Dopo aver incassato il Protocollo di Prodi sul welfare
Cisl e Confindustria all'attacco del modello contrattuale. Epifani disponibile con la mediazione del governo
Tra gli obiettivi, depotenziare il contratto nazionale a favore di quello aziendale, il salario legato alla produttività e al "merito"
"Rete 28 aprile": "No alla proposta Cisl, la Cgil la respinga"
C'era da aspettarselo. Dopo la sigla degli accordi del 23 luglio 2007 sul welfare, pensioni e competitività, dopo il referendum tra i lavoratori, i pensionati e i giovani precari conclusosi con la vittoria del Sì, dopo la trasformazione di detti accordi in disegno di legge del governo, c'era da aspettarselo che i vertici sindacali confederali collaborazionisti e la Confindustria sarebbero tornati alla carica con maggiore arroganza e veemenza del passato per riproporre la "riforma" del modello di contrattazione, per sostituire quello attuale, introdotto dal famigerato accordo del 23 luglio 1993, con modifiche addirittura peggiorative.
Si è mossa in anticipo su tutti la Cisl, ossia quella confederazione sindacale che fu protagonista del "patto per l'Italia" firmato con Berlusconi nel 2002, ha influito non poco nella stesura del Protocollo Prodi sul welfare e da tempo preme per una "riforma" contrattuale con caratteri cogestionari, neocorporativi e filopadronali.

La linea di Bonanni
Nella Conferenza di organizzazione, tenutasi il 5 novembre scorso, il suo segretario generale, Raffaele Bonanni, ha infatti non solo riproposto la sua "riforma" del modello contrattuale, ma ha anche chiesto alle associazioni padronali di aprire subito un tavolo di trattativa per giungere a un accordo sul tema in questione. Lo slogan coniato da Bonanni a questo proposito recita: "lavorare meglio e di più, per produrre e guadagnare di più". Ciò attraverso il rafforzamento della contrattazione aziendale e il conseguente depotenziamento del contratto nazionale, attraverso un legame più forte e più ampio del salario alla crescita della produttività, da realizzarsi anche con flessibilità orarie e lavoro straordinario. Insomma: più sfruttamento dei lavoratori e più profitti per i padroni, con qualche briciola da devolvere ai più "volenterosi". Nel concreto Bonanni propone: 1) la triennalità della scadenza contrattuale, sia per gli aspetti economici che per quelli normativi (attualmente il sistema si basa sul biennio economico e il quadriennio normativo); l'accorpamento, e dunque la riduzione, dei contratti di lavoro di categoria; la definizione di un aumento salariale minimo in sede di Ccnl per lasciare spazio alla contrattazione aziendale "per distribuire - dice - produttività e relazioni industriali partecipative su tutti i fattori della produzione".
Pronta (e verrebbe da dire concordata) la risposta della Confindustria. Per noi si può aprire il tavolo domani, afferma Beretta, presente alla conferenza, purché ci sia anche la Cgil che fino ad oggi si è opposta. Quella di nuovi assetti contrattuali è "una riforma assolutamente urgente - aggiunge il presidente degli industriali, Luca Cordero di Montezemolo - per spostare il baricentro della contrattazione in azienda, cioè il luogo dove si prendono le decisioni strategiche". I tempi sono maturi, osserva, anche perché pezzi di questa "riforma", con il consenso di tutti e tre i vertici delle confederazioni sindacali, sono stati già approvati: la deroga sulla scadenza del contratto dei chimici, l'impegno di governo e sindacati di portare a tre anni il contratto del pubblico impiego, l'ampliamento dei tempi del biennio economico dei postali. Montezemolo, nello specifico, fa riferimento alle novità contenute nel Protocollo Prodi in tema di competitività, come lo sgravio contributivo fisso per le imprese del 25% sul premio di risultato e l'abolizione della contribuzione aggiuntiva sugli straordinari, per non dire della sostanziale conferma della legge 30 sul "mercato del lavoro".

