'ultimo aspetto non propriamente secondario, che le intenzioni del governo siano queste emerge dalle modalità messe in campo per organizzare gli incontri tra il ministro del Welfare, Elsa Fornero, i segretari di CGIL, CISL e UIL Susanna Camusso, Raffaele Bonanni e Luigi Angeletti, il presidente di Confindustria Emma Marcegaglia, e il rappresentante di Rete-Imprese: prima incontri informali divisi organizzazione per organizzazione; poi un incontro plenario il 23 gennaio scorso dove il ministro ha presentato le (sue) linee guida per articolare la "riforma" con cinque tavoli di confronto su cinque temi individuati, dando per scontata l'approvazione, seduta stante, delle suddette linee guida. Alla fine di questa settimana è prevista una seconda riunione plenaria da dove, in teoria, dovrebbero partire i 4 tavoli di confronto, uno in meno di quelli che aveva proposto il ministro, sui seguenti temi: tipologie contrattuali; apprendistato, formazione e aggiornamento professionale; flessibilità, produttività e sviluppo; ammortizzatori sociali e servizi all'impiego. Ma sia Monti, sia la Fornero a più riprese hanno chiarito che una volta ascoltate le proposte delle "parti sociali" sarà il governo autonomamente a fare la sintesi da portare in parlamento per cogliere gli obiettivi che già la Banca centrale europea (BCE) aveva dettato in questo campo all'ex governo Berlusconi. E pace se il risultato finale sarà differente, in parte o in tutto, di quanto discusso con i sindacati e se scontenterà qualcuno, ad esempio la CGIL.

Linee essenziali e principali obiettivi
Vedremo se la Fornero modificherà qualcosa nella riunione in programma rispetto a quanto espresso sin qui: nella sostanza c'è da dubitarne. Tuttavia il progetto di "riforma" di stampo neoliberista e filopadronale perseguito dal governo è già emerso nelle sulle linee essenziali che poggiano su tre obiettivi principali: un contratto di inserimento per i giovani con caratteristiche di supersfruttamento; modifiche radicali peggiorative al sistema vigente degli ammortizzatori sociali; sterilizzazione in tutto dell'art.18 dello Statuto dei lavoratori e comunque provvedimenti che facilitino le modalità di licenziamento.
Sul primo punto la Fornero ha fatto riferimento al "contratto unico" modello Ichino, poi al modello Boeri-Garibaldi, successivamente ha parlato di "contratto prevalente" infine ha discettato sul contratto legato ai cicli della vita. Al di là delle varie denominazioni queste proposte sono essenzialmente simili: un contratto di tre anni con un sistema di diritti ridotti e crescenti nell'arco del contratto, ma senza la copertura dell'art.18 e quindi licenziabilità in ogni momento con un piccolo rimborso economico. In altre parole un allungamento spropositato e del tutto ingiustificato da un punto di vista professionale dei tempi di prova nel corso del quale il giovane lavoratore e perennemente sotto ricatto occupazionale e quindi obbligato ad accettare il totale comando padronale e impossibilitato a partecipare ai vari momenti della vita sindacale, assemblee, scioperi ecc. Al termine, solo pochi super selezionatissimi giovani potranno sperare di essere assunti a tempo indeterminato.
Sul secondo punto, Monti e Fornero vorrebbero, con un solo colpo, ridurre gli ammortizzatori sociali alla sola cassa integrazione ordinaria per un periodo non superiore ai 12 mesi, poi il licenziamento e il passaggio nelle liste della disoccupazione. Con la conseguente eliminazione della cassa integrazione straordinaria, compresa quella in deroga e del periodo di mobilità che segue in particolari casi di crisi e ristrutturazioni aziendali. Una proposta particolarmente sciagurata, dal momento che è stata avanzata in una situazione di grave crisi economica e recessione lungi da essere risolta che, secondo stime sindacali metterebbe a rischio 300 mila posti di lavoro. Togliere la cassa integrazione straordinaria (che insieme a quella ordinaria è coperta, tra l'altro, dai contributi dei lavoratori e delle imprese) significa spezzare il rapporto dei lavoratori con l'azienda in crisi dove sono occupati, e impedire il rientro una volta che questa crisi è stata superata.
Il terzo punto, quello di aumentare la flessibilità in uscita, tasto su cui batte forte anche Confindustria, il governo non intende demordere e vuole ottenerla in ogni modo. L'art.18 non è un tabù e va dunque abbattuto, è il ritornello quasi quotidiano cantato da Monti e Fornero. In ogni caso si devono facilitare i licenziamenti. Come? Con il contratto d'inserimento, nei primi tre anni di attuazione, riducendo gli ammortizzatori sociali alla solo Cig ordinaria per 12 mesi, con l'aumento del tetto dei dipendenti da 15 a 50 per applicare lo Statuto dei lavoratori, una proposta questa, presente nella bozza delle liberalizzazioni e momentaneamente accantonata. Altre proposte usciranno dal cappello della Fornero su questo versante per esempio, per liberalizzare il licenziamento individuale per motivi economici.
È pure vero che il ministro ha accennato a una eventuale istituzione del "reddito minimo garantito" senza specificare la cifra e i beneficiari. Aggiungendo subito però che non ci sono i soldi e dunque è un provvedimento da rinviare a un futuro indefinito.

