Il Manifesto per un nuovo soggetto politico
Un nuovo inganno per ingabbiare gli anticapitalisti nel capitalismo e nelle istituzioni borghesi
Tra i promotori "Il Manifesto" trotzkista. De Magistris è d'accordo ma ritiene prematura l'iniziativa, che non può tagliare fuori IDV, SEL e PD. Firenze e Napoli le basi maggiori dei vecchi e nuovi riformisti di sinistra

Con il lancio dalle pagine de Il Manifesto del 29 marzo è partita una campagna di raccolta di firme su un "Manifesto per un soggetto politico nuovo, per un'altra politica nelle forme e nelle passioni". Questo documento nasce per iniziativa di esponenti dei movimenti per la legalità e in difesa della Costituzione sorti in questi anni, dei movimenti per i beni comuni nati dalla battaglia referendaria del giugno scorso, di quelli in difesa dell'ambiente come i No Tav, dei movimenti femministi e del "sindacalismo di base"; ma soprattutto è stato pensato e scritto a Firenze e a Napoli, tanto che tra gli estensori di spicco porta le firme del promotore dei "girotondi" fiorentini, Paul Ginsborg, dell'assessore ai beni comuni del comune di Napoli, Alberto Lucarelli e del giurista Ugo Mattei, promotore dei referendum sull'acqua, mentre tra i primi firmatari vi sono altri noti personaggi di questa variegata galassia come l'ex assessore all'ambiente del comune di Venezia e ora sostenitore della "decrescita", Paolo Cacciari, il giuslavorista Luciano Gallino (SEL), il costituzionalista Stefano Rodotà, l'ambientalista ex "Lotta Continua" Guido Viale, ecc.
Il Manifesto ha già raccolto alcune migliaia di firme, e i suoi promotori hanno fissato un primo appuntamento nazionale il 28 aprile, dove non escludono la possibilità di presentare "liste di cittadinanza politica" o comunque di dare indicazioni di voto per le prossime elezioni amministrative. Ma l'obiettivo più ambizioso è quello di arrivare alla fine del processo ad un nuovo soggetto alternativo sul piano politico ed elettorale nel panorama degli attuali partiti parlamentari, e che si possa presentare in forma organizzata alle elezioni politiche del 2013.
Da cosa scaturisce, a chi si rivolge, come intende strutturarsi e agire, e soprattutto quali obiettivi si prefigge questo nuovo soggetto politico? I suoi promotori muovono dalla constatazione che ormai i partiti parlamentari sono completamente screditati, tanto che meno del 4% degli elettori si dichiara soddisfatto di loro, e che quindi occorre "riscrivere le regole della democrazia, aprirne le porte, abolire la concentrazione del potere ed i privilegi dei rappresentanti, cambiarne le istituzioni", e ciò attraverso "la fondazione, anche a livello europeo, di un soggetto collettivo nuovo"; un soggetto capace di parlare ai giovani, alle operaie e agli operai, ai ceti medi del pubblico impiego, ai precari e finanche alla rete dei piccoli produttori e del lavoro autonomo.

"Arricchire" la democrazia borghese "insostituibile"
Partendo dall'assunto che oggi occorre "diffondere il potere, non concentrarlo", gli estensori del Manifesto propongono di "arricchire la democrazia rappresentativa", che definiscono ancora "insostituibile" perché basata sul suffragio universale e sul voto segreto, con "nuove forme di democrazia partecipata", impegnandosi sia dentro che fuori le istituzioni e puntando soprattutto sulla rete dei Comuni per la difesa e la valorizzazione dei beni comuni e dei diritti fondamentali ad essi collegati; e ciò anche per formulare proposte da sottoporre alla Commissione europea ai sensi del trattato di Lisbona, per un progetto di una Carta europea dei beni comuni come deliberato dal comune di Napoli, così da "inserire la nozione di bene comune tra i valori fondanti dell'Unione e fronteggiare la dimensione puramente mercantile". Esempi e punti di riferimento per la "democrazia partecipata" sono, per il documento, il "laboratorio di Napoli per una costituente dei beni comuni" della giunta De Magistris, il referendum on line, il Party, ovvero la "partecipazione attiva riunendo tavoli interagenti", ma soprattutto quella sperimentata a Porto Alegre in Brasile, che viene ritenuta "la più convincente" delle forme di democrazia partecipata.