Le pretese di Montezemolo
In sintonia con la Cisl, Montezemolo pensa a uno spostamento di quote di salario da contrattare a livello decentrato ma "che non si sommino a quelle definite a livello nazionale". Per aumentare i salari italiani che "sono - riconosce bontà sua - tra i più bassi d'Europa", il leader della Confindustria offre due ricette: "pagare di più chi si impegna di più", in altri termini chi si piega a ritmi di lavoro bestiali, allunga la propria giornata di lavoro con ore straordinarie e non sciopera; ridurre le tasse sugli aumenti contrattuali, anche la parte che tocca alle imprese perché, a suo dire, lo sgravio di cinque punti deliberato dal governo non può "che essere un primo passo".
Stupisce la posizione assunta dal segretario della Cgil, Guglielmo Epifani, nell'assemblea cislina sapendo che nell'ultimo congresso nazionale era stato espresso l'impegno per impedire lo "svuotamento" progressivo del contratto nazionale, di fatto ridimensionato da una lunga prassi di moderazione salariale, era stato denunciato che "è ormai incontestabile il fatto che in Italia si è verificato un grande spostamento della ricchezza prodotta verso i profitti e le rendite e che le retribuzioni hanno subito un arretramento tra i più significativi in Europa", era stato rivendicato perciò un potenziamento del contratto nazionale come strumento collettivo e unitario nel territorio nazionale per rivalutare i salari. Stupisce la posizione di Epifani perché sino ad ora si era rifiutato di parlare di "riforma" contrattuale in assenza di una proposta sindacale unitaria preventivamente discussa con gli iscritti e i lavoratori. Di più, indigna quanto da lui affermato, attuando l'ennesima vergognosa giravolta: "Una verifica credo sia necessaria. L'accordo del 23 luglio risale a tanti anni fa, è stato di grande importanza, ma a distanza di tanti anni credo che una verifica sia necessaria".
Epifani marca una differenza rispetto a Bonanni e Montezemolo non sulla sostanza ma sul metodo. I primi propongono che siano le "parti sociali" ad aprire il tavolo e a definire un accordo e solo dopo chiedere l'intervento del governo per ratificare quanto stabilito. Per il segretario della Cgil "deve essere il governo, chiamando al tavolo tutte le parti sociali... Se iniziamo la discussione con Confindustria, con il contratto del pubblico impiego aperto, con il commercio che si fa la sua discussione e i trasporti la loro, alla fine la situazione ci sfuggirebbe di mano". Insomma, fa capire, si deve fare una "riforma" della contrattazione e della "politica dei redditi" che, sul modello di quello vigente, valga sia per il settore industriale che per il pubblico impiego.
Per il governo risponde il ministro del Lavoro, Cesare Damiano, che esprime la disponibilità dell'esecutivo "qualora le parti sociali lo ritengano necessario", per rivedere il "patto sociale" del 1993 a partire dalla triennalità dei contratti nazionali di lavoro. A questo proposito va registrato il duro intervento del vicepresidente della Confidustria, nonché candidato a sostituire Montezemolo a scadenza di mandato, Alberto Bombassei che ha detto: "Francamente la sua - di Epifani, ndr - proposta puzza un po' di governo amico, anche troppo amico, dato che il ministro del Lavoro è un ex Cgil: E una Cgil in più al tavolo mi sembra troppo, ne basta una". Una dichiarazione che equivale a un "cazzotto in faccia" al segretario della Cgil specie se si considera che egli aveva avuto colloqui riservati con i piani alti di Confindustria concordando un percorso.

L'accordo del '93: cambiarlo? Come?
Tornando alle parole di Epifani. L'accordo del 23 luglio è di grande importanza? Certo per i padroni, non per i lavoratori, se è vero come è vero (dati di Mediobanca) che nel 1974 al lavoro andava il 70% della ricchezza, scesa al 53% nel 1996 e al 48% nel 2005. Se è vero (dati Ires-Cgil) che dal 1993 al 2003 su 21 punti di aumento di produttività ai lavoratori ne sono andati solo tre. Se è vero, come dice il governatore della Banca d'Italia, Draghi, che i salari italiani sono inferiori del 30-40% rispetto a Francia, Germania e Inghilterra. Aprire un tavolo sulla "riforma" della contrattazione, in un clima del genere, vuol dire andare incontro a un accordo fortemente peggiorativo della situazione esistente, con il governo o meno presente.
In totale disaccordo con la proposta Cisl si sono espressi Giorgio Cremaschi e la "Rete 28 aprile". Alla proposta Cisl di "riforma" del sistema contrattuale "dobbiamo dire un no grande come una casa" ha dichiarato Cremaschi. Ridurre la funzione salariale del contratto nazionale a favore dell'azienda? "È la stessa linea che portò ad abolire la scala mobile con la promessa di più salario". Il risultato si è visto! "In un sistema produttivo come quello italiano - prosegue - disperso in una miriade di piccole imprese e con una forte frantumazione territoriale, la linea della Cisl porterebbe a una nuova riduzione dei salari". È noto che non oltre il 30% dei lavoratori riesce a fare i contratti aziendali. In una lettera agli organi dirigenti "Rete 28 aprile" nella Cgil chiede che la Confederazione convochi il direttivo nazionale e puntualizzi la sua posizione prima di aprire qualsiasi confronto sia nel sindacato sia con le controparti. Una posizione che rafforzi e non indebolisca il contratto nazionale come avverrebbe con la triennalizzazione. La "Rete" ricorda che nel suo congresso la Cgil ha assunto l'impegno formale di rafforzare il ruolo del contratto nazionale per la parte salariale e per quella normativa. Solo su questa base, è la conclusione, può essere dato un mandato per la discussione in corso.
L'accordo del 23 luglio '93 va profondamente cambiato. Il sistema contrattuale e la "politica dei redditi" lì sanciti vanno fortemente rivisti. I lavoratori sono i primi a sostenere queste rivendicazioni e da tempo. Il punto è: come, quando, con quali contenuti e secondo quale metodo? Ad esempio, la chiusura dei contratti aperti sia nei settori privati che pubblici rappresenta una premessa imprescindibile. Un altro punto fermo è che qualsiasi proposta sia il frutto della consultazione e dell'approvazione dei lavoratori. Ma in che direzione devono andare queste modifiche? In quella di rafforzare il contratto nazionale, il solo strumento che può garantire trattamenti unitari su tutto il territorio italiano; diversamente arrivano i contratti territoriali di stampo federalista e tornano le "gabbie salariali". Questo non significa rinunciare ai contratti aziendali e di gruppo, con compiti di applicazione delle disposizioni dei Ccnl. Bisogna andare nella direzione di aumentare il potere d'acquisto dei salari, rifiutando l'allungamento dei tempi di scadenza dei contratti, abolendo la subordinazione degli aumenti ai tetti programmati dell'inflazione, rivendicando aumenti economici sostanziosi, reintroducendo un meccanismo automatico di salvaguardia dei salari dall'erosione del caro vita. In questo quadro è importante rivendicare un adeguato alleggerimento delle tasse sui salari del lavoro dipendente che annulli il fiscal-drag e che riduca in modo strutturale il prelievo fiscale. C'è poi il capitolo sui prezzi dei generi di largo consumo e sulle tariffe dei servizi pubblici che andrebbe affrontato di conseguenza.

21 novembre 2007