Parlando come se fosse il padrone del mondo
Obama detta la linea per il nuovo assetto del Medioriente e del Nordafrica
Inaccettabile ingerenza
Hamas: "Non riconosciamo lo Stato ebraico"

Il discorso sul Medio Oriente che il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha tenuto il 19 maggio a Washington parte da uno snodo centrale riassunto nella frase "la questione per noi è che ruolo giocherà l'America" in quell'area dove negli ultimi cinque mesi "abbiamo assistito a straordinari cambiamenti", dove "i popoli del Medio Oriente e Nordafrica hanno preso in mano il loro proprio futuro". Fino a cinque mesi fa Obama dialogava con l'alleato strategico egiziano, il dittatore Hosni Mubarak, aveva buoni rapporti con il dittatore tunisino Ben Ali e cooperava in nome della lotta al "terrorismo" col dittatore libico Gheddafi. Le rivolte popolari li hanno spazzati via in Tunisia e Egitto, Gheddafi resiste al momento anche all'inaccettabile intervento militare di Nato e Onu. Il futuro dei popoli nordafricani non è ancora nelle loro mani ma in quelle di governi di transizione sui quali grava la pesante ipoteca dell'imperialismo americano. È una pesante e inaccettabile ingerenza il ruolo che "giocherà l'America" secondo Obama, che ha parlato come se fosse il padrone del mondo e ha dettato la linea per il nuovo assetto del Nordafrica e del Medio Oriente in merito alla questione palestinese.
La politica degli Usa nella regione sarà quella di "promuovere le riforme e la transizione alla democrazia", ha affermato Obama. Dove questo passaggio sarebbe avvenuto, come in Tunisia ed Egitto, gli Usa sosterranno lo sviluppo economico chiedendo l'intervento del Fondo monetario internazionale e lanceranno un fondo ad hoc per investire nei due paesi. Il primo provvedimento annunciato è la cancellazione di 1 miliardo di dollari di debito all'Egitto. Dove non è avvenuto, come in Siria, partono le minacce: "il presidente Assad ha la scelta, può guidare la transizione o farsi da parte". La vocazione democratica di Obama, a conferma di quanto sia ipocrita, si arresta invece di fronte ai "nostri amici nella regione che non hanno risposto alla richiesta di cambiamento", dallo Yemen del dittatore Saleh al principe del Bahrein cui imputa "arresti di massa e uso della forza bruta" con l'aiuto dei carri armati dell'Arabia Saudita ma non gli riesce proprio andare oltre un invito al rispetto delle minoranze religiose e dei diritti delle donne. "Diritti universali" sconosciuti anche dal suo alleato, il re Abdallah, in Arabia Saudita dove sono vietati i partiti politici, la libertà di espressione e le donne non hanno alcun diritto, neanche quello di guidare la macchina. Ma quel che succede alla Mecca non è sfiorato nemmeno di striscio nel discorso del presidente americano.
Largo spazio ha invece avuto la proposta di una soluzione alla questione palestinese sulla base della fallimentare formula di "due Stati per due popoli", rilanciata da Obama con significative precisazioni: la soluzione dei due Stati prevede Israele come "stato ebraico e patria per il popolo ebreo" superarmato grazie al continuo aiuto degli Usa e la Palestina come "patria del popolo palestinese", disarmato e con frontiere che dovranno essere fondate su quelle del 1967, con scambi territoriali tra le due parti.
Si nota che Obama riconosce Israele come uno "stato ebraico", come voluto da Tel Aviv, una posizione che discriminerebbe la popolazione sul piano religioso a partire dalla minoranza araba israeliana e soprattutto punta, seppur indirettamente, a negare il diritto al ritorno alle loro case per i profughi palestinesi del 1948, oggi oltre 4 milioni, sancito dalla risoluzione numero 194 dell'Onu.
Non appena ha sentito parlare del rispetto dei confini del 1967 il premier sionista Netanyahu, che continua a annettersi illegalmente una parte della Cisgiordania con l'estensione delle colonie e la costruzione del famigerato muro, ha escluso qualsiasi ipotesi di ritiro richiamandosi a una lettera di rassicurazioni indirizzate in proposito a Tel Aviv nel 2004 dall'amministrazione Bush. E Obama si è subito allineato nell'applauditissimo intervento tenuto il 22 maggio all'Aipac (American Israel Public Affairs Committee), una delle principali lobby ebraiche americane, precisando che "avere Israele forte e sicuro rientra negli interessi strategici degli Stati Uniti, che sono impegnati a mantenere la superiorità della forza militare israeliana nella regione" e che "i negoziati sui confini tra Israele e palestinesi dovrebbero essere basati su confini con mutamenti reciprocamente concordati. Le parti coinvolte negozieranno da sole un confine diverso da quello che esisteva il quattro giugno del 1967" per tenere conto dei cambiamenti avvenuti sul terreno, leggi lo sviluppo delle colonie sioniste che Netanyahu intende annettersi nel quadro di qualsiasi accordo di pace assieme alla parte araba di Gerusalemme.
Obama non ha invece ascoltato, ammesso che ci siano stati, i mugugni del presidente palestinese Abu Mazen, fresco di un accordo di compromesso con Hamas per un governo unitario di transizione e che prevede anche la proclamazione dello Stato palestinese all'assemblea generale dell'Onu il prossimo settembre. Una proclamazione simbolica ma parimenti inaccettabile per il presidente americano che a muso duro ha sostenuto come "i tentativi palestinesi di delegittimare Israele falliranno, azioni simboliche per isolare Israele alle Nazioni unite in settembre non creeranno uno Stato indipendente".
La faccia di bronzo imperialista di Obama arrivava di fronte alla platea dell'Aipac a sostenere che "credo fermamente che la pace non possa essere imposta, neanche dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite, con il suo sostegno alla creazione di uno stato palestinese indipendente". Un tipo di pace che nega i diritti del popolo palestinese può invece essere imposta dall'imperialismo americano secondo i diktat ribaditi da Obama: "i leader palestinesi non otterranno la pace o la prosperità se Hamas insiste con il terrore e il rifiuto e i palestinesi non avranno mai l'indipendenza negando il diritto di Israele a esistere".
"In quel discorso non c'è nulla di nuovo, ignora una volta di più i diritti dei palestinesi - affermava il portavoce del movimento islamico Ismail Radwan - è un discorso schierato dalla parte d'Israele e concentrato sulla sola sicurezza dell'entità sionista". E concludeva: "noi comunque non accettiamo la richiesta di riconoscere quello che lui ha definito lo Stato ebraico", "i tentativi dell'amministrazione americana di convincere Hamas a riconoscere l'occupazione resteranno sempre vani".

25 maggio 2011