Nella forma e nella struttura il nuovo soggetto dovrebbe differenziarsi al massimo dagli attuali partiti politici parlamentari di struttura ancora "novecentesca", a organizzazione piramidale, basati sull'omogeneità delle idee e dei valori, sulla rappresentanza e sulla delega, sulla contrapposizione amico-nemico, sul maschilismo, sul narcisismo e sul protagonismo dei dirigenti. Esso si dovrebbe basare invece "sulla passione, la trasparenza e l'altruismo", sull'"inclusione", la riattivazione del concetto femminista che "il personale è politico", la non-violenza, la "non esclusione dalla politica delle passioni e dei comportamenti individuali", e così via. Mentre la sua vita interna dovrebbe essere basata sulla "prevenzione" di ogni forma di burocratizzazione e di oligarchia e sull'"invenzione" di nuove forme di partecipazione dal basso, dotandosi di un codice etico e basandosi su primarie di selezione, rotazione degli incarichi e voto segreto. La sua struttura organizzativa dovrebbe quindi essere non piramidale ma confederale, con un "coordinamento itinerante" e una partecipazione dal basso assicurata da "consultazioni vincolanti tramite voto referendario e primarie, per la materia elettorale e non solo".
In questo modo, assicurano gli estensori del Manifesto, si realizzerebbero quattro "nodi radicali e di rottura": la rottura col "modello novecentesco del partito", la rottura col modello neoliberista europeo, mettendo invece al centro i beni comuni, la rottura con la "visione ristretta della politica, tutta concentrata sul parlamento e i partiti", la riscoperta "dei comportamenti e delle passioni", rompendo col modello praticato dai partiti attuali basato sulla furbizia, la rivalità e l'interesse personale. Il documento si conclude quindi con il rinvio a un primo appuntamento nazionale in una sede da definire come prima tappa verso la costruzione di "un soggetto che determini una trasformazione complessiva, costruisca anche alleanze e mediazioni ma con l'ambizione tutt'altro che minoritaria di mettere in campo un'altra Italia. Di lavorare per un'altra Europa".

Un nuovo soggetto per quale progetto di società?
La prima cosa che emerge con evidenza da un simile documento è l'assoluta assenza di un disegno politico strategico di cambiamento radicale del sistema economico, sociale e politico dominante, che ha un nome ben preciso, il sistema capitalistico, e che è all'origine dello sfruttamento e del depauperamento intensivi a scopo puramente mercantilistico e di profitto della natura, dell'ambiente e delle persone, nonché del degrado della vita sociale e della corruzione politica che pure i suoi estensori lamentano. Questo aspetto è da loro del tutto ignorato, come anche è ignorata la realtà del conflitto di classe che oppone oggettivamente il proletariato alla classe dominante borghese in camicia nera, che resta sempre la contraddizione principale e la sola che può mettere in crisi il suo potere a aprire la strada a una nuova società.
Ma i promotori del nuovo soggetto politico non si pongono questo obiettivo, si limitano a proporre un "rinnovamento" della democrazia borghese attraverso forme di "democrazia partecipata" del tutto all'interno del sistema capitalistico e delle sue istituzioni, e addirittura all'interno della stessa Unione europea imperialista, alle cui istituzioni e leggi propongono di demandare la tutela dei beni e dei diritti fondamentali della popolazione difendendoli dalla rapacità della finanza, degli speculatori e del mercato. La loro non è un'alternativa radicale al capitalismo, ma solo un'alternativa riformista di sinistra o finanche liberale di sinistra agli aspetti più devastanti e disumani del liberismo capitalista imperante, senza però mettere in discussione l'esistenza del sistema economico che lo genera.
Non per nulla si rifanno all'esperienza altromondista e della "democrazia partecipata" di Porto Alegre, che peraltro ha già dimostrato nella pratica la sua natura velleitaria e inconcludente. Come si rifanno anche al "Laboratorio Napoli e della Costituente dei beni comuni" che non è altro che una riproposizione più aggiornata dei progetti di quei movimenti semi-istituzionali che nei primi anni 2000 sorsero e morirono rapidamente sulla scia del Forum di Porto Alegre. E che più recentemente erano riemersi con la commissione Rodotà per una legge sui beni comuni istituita nel 2007 dal governo Prodi, con la campagna referendaria del 2011 e col Forum dei beni comuni del 28 gennaio 2012 a Napoli (cfr. Il Bolscevico n. 35 del 6/10/2011 e n. 7 del 23/2/2012).
