Grazie all'"aiutino" di Napolitano, nuovo Vittorio Emanuele III, e all'imbelle e ridicola "opposizione" parlamentare
Il nuovo Mussolini si salva ancora col voto di fiducia
Secondo Berlusconi "la lotta di classe è tramontata per sempre"
Va abbattuto dalla piazza

Ancora una volta col ricorso al voto di fiducia, il 53° della serie, Berlusconi è riuscito a salvare il suo governo neofascista e la sua poltrona di presidente del Consiglio. È successo il 14 ottobre alla Camera, dove ha ottenuto 316 voti a favore, uno in più della maggioranza assoluta a Montecitorio. È fallita la tattica dell'"opposizione" parlamentare coalizzata di PD, IDV, UDC, API e LibDem, di metterlo almeno in difficoltà, prima restando fuori dall'aula durante il suo discorso per marcare il suo isolamento, e poi non partecipando alla prima chiamata di voto per far mancare il numero legale.
A dare una mano al neoduce è stata anche stavolta, dopo il precedente del rifiuto di votare la sfiducia al ministro Romano, la pattuglia dei cinque deputati del partito radicale eletti nelle liste del PD, che pur votando alla fine contro la fiducia, hanno trasgredito alla consegna presentandosi a sorpresa in aula ("per rispetto alle istituzioni", si sono giustificati) durante il discorso del premier; nonché, il giorno dopo, partecipando, alla prima chiamata di voto e favorendo così, anche se non in modo numericamente determinante, il fallimento del tentativo dell'"opposizione" di far mancare il numero legale. Si è parlato a questo riguardo di una trattativa segreta tra Berlusconi e Pannella, dove in palio ci sarebbe stato il rinnovo della convenzione per Radio radicale. Fatto sta che Berlusconi li ha ringraziati pubblicamente in aula, e che hanno ricevuto due applausi a scena aperta dai banchi della maggioranza.
La disgustosa esultanza del premier e quella ancor più sconcia della sua truppa di gerarchi, cortigiane, lacché e "peones", il primo per lo scampato pericolo e i secondi per aver salvato la ricca pagnotta e il vitalizio, a cui ha fatto immediatamente seguito la promozione, chi a sottosegretario e chi a viceministro, di quattro deputati "incerti" che gli avevano venduto a caro prezzo i loro voti decisivi, fotografano in modo eloquente lo squallido mercimonio che domina sovrano in questo parlamento nero pieno di nominati, inquisiti, corrotti e venduti al servizio del nuovo Mussolini.
Come si è arrivati a questo ennesimo voto di fiducia? Tutto è nato da un clamoroso scivolone della maggioranza l'11 ottobre a Montecitorio, sulla votazione dell'articolo 1 del Rendiconto generale del Bilancio dello Stato per il 2010. La maggioranza richiesta per l'approvazione era di 291 voti, ma il governo ne otteneva solo 290. La bocciatura era di quelle clamorose, in primo luogo per il fatto in sé, perché senza l'approvazione dell'articolo 1 veniva inficiato il consuntivo di spesa per l'anno passato, e di conseguenza l'intero Bilancio, con ripercussioni anche sulla legge di Stabilità (ex Finanziaria) per l'anno prossimo: un fatto gravissimo, quindi, tale da paralizzare l'attività di governo, che sul piano politico equivale ad una sfiducia al governo stesso. Tanto che si ricordano solo un paio di precedenti nella storia della Repubblica, con i governi Goria e Andreotti, che in entrambi i casi erano sfociati nelle dimissioni del presidente del Consiglio.
Ma altrettanto clamoroso era anche il modo in cui ci si era arrivati, cioè a causa dell'assenza di una trentina di deputati della maggioranza, tra cui assenze di peso come quelle di Bossi, Maroni, Scajola, Scilipoti e perfino lo stesso ministro dell'Economia Tremonti, responsabile del provvedimento, "arrivato in ritardo" alla votazione. Era una chiara manifestazione di quelle avvisaglie di sfaldamento che da qualche tempo agitano la maggioranza nero-verde, che ha lasciato impietrito il neoduce, accorso in aula per votare anche lui fiutando evidentemente puzza di bruciato.

