La controriforma è stata scritta dall'ex ammiraglio Di Paola, attuale ministro della Difesa
Bloccare il nuovo modello di difesa interventista
Costerà 230 miliardi in 20 anni. La spesa per gli armamenti lieviterà del 20% l'anno

Il nuovo modello di difesa approvato lo scorso febbraio dal Consiglio supremo di difesa presieduto da Napolitano e varato dal Consiglio dei ministri del 6 aprile, per adeguare lo strumento militare alle nuove esigenze della politica estera e militare interventista dell'imperialismo italiano, è approdato in parlamento dove sta per essere discusso dalla commissione Difesa del Senato.
Discusso per modo di dire, perché si tratta di un disegno di legge delega, e quindi il parlamento si limiterà a intervenire sulle sue linee generali, delegando al governo, come recita l'articolo 1, il potere di emanare "entro 12 mesi due o più decreti legislativi per disciplinare la revisione dell'assetto strutturale del ministero della Difesa e delle dotazioni organiche del suo personale militare e civile". Per di più a redigere e guidare questa ristrutturazione è delegato un militare, l'ex ammiraglio Giampaolo Di Paola, attuale ministro della Difesa, e se si aggiunge il silenzio totale e compiacente di tutti i mass-media di regime, con la sola eccezione de il manifesto, per nascondere alle masse questa gravissima operazione, c'è di che suonare l'allarme, come hanno fatto alcune organizzazioni pacifiste come la Rete disarmo, l'associazione Sbilanciamoci! e la Tavola della pace, che hanno bombardato di e-mail i senatori per invitarli a bloccare l'iter della legge.
Secondo il comunicato ufficiale emesso al varo del provvedimento, la "riforma" persegue due obiettivi: il primo è quello dell'"attuazione di strumenti operativi qualitativamente e tecnologicamente progrediti", resi indispensabili dal "rischio di terrorismo internazionale, la minaccia di proliferazione delle armi di distruzione di massa e l'instabilità di alcune aree del Mediterraneo e del Medio Oriente". Il secondo è quello della "necessità di contenere i costi, a causa dell'attuale congiuntura economica e finanziaria". Riguardo al primo obiettivo traspare evidente nella sua formulazione l'intento di adeguare rapidamente le forze armate ai mutati scenari geo-politici nello scacchiere mediterraneo e mediorientale, con riferimento in particolare alle rivoluzioni arabe, di cui l'intervento italiano a fianco di Usa e Nato in Libia ha rappresentato un primo banco di prova, ma anche ai possibili nuovi teatri di intervento imperialista, come in Siria e Iran.
Il secondo obiettivo parte dalla premessa di una carenza di risorse destinate alla difesa, lo 0,84% del PIL, a fronte di una media europea dell'1,61%, e che il 70% di tali risorse sia assorbito dalle spese per il personale, mentre quelle destinate all'operatività e agli investimenti dello strumento militare fanno la parte della Cenerentola essendo limitate rispettivamente al 12% e al 18%. Si persegue quindi un riequilibrio della spesa, portando al 50% quella per il personale e al 25% sia le spese per l'operatività che quella per gli investimenti in nuovi sistemi d'arma tecnologicamente avanzati. In questo quadro si procederà ad una riduzione del personale militare da 183 mila a 150 mila uomini, e di quello civile da 30 a 20 mila unità.

Nessun risparmio per la spesa pubblica
Ma le cifre sulle risorse alla difesa sono di molto sottostimate a bella posta. L'Istituto svedese per il disarmo, il Sipri, ci attribuisce l'1,4% del Pil, e l'associazione Sbilanciamoci! chiarisce che nelle cifre del governo non figurano le spese per le missioni internazionali (1,4 miliardi), né le spese per i sistemi d'arma, accollate al ministero dello Sviluppo economico. Secondo il Sipri sarebbero ben 9 i miliardi in più di quelli dichiarati dalla Difesa che sono occultati nei bilanci di altri dicasteri. In ogni caso per Di Paola il "riferimento tendenziale" per il bilancio della Difesa dovrebbe essere il 2% del Pil, superiore addirittura alla media europea, e questo la dice lunga su dove vogliono andare a parare i militaristi e guerrafondai nostrani.
D'altra parte la riduzione del personale militare e civile non porterà alcun beneficio alle casse pubbliche, anzi tutt'altro. Innanzi tutto la riduzione sarà diluita in un tempo lunghissimo, entro il 2024. in secondo luogo al personale della Difesa in esubero non saranno applicate le misure punitive riservate agli "esodati" del settore privato e agli altri dipendenti pubblici, ma avranno tutta una serie di garanzie e protezioni per la conservazione dell'impiego, della carriera, dello stipendio e della pensione. Tra queste il transito del personale militare in eccesso nelle aree funzionali del personale civile, col riconoscimento pieno del trattamento economico equiparato, la riserva di posti nei concorsi per le assunzioni presso le amministrazioni pubbliche, agevolazioni per il reinserimento nel mondo del lavoro (corsi di riqualificazione, forme di sostegno al reddito, ecc.), facilitazioni nella concessione di aspettativa, fino all'esenzione dal servizio, e così via.
Per il personale civile si prevedono "disposizioni transitorie intese a realizzare con gradualità la riduzione delle dotazioni organiche... anche attraverso l'adozione di misure dirette ad agevolare la mobilità interna, la trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale, il ricorso a forme di lavoro a distanza, il trasferimento presso altre pubbliche amministrazioni". Un trattamento in guanti bianchi, insomma, sul quale non risulta che la Marchionne del governo Monti, Elsa Fornero, per la quale "il lavoro non è un diritto", abbia avuto nulla da ridire.