Perfino Rossana Rossanda, che pure è tra i dirigenti del quotidiano che sponsorizza e sostiene il lancio del nuovo soggetto politico, si rende conto di questa stridente contraddizione e gli rimprovera in sostanza di essere un "soggetto senza progetto", che "non va oltre la vasta quanto vaga esigenza di far esprimere in forme dirette la società civile", per fare che cosa non si sa. Non solo, come osserva la cofondatrice de Il Manifesto trotzkista, il documento "non scomoda Marx, né il movimento operaio, né la lotta di classe" ma, aggiungiamo noi, gli unici punti di riferimento storico-politici a cui si ispira e che cita espressamente sono tutti di matrice liberale e borghese, da Carlo Cattaneo a John Stuart Mill, da Norberto Bobbio a Gandhi, a dimostrazione della natura spiccatamente riformista, liberale e interclassista del progetto.

"Democratizzare" l'economia di mercato, andare "oltre la società borghese"
Ciò trova conferma anche in certi successivi interventi dei suoi promotori, come quello per esempio di Ugo Mattei su Il Manifesto del 1° aprile, in cui scrive che "per noi è giunto il momento di mettere in campo un Comitato di Liberazione Nazionale dalla tirannia del pensiero unico e di farlo con tutte le forze che ancora credono che il diritto debba governare l'economia e non esserne dominato". Come se fosse possibile, in un regime capitalistico, far prevalere gli interessi della collettività a quelli egoistici e alla sete di profitto della classe dominante borghese, imporre alla speculazione finanziaria e al mercato capitalistico un diritto ispirato al benessere sociale. La stessa tesi, del resto, che viene spacciata, in maniera forse ancor più smaccatamente liberale, anche da Alberto Lucarelli, che su Il Manifesto del 6 aprile auspica la "costruzione di una nuova forma di diritto pubblico e di nuove soggettività politiche, che oltre la forma partito siano capaci di leggere le nuove forme del conflitto, del dissenso, della resistenza, di declinare le nuove categorie giuridiche, economiche, sociali, al punto da andare oltre il regime borghese proprietario dominus-bene, o comunque in grado di rappresentarlo a condizioni diverse".
Anche Rodotà, intervenendo su Il Manifesto del 12 aprile, si muove in questo ambito riformista liberale, preferendo accentuare anzi, più che i caratteri movimentisti del nuovo soggetto, quelli che lo possono inserire nei percorsi istituzionali "più democratici" a livello nazionale ed europeo: come quelli della "Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea", o che portano "dritti alla Costituzione, al lavoro fondamento della Repubblica democratica", o quelli che possono ricondurre i partiti "al modello costituzionale che li vede attori della determinazione dell'indirizzo politico con metodo democratico", e così via.
"Andare oltre il regime borghese", ossia attenuarne le forme più brutali e intollerabili per renderlo più accettabile. Ma non certo abbatterlo: a questo si riduce insomma il progetto del nuovo soggetto politico. Anche la forma organizzativa che si vuole dare a questo soggetto, con l'insistere sul rifiuto del "modello novecentesco", sul suo carattere spontaneista, interclassista, basato più sul "personale" che sul politico, più sull'individuale che sul collettivo, più sul movimentismo che sul centralismo, per non parlare dei valori del femminismo, della non-violenza, ecc., denota il suo carattere marcatamente riformista e liberale borghese.
Quanto alla "democrazia diffusa", si tratta di un altro inganno per tenere ingabbiati gli anticapitalisti all'interno delle istituzioni rappresentative borghesi, illudendoli di poterle democratizzare con forme di partecipazione diretta basate pur sempre sui meccanismi classici della democrazia borghese, di cui pure si proclama il rifiuto a parole, come dimostra la riproposizione delle primarie di selezione, del voto segreto, dei sondaggi, delle "limitazioni di mandato" e così via.