Soccorso provvidenziale dal Colle
Mentre le "opposizioni" chiedevano a gran voce che Berlusconi salisse al Quirinale per dare le dimissioni, lo stesso Fini saliva al Colle per far presente a Napolitano la gravità dell'impasse istituzionale, e numerosi esperti di diritto costituzionale confermavano che la prassi e la consuetudine istituzionale prevedevano le dimissioni del governo, la linea del neoduce era invece quella di netto rifiuto delle dimissioni, di derubricare a semplice "incidente tecnico" la bocciatura del Rendiconto, da lui considerato un puro atto formale da ripresentare in parlamento, e di chiudere l'intera vicenda con un nuovo voto di fiducia alla sua maggioranza che tappasse la bocca a tutti coloro che lo volevano far cadere.
E il nuovo Vittorio Emanuele III, Napolitano, è andato ancora una volta in suo soccorso, con un comunicato emesso il giorno successivo, in cui, pur adombrando "interrogativi e preoccupazioni" suscitati non solo dal voto sul Rendiconto, ma anche dall'"innegabile manifestarsi di acute tensioni in seno al governo e alla coalizione", finiva per lavarsene le mani delegando allo stesso Berlusconi il compito di trovare una soluzione allo spinoso problema: "È ai soggetti che ne sono costituzionalmente responsabili, presidente del Consiglio e parlamento, che spetta una risposta credibile", concludeva infatti il capo dello Stato. In pratica era come suggerire al nuovo Mussolini: vai in parlamento, fatti ridare la fiducia e vai avanti col tuo programma di governo.
E così è stato. Dopo una notte di febbrili telefonate e trattative condotte dal fido sensale, il plurinquisito Denis Verdini, e anche da lui personalmente per convincere gli elementi più tentennanti a non mollarlo, il neoduce è andato in parlamento a chiedere la fiducia e l'ha ottenuta di nuovo. Le defezioni, su cui aveva puntato le sue carte l'"opposizione", sono state pochissime, vuoi per le promesse di cariche e prebende, come infatti si è subito visto, vuoi anche grazie alla minaccia da lui agitata di andare alle elezioni a novembre e di non ricandidare i deputati meno fedeli, con la conseguente perdita del vitalizio per quelli alla prima legislatura.
Nel suo discorso del 13 ottobre, parlando ad una Camera mezza vuota per l'assenza delle "opposizioni", affiancato da un Bossi in plateale crisi di sbadigli, il nuovo Mussolini ha liquidato la bocciatura sul Rendiconto come un "incidente parlamentare", da sanare semplicemente con il varo di un nuovo provvedimento. Dopodiché ha irriso al tentativo di defenestrarlo, proclamando che "non c'è alternativa credibile a questo governo nelle assemblee elettive di Camera e Senato". E questo perché, ha spiegato passando sopra la Costituzione coi suoi stivali presidenzialisti tra gli applausi a scena aperta dei suoi manipoli totalmente padroni del campo, "è finita l'epoca in cui i governi li faceva una casta di capipartito. Ora i governi li fanno gli elettori, e li fanno votando per un simbolo in cui è esplicitamente indicato il capo della coalizione candidato alla presidenza del Consiglio".

