Accordo tra democratici e repubblicani sul debito Usa per evitare il fallimento
Obama capitola alla destra
Selvaggi tagli alla spesa pubblica. La sua sinistra lo attacca: "Svende lo Stato sociale". Declassato il debito Usa
Il dollaro non è più la moneta sovrana nel mondo

"I leader dei partiti, di tutte e due le Camere, hanno raggiunto un accordo che ridurrà il deficit ed eviterà il default, che avrebbe avuto un effetto devastante sulla nostra economia. La prima parte dell'accordo taglierà le spese di 1.000 miliardi di dollari in dieci anni. Il risultato sarà il livello più basso di spesa nazionale da quando Eisenhower era presidente, ma a un livello che ci consentirà ancora di fare investimenti per creare occupazione in settori come l'istruzione e la ricerca". Con queste rassicuranti parole ai primi di agosto il Presidente Usa Barack Obama ha annunciato l'accordo tra la Casa Bianca e i leader del Congresso sull'innalzamento del tetto del debito per complessivi 2.100 miliardi di dollari.
Frutto di un piano concordato tra il repubblicano McConnell e il leader dei Democratici in Senato, Harry Reid, la manovra di lacrime e sangue preannuncia una micidiale stangata per il popolo americano. Altro che compromesso "per evitare di ritrovarci in una crisi simile fra 6, 8 o 12 mesi", come sostiene Obama, in tanti parlano di pura e semplice capitolazione al programma dei neofascisti repubblicani: l'America non alza di un dollaro le tasse e la Casa Bianca dovrà fare selvaggi tagli alla spesa pubblica. Anche la "sinistra" del Partito lo accusa di essere stato troppo arrendevole nei confronti della destra e di essere finito "a parlare come loro, a pensare come loro, ad agire come loro". Tanto è vero che, dimenticate le parole che avevano fatto la sua fortuna: "Hope" e "Change", anche i sondaggi dicono che la sua popolarità è scesa sotto il 40 per cento, ed è in calo verticale anche sul suo blog in Twitter (9 milioni e mezzo di utenti). A quelle parole egli ha preferito le citazioni di Ronald Reagan con le quali ha chiesto agli americani di premere sul Congresso per fare approvare i tagli a programmi come Medicare e ai sussidi per l'agricoltura.
Non solo, il suo elettorato gli rimprovera anche l'aumento delle truppe in Afghanistan, la conferma dei tagli alle tasse ai più ricchi dell'era Bush, la mancata promessa della chiusura di Guantanamo, la falsa "riforma" sanitaria. Persino il New York Times, che fin qui lo aveva sempre sostenuto, titolava: "Con un bilancio che pende a destra Obama allarga la spaccatura nel suo partito: a rischio nel 2012 i voti liberal".
Ma forse il più duro colpo, per le sue ambizioni di risollevare le sorti dell'imperialismo americano, gli sono venute dal declassamento del debito Usa ad opera di Standard & Poor's. La valutazione AAA è stata infatti abbassata di un gradino, a AA+. "Il piano di risanamento - scriveva S&P - non è adeguato a quanto sarebbe necessario per stabilizzare nel medio-termine il debito. L'efficacia, la stabilità e la prevedibilità della politica americana si è indebolita in un momento in cui le sfide fiscali ed economiche aumentano". Il rating, spiegava Jean-Michel Six, capo economista europeo di S&P: "Non è una sanzione o una punizione. Facciamo delle diagnosi che permettono di confrontare la qualità del credito". Sta di fatto che si tratta di una decisione senza precedenti, in quanto è la prima volta che gli Usa si vedono ridurre il grado di affidabilità da una delle tre principali agenzie di rating, affidabilità che ora è inferiore a quella della Germania, della Francia o del Canada. Secondo gli analisti questa decisione "avrà un impatto sull'appetito degli investitori esteri per il debito americano, visto che nel 1945 i creditori esteri detenevano solo l'1% del debito americano, mentre ora ne controllano ben il 46%".
Tutti segnali della grave decadenza dell'economia reale Usa, dominata dalla speculazione e conseguenza anche di un costo del denaro eccezionalmente basso e del fatto che il dollaro, ricoprendo la funzione di moneta mondiale, ha permesso agli Usa di farsi finanziare per decenni il debito statale ed estero dal resto del mondo. Emblematica in tal senso la reazione della nuova superpotenza imperialista emergente. "La Cina, il più grande creditore dell'unica superpotenza mondiale, ha tutto il diritto - si legge in un durissimo commento diffuso dall'agenzia Nuova Cina - di chiedere oggi agli Stati Uniti la soluzione dei problemi di debito strutturali e garantire la sicurezza degli asset cinesi denominati in dollari". "I giorni in cui lo zio Sam, piegato dai debiti, poteva facilmente dilapidare quantità infinite di prestiti stranieri sono ormai contati", si legge ancora nel comunicato. Ancor più duro Guan Jianzhong, presidente dell'agenzia di rating cinese Dagong: "La risposta degli Stati Uniti al problema del debito è stata arrogante. Non ci vorrà molto tempo prima che scoppi la crisi del debito sovrano Usa. La crisi del debito Usa è più preoccupante di quella dell'eurozona, sia perché in Europa tocca solo pochi paesi ma anche per le diverse soluzioni adottate".
Tutto ciò dimostra, dal punto di vista economico, che gli Usa non sono più in grado di assolvere a quella funzione di dominio incontrastato della "globalizzazione" imperialista e che il dollaro non può più continuare a essere l'unica moneta di riserva e di transazione mondiale. Dal punto di vista politico testimoniano che si stanno sgretolando le illusioni che la "sinistra" borghese aveva sparso a piene mani a livello mondiale con l'elezione di Obama alla Casa Bianca.

31 agosto 2011