Lo stesso De Magistris, nonostante sia una figura di riferimento per la "democrazia partecipata" teorizzata dai promotori del nuovo soggetto, si mostra cauto nei confronti di un progetto tanto roboante quanto velleitario. In un'intervista a Il Manifesto del 1° aprile giudica "positiva" e "condivisibile" l'iniziativa, ma avverte che ci vuole la "tempistica giusta" e che non deve essere "un fatto solamente velleitario". Deve essere invece un "di più" che faccia vincere le elezioni nel 2013. Non si può escludere cioé, il rapporto con IDV, SEL e Federazione della sinistra, con i quali il neopodestà di Napoli ha in progetto la formazione di una lista civica nazionale. Così come non si può escludere del tutto neanche il PD. In ogni caso lui non è interessato per il momento a guidare un simile progetto perché ha intenzione di fare il sindaco di Napoli a tempo pieno.
"Secondo me andava più condivisa, sarebbe stato più utile allargare la rete delle persone che potevano essere da subito soggetti fondatori non solo di un appello-manifesto ma anche di una lista", aggiunge De Magistris. Insomma, auguri e se son rose fioriranno. Ben più convinta sarebbe la sua adesione se l'iniziativa del Manifesto sfociasse in un appoggio elettorale alla sua lista, fa capire l'ex pm campano. Il quale non si fa scappare però l'occasione per esaltare in chiave presidenzialista la sua elezione diretta a sindaco di Napoli, tanto osannata anche dagli estensori del Manifesto, sottolineando che "secondo me l'elezione diretta del sindaco è stata una delle poche leggi buone degli ultimi venti anni".

Non cadere nella nuova trappola riformista ed elettoralista
Ben diversa è la proposta del PMLI di costruire ovunque le istituzioni rappresentative delle masse fautrici del socialismo, costituite dalle Assemblee popolari e dai Comitati popolari, con delegati eletti direttamente dalle assemblee con voto palese e revocabili dalle stesse in qualunque momento. Quale contributo e quale forza potrebbero dare gli intellettuali a questa proposta rivoluzionaria capace veramente di scardinare dalle fondamenta il sistema capitalistico, invece di cercare di edulcorarlo e ammansirlo come fanno i vecchi e nuovi riformisti del Manifesto per un nuovo soggetto politico, se non addirittura servirne le istituzioni per ambizione personale com'è il caso del presidenzialista De Magistris!
Proprio adesso che l'infuriare della devastante crisi economica e finanziaria rimette in discussione le basi stesse del capitalismo e che masse sempre più vaste di operai, lavoratori, giovani, donne, stanno riprendendo gradualmente coscienza della necessità di abbatterlo e guardano di nuovo con speranza al socialismo, ecco che i vecchi marpioni trotzkisti, riformisti e liberali di sinistra mettono in piedi questo nuovo inganno per ingabbiare i sinceri anticapitalisti nel capitalismo e nelle istituzioni borghesi. Proprio adesso che i partiti della destra e della "sinistra" del regime neofascista, che sguazzano nella corruzione e nel malaffare e tutti sostengono direttamente o indirettamente il massacro sociale portato avanti dal governo Monti, sono completamente screditati agli occhi delle masse e temono un astensionismo record alle elezioni, ecco spuntare un ennesimo specchietto per le allodole per spargere nuove illusioni elettorali e parlamentari tra gli astensionisti di sinistra che stanno liberandosi faticosamente dai lacci delle istituzioni rappresentative borghesi. Non a caso un'adesione convinta "al punto centrale della proposta, pur senza condividere il Manifesto nel suo insieme", è arrivata quasi subito dal trotzkista Paolo Ferrero, che così la traduce in chiave elettoralista: "Guardo con speranza alle esperienze del Front de Gauche o di Izquerda Unida e mi piacerebbe pensare che qualcosa di simile sia possibile farlo anche in Italia".
Gli anticapitalisti devono invece guardarsi dal cadere in questa nuova trappola, coscienti che la lotta per i beni comuni non può che essere condotta dall'esterno delle istituzioni borghesi e che anche questa battaglia può essere vinta definitivamente solo con l'abbattimento del capitalismo e l'instaurazione del socialismo. Come ha indicato recentemente il compagno Giovanni Scuderi nel suo editoriale per il 35° anniversario della fondazione del PMLI: "Checché ne dicano i riformisti di sinistra, il 'modello novecentesco del partito' è ancora attuale e vitale. Ogni altro modello, come dimostra la pratica, non può che essere di tipo borghese. Basta leggere qualche opera fondamentale di Marx, Engels, Lenin, Stalin e Mao per capire che l'unica via del proletariato è quella dell'Ottobre e che l'unico partito italiano che da sempre marcia su questa via è il PMLI".

18 aprile 2012