Le reazioni al progetto governativo
In questa prima fase sia i sindacati che le associazioni padronali hanno accolto con freddezza le proposte del governo: "non c'è stata nessuna condivisione - ha detto la CGIL - delle proposte che il ministro ci ha illustrato". E hanno criticato il metodo imbastito dalla Fornero la quale aveva persino chiesto di proseguire il confronto per via internet (sic). Camusso, Bonanni e Angeletti chiedono che sui temi posti sul tavolo si svolga non un confronto delle idee, una sorta di dibattito, ma una trattativa vera da concludersi con soluzioni diverse da quelle avanzate dal ministro, condivise e fissate su un accordo. Ma è un risultato ottenibile questo senza una contestazione frontale e diretta del disegno del governo e senza accompagnare la trattativa con la mobilitazione dei lavoratori? Basti dire che il documento unitario messo a punto il 17 gennaio scorso dalle segreterie nazionali di CGIL, CISL e UIL per il confronto con il governo e la Confindustria non è stato minimamente preso in considerazione anche solo per la parte dedicata al "mercato del lavoro", e relative richieste fondate su: il contratto indeterminato come forma comune d'impiego; il contratto di apprendistato professionalizzante come forma d'impiego principale per i giovani; il contratto d'inserimento di reimpiego per i lavoratori disoccupati specie se over 50; il part-time per favorire la conciliazione tra lavoro e famiglia e anche per governare situazioni di crisi; percorsi che incentivino la trasformazione di contratti di lavoro impropriamente utilizzati, come il lavoro a progetto e false partite Iva, per ottenere la stabilizzazione del posto di lavoro. Circa le varie tipologie di lavoro flessibile non ne viene chiesto espressamente l'abolizione o quanto meno lo sfoltimento ma maggiori costi per il datore di lavoro che ne voglia fare uso. Circa gli ammortizzatori sociali è richiesto un riordino fondato su due strumenti: la cassa integrazione sia ordinaria che straordinaria e il sostegno al reddito in caso di perdita del posto del lavoro a causa di crisi aziendali con l'indennità di mobilità o di disoccupazione da rivedere nella durata e nella quantità del reddito. Più i contratti di solidarietà da utilizzare in alternativa alla messa in mobilità e ai licenziamenti.

Ci vuole la mobilitazione dei lavoratori
Senza la mobilitazione dei lavoratori, senza il loro pieno coinvolgimento finora esclusi da tutte le fasi di questa trattativa, nessuna consultazione è stata fatta o messa in programma sulle posizione del sindacato e sulle proposte del governo, è bene ripeterlo, non c'è alcuna possibilità di strappare un risultato positivo e nemmeno un compromesso accettabile. C'è chi, come Giorgio Cremaschi della FIOM, giudica la trattativa già totalmente compromessa. Perciò chiede che "almeno la Cgil trovi il coraggio di rompere con il governo. In ogni caso ci si dovrà mobilitare comunque per fermare la trattativa che preannuncia disastri".

1 febbraio 2012