All'Assemblea costituente di Rho
Nasce il "nuovo" partito fascista di Fini in concorrenza con quello di Berlusconi
Rissa tra i colonnelli sulla linea politica e sulle poltrone
Subito dopo alcuni parlamentari neri ritornano dal neoduce

Appena nato Futuro e libertà (FLI) ha già cominciato a perdere pezzi e rischia di essere cancellato dalla scena politica, quantomeno a livello parlamentare: questo il paradossale risultato della rissosa Assemblea costituente di Rho (Milano) che dall'11 al 13 febbraio ha tenuto a battesimo il "nuovo" partito fascista di Fini, nato per strappare l'egemonia del "centro-destra" a quello di Berlusconi. La rissa scatenatasi tra i colonnelli del presidente della Camera sulla linea politica e sulla distribuzione delle poltrone, infatti, ha finito per essere il tema conduttore di queste assise oscurandone completamente le ambizioni e le aspettative di "novità" politica, fornendo una ghiotta occasione al neoduce per pescare a piene mani tra i trombati e gli scontenti, molti tra i quali non hanno atteso neanche la fine del congresso per annunciare il loro ritorno all'ovile nel PDL o nel gruppo suo fiancheggiatore dei "responsabili" comprati a suon di milioni e di posti di sottogoverno da Berlusconi.
Non che le contraddizioni emerse all'assemblea non covassero già da tempo in seno a FLI, soprattutto dopo il fallimento del tentativo di spallata a Berlusconi del 14 dicembre, che aveva messo in luce l'eterogeneità e la debolezza della compagine parlamentare assemblata da Fini e dal suo vice Bocchino, una parte della quale, dopo una sconcia ma fruttuosa trattativa dietro le quinte, aveva disertato seduta stante al momento stesso di votare la sfiducia al premier. Da allora, a fronte di un Fini visibilmente bastonato e silenzioso, erano cresciuti i mal di pancia tra le file del suo piccolo esercito, soprattutto nel gruppo dei senatori, le cosiddette "colombe" contrapposte ai "falchi" Bocchino, Granata e Briguglio, accusati di voler rompere del tutto con Berlusconi e il "centro-destra" per inseguire l'alleanza con la "sinistra". E di conseguenza si erano infittite, in parallelo con l'intensificazione dello sfacciato "calciomercato" allestito dal neoduce in parlamento per comprarsi una maggioranza più sicura, le voci di altri deputati e senatori di FLI in bilico o in procinto di fare le valigie.
Ma questi scricchiolii sono letteralmente esplosi in aperta bagarre proprio al congresso di fondazione del "nuovo" partito, quando è apparso chiaro il tentativo di Fini di accelerare la differenziazione dal PDL, verso un partito più "liberale" ed "europeo" e verso il progetto di "terzo polo". E contemporaneamente di riprendere il controllo del partito in formazione tagliando di netto con i gruppi di potere ereditati dalla vecchia AN e trasferiti anche in FLI, per accentrare tutto il potere decisionale nelle sue mani attraverso il fedelissimo Bocchino, che ha voluto imporre all'assemblea come vicepresidente del partito con pieni poteri, essendosi egli "autosospeso" dalla carica di presidente in ragione del suo incarico istituzionale. Nel nuovo organigramma del partito disegnato da Fini, infatti, Bocchino è il vicepresidente plenipotenziario, Menia è il nuovo coordinatore e l'ex radicale Della Vedova, in chiaro segno di discontinuità con la vecchia AN, diventa il nuovo capogruppo alla Camera. Mentre l'ex coordinatore di FLI ed ex ministro, Adolfo Urso, è stato ridimensionato a semplice portavoce del partito.