Arroganza neofascista e presidenzialista
E qui Berlusconi ha reso un significativo omaggio all'"alta vigilanza arbitrale del presidente della Repubblica, peraltro impeccabile", ringraziandolo così per aver "sventato il golpe" contro di lui, come aveva titolato quella stessa mattina Il Giornale di proprietà della sua famiglia. Per poi, subito dopo aver sbandierato l'avallo politico del nuovo Vittorio Emanuele III, compiere un'altra forzatura anticostituzionale e presidenzialista dichiarando che se un governo cade in parlamento "la parola deve ritornare agli elettori. Questo è il sale della democrazia parlamentare nell'epoca del bipolarismo". Per il nuovo Mussolini, cioè, la Costituzione è carta straccia e la nostra non è più una Repubblica parlamentare ma è già a tutti gli effetti una repubblica presidenziale, con un premier eletto dal popolo e col potere di sciogliere le Camere al posto del capo dello Stato quando viene sfiduciato.
Ribadito ciò il neoduce ha proiettato il suo film personale sulla situazione del Paese: l'Italia ha un debito enorme, ma è stato ereditato dal passato (come se lui fosse appena sceso in politica e non avesse governato per i due terzi dell'ultimo ventennio), e comunque è "reso sostenibile dall'azione di questo governo". Tutto il male d'Italia si annida invece nel sistema giudiziario, nella carenza di infrastrutture (non c'è abbastanza cemento sul territorio) e infine nella contrattazione sindacale e nel "mercato del lavoro". Un "problema", quest'ultimo, ha sottolineato il premier strizzando l'occhio a Confindustria e ai sindacati crumiri CISL, UIL e UGL per un nuovo patto sociale corporativo mussoliniano sotto la sua egida, "che l'associazione degli industriali dovrebbe affrontare, insieme al governo e alle parti sindacali responsabili, visto che la vecchia lotta di classe è tramontata per sempre".
Dopo aver incassato la fiducia e averla festeggiata coi suoi, Berlusconi è salito, stavolta sì, al Colle, ma non per presentare a Napolitano le sue dimissioni, bensì il suo trionfo. Napolitano non ha fatto una piega, prendendo burocraticamente atto di questa "soluzione" della vicenda che egli stesso aveva consigliato e avallato, limitandosi a chiedere al premier "rassicurazioni" sul decreto sviluppo, cosa che ovviamente egli ha fatto.
Più tardi, in una lettera inviata ai capigruppo di PDL, Lega e Popolo e territorio (i cosiddetti "responsabili"), che lo avevano chiamato in causa per sanzionare la presunta "partigianeria" di Fini, Napolitano si è così giustificato per aver suggerito al premier la via d'uscita dalla grave situazione che poteva costargli le dimissioni: "Non ho ritenuto, confortato del resto dalla dottrina - espressasi anche nell'articolo del Presidente Onida, da me vivamente apprezzato - che vi fosse un obbligo giuridico di dimissioni a seguito della reiezione del rendiconto, ma che - anche in base ai precedenti verificatisi in casi analoghi di votazioni su provvedimenti di particolare rilievo nell'ambito della politica generale del Governo - fosse necessaria una verifica parlamentare della persistenza del rapporto di fiducia, come lo stesso Presidente del Consiglio ha fatto; anche se senza far precedere tale decisione da un atto di dimissioni, come si è invece verificato in taluni dei richiamati precedenti".

Avanti a tutta forza col programma neofascista
Un "aiutino", questo di Vittorio Emanuele Napolitano al neoduce, che ricorda molto da vicino quello che gli fornì ritardando di un mese la fiducia al suo governo che poi fu votata lo scorso 14 dicembre, dandogli tutto il tempo di comprarsi i voti che gli mancavano in parlamento per neutralizzare l'uscita dei finiani dalla maggioranza. Grazie anche a lui ora il nuovo Mussolini ha di nuovo la strada spianata, se non fino al 2013 almeno fino alla prossima primavera, poiché anche se nel frattempo il suo governo dovesse cadere lui resterebbe sempre in sella fino alla celebrazione delle elezioni anticipate. Che fra l'altro si terrebbero sempre con l'attuale sistema del "porcellum" che gli è favorevole. Intanto, scampato il pericolo, ha dato subito ordine ai suoi gerarchi di riprendere a tutta forza con i provvedimenti che gli interessano: legge sulle intercettazioni e prescrizione breve, per mettere la mordacchia ai magistrati e il bavaglio all'informazione e fulminare il processo Mills. E poi condono fiscale e "riforma" fiscale, per riprendere quota nei sondaggi elettorali solleticando con ciò gli appetiti dei grandi ricchi, evasori e speculatori, ma anche blandendo la più larga platea di piccoli commercianti, autonomi e di chi ha commesso piccoli abusi edilizi.
Ancora una volta la via parlamentare all'abbattimento di Berlusconi si è dimostrata inutile e fallimentare. Ancora una volta l'imbelle e ridicola "opposizione" parlamentare ha dimostrato di non avere i numeri, né la forza, né la necessaria determinazione per schiodare il neoduce dalla poltrona. Anzi, di non avere nemmeno l'esatta percezione della sua reale forza e pericolosità, come ha dimostrato il liberale Bersani limitandosi a definire il suo discorso arrogante, neofascista e presidenzialista, "un discorso penoso, prova dello sbandamento totale della maggioranza". Ancora una volta, quindi, i fatti confermano che il nuovo Mussolini può essere abbattuto solo con la lotta di piazza, la sola comunque in grado di contrastare realmente la sua macelleria sociale e i suoi provvedimenti volti a mantenersi in sella e rafforzare il regime neofascista, presidenzialista e federalista dominante.

19 ottobre 2011