Sacrifici per i lavoratori, soldi per l'esercito interventista
E dove andranno a finire i soldi risparmiati con questa riduzione del personale, ma in realtà semplicemente accollati ad altre voci della spesa pubblica? Non certo a ridurre il debito dello Stato, giacché, recita il ddl delega, "le risorse recuperate a seguito dell'attuazione del processo di revisione dello strumento militare sono destinate al riequilibrio dei principali settori di spesa del Ministero della difesa, con la finalità di assicurare il mantenimento in efficienza dello strumento militare e di sostenere le capacità operative". Ossia saranno destinate tutte all'acquisto di nuovi armamenti tecnologicamente più avanzati e capaci di aumentare la "proiezione" delle forze armate italiane sui nuovi scacchieri di guerra, nonché per finanziare gli interventi militari stessi.
In testa a queste spese, ovviamente, ci sono i 90 cacciabombardieri F-35, per un costo di ben 11 miliardi, più un costo imprecisato negli anni a venire per la loro manutenzione; i droni recentemente acquistati dagli Usa; la portaerei Cavour (costo 1,5 miliardi e 200 mila euro al giorno di costi di navigazione); le nuove fregate della classe Fremm (6 miliardi). E, naturalmente, le missioni di guerra all'estero, di cui solo quella in Afghanistan brucia quasi 800 milioni l'anno, ed è stata recentemente confermata sine die da Monti. Secondo la Tavola della pace il costo della "riforma" ammonterà a 230 miliardi in 20 anni, e le spese per armamenti cresceranno di un buon 20% l'anno.
Ma non basta. Allo scopo di incrementare ulteriormente le risorse da destinare alle spese per nuovi armamenti, Di Paola ha escogitato altre due novità particolarmente odiose, che sono:
1) La possibilità per il ministero della Difesa di farsi intermediario per conto di Stati esteri "per l'acquisizione di materiali di armamento prodotti dall'industria nazionale", il che per un ministro in affari con Finmeccanica rappresenta tra l'altro anche un lucroso vantaggio personale. Inoltre la Difesa, in accordo con il ministero degli Esteri, potrà anche vendere all'estero sistemi d'arma, mezzi ed equipaggiamenti in uso alle nostre forze armate, risultati "obsoleti o eccedenti", nonché incassare i proventi della vendita di caserme ed altri edifici dismessi. L'esercito interventista si fa anche mercante d'armi internazionale, insomma.
2) D'ora in avanti gli interventi dell'esercito in casi di terremoti, alluvioni e altre calamità saranno a pagamento, a carico delle amministrazioni locali, secondo precisi tariffari, come sarà stabilito - recita il ddl - da apposita "disciplina anche negoziale delle modalità di erogazione dei servizi resi a titolo oneroso dalle Forze armate a favore di altri soggetti, pubblici o privati, con recupero al bilancio del ministero della Difesa delle connesse risorse finanziarie".

Bloccare il golpe, abbattere il governo Monti
Così, mentre nel Paese imperversa la politica di macelleria sociale di Monti e Fornero e i lavoratori e le masse popolari sono chiamati a stringere sempre di più la cinghia e a sopportare i più odiosi tagli ai diritti sindacali, alla sanità, alla scuola, ai trasporti e agli altri servizi sociali, l'esercito interventista dell'imperialismo italiano non solo viene risparmiato dai tagli, ma addirittura è ancor più foraggiato e rafforzato, in perfetta continuità con la politica militarista e guerrafondaia del governo Berlusconi e dei governi di "centro-sinistra" che lo hanno preceduto. E che altro c'è da aspettarsi da un governo di banchieri e di manager del capitalismo, presieduto da un esponente della grande finanza massonica internazionale?
Occorre bloccare questo vero e proprio golpe che straccia l'art. 11 della Costituzione e vuol riarmare fino ai denti il nostro Paese per proiettarlo verso nuove avventure interventiste e neocolonialiste, e che si sta realizzando in gran silenzio alle spalle delle masse popolari inconsapevoli con il pieno accordo tra la destra e la "sinistra" della borghesia. Ma la sola lotta per bloccarlo in parlamento, come stanno pur lodevolmente tentando di fare le organizzazioni pacifiste, non basta. Anche perché da questo parlamento nero di nominati e corrotti, controllato dai partiti che sostengono il governo, e che ha già approvato tutte le più infami misure antipopolari di Monti, non c'è da aspettarsi nulla. Quello che ci vuole è la lotta di piazza, è lo sciopero generale, è l'unione di tutte le forze, anticapitaliste, antifasciste, antimperialiste e pacifiste, per buttare giù il governo Monti della grande finanza, della Ue e del massacro sociale.

25 luglio 2012