Fini tenta di prendere il pieno controllo di FLI
Questa linea di fare tabula rasa dei vecchi assetti di potere ereditati dal passato e concentrare la direzione nelle sue mani e in quelle dei suoi fedelissimi è stata espressa a chiare lettere da Fini nel suo intervento all'assemblea, quando ha rimarcato che "non si possono ripetere gli errori del passato, ci vuole una governance chiara del partito, no alchimie per le quali si riproduca quello che è stato il peggior difetto del Pdl". "Dobbiamo dar vita - ha aggiunto - a un movimento che si organizza con una governance definita, con un ufficio di presidenza, un vicepresidente che avrà il compito di coordinare il lavoro parlamentare e dei coordinatori regionali - che vanno eletti entro il 31 dicembre, così come i segretari provinciali e regionali - occorreranno i capigruppo, un portavoce. Occorre poi una segreteria che non avrà uno solo degli amici eletti in parlamento o tra i consiglieri regionali, perché Fli non è una zattera di salvataggio. Solo donne e uomini che vogliono lavorare senza immaginare l'ipotesi di potersi candidare. Sarà un modo certamente diverso di organizzare il partito. Proprio perché non siamo An in piccolo, proprio perché teniamo in vita il sogno di fare quel che doveva essere il Pdl, ci saranno anche quelli che la tessera di An non l'hanno mai avuta perché si va oltre".
Allo stesso tempo ha cercato di rassicurare le "colombe" e gli scontenti che lui non vuole lasciare l'area del "centro-destra" per spostarsi a "sinistra", ribadendo che "al nostro interno non c'è diversità né sulla linea politica né sull'identità né sulla strategia che vogliamo seguire". "Il nostro - ha sottolineato - non è il pentimento di chi ha fatto il Pdl e ci ha ripensato, non è un atto d'orgoglio o ribellione al presidente del Consiglio", contro il quale - ha riconosciuto alla fine del discorso dopo averlo invitato retoricamente a dimettersi entrambi per andare subito alle elezioni - non sarà tentata più "nessuna spallata parlamentare, governi l'esecutivo se è capace". Ma FLI è e rimane un partito di destra, ha ribadito Fini, e "nessuno pensi di toglierci l'erba sotto i piedi o l'aria nella quale respiriamo dicendo che siamo diventati di sinistra. Noi crediamo negli stessi valori in cui credevamo prima di entrare nel Pdl. Non è vero che li abbiamo cambiati, è il Pdl che quei valori li ha distrutti e li ha resi ridicoli".
E a questo proposito ha snocciolato tutto un elenco di "valori" e di programmi da sempre tipici della destra, come le liberalizzazioni, le "grandi riforme", l'incentivazione della produttività come chiede Marchionne, la cui filosofia antioperaia deve diventare addirittura "un modello di riferimento", soprattutto nell'ottica di "associare i lavoratori alla gestione dell'azienda" tipica del modello cogestionario e corporativo fascista, la riforma fiscale di stampo berlusconiano a cui il neoduce avrebbe di fatto rinunciato e che il fascista ripulito invece rivendica, e così via. Quanto alla Lega si è guardato bene da sfidarla sul tema scottante del federalismo e dell'unità del Paese da essa irrisa particolarmente in questi giorni, ma ha sfoggiato toni concilianti offrendo una sorta di patto di governo per un anno, per fare insieme il federalismo, la Camera delle regioni e una nuova legge elettorale, dopodiché andare a votare a primavera dell'anno prossimo.

Fini perde pezzi e il neoduce li compra
Ma nonostante tutte queste rassicurazioni e puntualizzazioni Fini non è riuscito a sedare e far rientrare la rivolta per le decisioni prese a livello organizzativo. Urso si è mostrato apertamente contrariato dalla sua detronizzazione e il capogruppo dei senatori Viespoli ha dato per protesta le dimissioni, poi ritirandole ma restando sul piede di guerra. E subito sono ricominciate le defezioni verso il PDL, uno stillicidio che col passare dei giorni è diventato una vera e propria emorragia di parlamentari. Prima se n'è andato Menardi, facendo venir meno la quota minima di dieci per poter mantenere il gruppo al Senato. Subito dopo altri due senatori, Pontone e Rosso. Poi è stata la volta del deputato Bellotti, seguito a ruota da Barbareschi, che già da un pezzo veniva dato in uscita dopo un evidentemente fruttuoso pellegrinaggio ad Arcore. Per lui si parla di lucrosi contratti per la produzione di fiction e forse addirittura di prendere il posto di Bondi al ministero dei Beni culturali. Ma ormai sul punto di fare le valigie per tornare al servizio del neoduce vengono dati anche Urso, Viespoli, Ronchi, Baldassarri, Contini, De Angelis, Digidio, Saia.
Insomma il fascista ripulito Fini, che aveva l'ambizione di contendere la leadership della destra a Berlusconi, rischia di restare un generale senza esercito ancor prima di iniziare le manovre. Lo si può leggere anche tra le righe del comunicato che ha fatto pubblicare sul sito di FLI in cui ammette mestamente come "verosimile" l'ipotesi di un allargamento della maggioranza "vista l'aria che tira nel Palazzo e le tante armi seduttive di cui gode chi governa e dispone di un potere mediatico e finanziario che è prudente non avversare direttamente". Sembra che a questo punto per Fini sia a rischio perfino il controllo de Il Secolo d'Italia, che potrebbe passare nelle mani delle cosiddette "colombe" in uscita da FLI e quindi del neoduce stesso. Bisognerebbe chiedergli allora dov'era lui in tutti questi anni in cui questo potere nefasto ha potuto impiantarsi e rafforzarsi anche col suo aiuto.
Il nuovo Mussolini esulta perché il "calciomercato" sta funzionando a tutto spiano e gli ha già permesso di raggiungere quota 320 deputati, e con alcune operazioni di alchimia parlamentare potrebbe presto riprendere il pieno controllo delle tre commissioni, Bilancio, Giustizia e Affari costituzionali, che sono strategiche per l'approvazione del federalismo e delle altre "riforme" che sta per portare in aula: come quella della giustizia, la legge bavaglio sulle intercettazioni, il "processo breve", il ripristino dell'immunità parlamentare e quant'altro gli serve per cancellare i processi a suo carico e continuare a massacrare i lavoratori e demolire la Costituzione.
Anche il nuovo Vittorio Emanuele III, Napolitano, gioca a suo favore, nel momento stesso in cui dichiara alla stampa estera che "il governo governa finché ha i numeri", decretando con ciò irrilevante il modo sconcio e vergognoso con cui sono stati comprati e il fatto che a guidare il governo sia un imputato sotto processo per reati infamanti e che usa questi "numeri" per avere pieni poteri come Mussolini.

23 febbraio 2011