Da una partecipazione elettorale senza precedenti alimentata dalla promessa del "cambiamento"
Obama, esponente della 'sinistra' imperialista, eletto nuovo presidente degli Usa
Il popolo americano si è liberato di Bush ma è caduto dalla padella nella brace. La "sinistra" borghese italiana, compreso "il manifesto" trotzkista, sparge pericolose illusioni politiche
La linea del nuovo leader americano si fonda sul nazionalismo, il liberalismo, l'interclassismo e l'egemonismo mondiale degli Stati Uniti
Il candidato democratico Barack Obama ha sconfitto il concorrente repubblicano John McCain ed è il nuovo presidente degli Stati Uniti, il primo di origini afroamericane. Nella consultazione del 4 novembre scorso Obama ha conquistato 349 delegati contro i 163 di McCain, una larga maggioranza dei "grandi elettori" che il prossimo 15 dicembre eleggeranno ufficialmente il 44esimo presidente americano; la sostituzione del presidente uscente Bush avverrà solo dopo la cerimonia ufficiale di insediamento, col giuramento di Obama e del suo vice Joe Biden, che si svolgerà il 20 gennaio.
Grazie al traino della candidatura di Obama, il partito democratico ha ottenuto successi anche nelle elezioni parziali di Camera e Senato; ha rafforzato la maggioranza che già aveva alla Camera e ha conquistato quella al Senato.
Un successo ottenuto grazie a una partecipazione elettorale senza precedenti, alimentata dalla promessa di "cambiamento" e dal rigetto della politica dell'amministrazione Bush cresciuta come una valanga a fronte delle sue responsabilità nella devastante crisi finanziaria e economica. I votanti sono stati 136 milioni pari al 66% degli iscritti alle liste elettorali; nel 2004 l'affluenza era stata del 58%. Obama ha ottenuto circa il 52% dei voti contro il 46% di McCain, un dato puramente statistico; quello che conta sono i "grandi elettori" di ogni singolo Stato che un candidato si aggiudica in toto conquistando la maggioranza relativa. Si può comunque rilevare che Obama ha vinto le elezioni con poco più di un terzo di consensi degli iscritti alle liste elettorali.
La rincorsa vincente alla Casa Bianca del partito democratico era iniziata già nel 2006, alle elezioni legislative, quando aveva strappato ai repubblicani la maggioranza alla Camera capitalizzando il malcontento verso la politica di Bush e la battaglia dei pacifisti contro la guerra all'Iraq. Un ulteriore segnale delle possibilità di vittoria dei democratici veniva dall'enorme quantità di finanziamenti che i loro candidati alla corsa presidenziale riuscivano a incamerare fin dalle primarie, superiore a quella dei candidati repubblicani. Una parte dei finanziamenti sono costituiti dalla miriade di piccoli contributi raccolti via Internet ma è evidente che le cifre maggiori erano raggiunte solo con i consistenti "regali" delle grandi società. Il grande capitale americano dava segnali di abbandono del cavallo repubblicano per puntare su quello democratico per proseguire la politica imperialista degli Usa; la scelta cadeva sulla Clinton e Obama, i due principali candidati democratici. Con il secondo che alla fine prevaleva in casa democratica e nella sfida con McCain sventolando la bandiera del "cambiamento".
Ma che cosa promette Obama? Da una veloce scorsa al suo programma emergono una serie di promesse di maggiori finanziamenti in settori come scuola e sanità, di aiuti ai piccoli proprietari che si sono indebitati per la casa, di investimenti strategici a favore dell'energia "pulita" che saranno comunque condizionati dalle risorse del bilancio statale alle prese con i pesanti interventi anticrisi. Sono altresì previsti interventi per la protezione delle frontiere, pressioni per la liberalizzazione dei commerci in sede Wto, il reclutamento per rafforzare l'esercito e i corpi dei Marines, il ritiro "responsabile e graduale" dall'Iraq ma il rafforzamento dell'occupazione dell'Afghanistan, il mantenimento di una forte alleanza coi sionisti israeliani e l'impegno a porre fine al conflitto israelo-palestinese col raggiungimento dell'obiettivo già di Bush dei due Stati.
Nel discorso di investitura tenuto a Chicago Obama ha iniziato con "se c'è qualcuno lì fuori che ancora dubita che l'America sia un posto dove tutto è possibile; che ancora si chiede se il sogno dei nostri padri fondatori è vivo ai nostri tempi; che ancora mette il dubbio il potere della nostra democrazia: questa notte è la vostra risposta. (..) È la risposta che viene dai giovani e dai vecchi, dai ricchi e dai poveri, democratici e repubblicani, neri, bianchi, ispanici, asiatici, indigeni americani, gay, eterosessuali, disabili e no. (...) Gli americani hanno mandato un messaggio al mondo: non siamo mai stati solo una lista di individui o una lista di stati rossi e stati blu. Siamo, e sempre saremo, gli Stati Uniti d'America".
E dopo aver reso omaggio agli "americani coraggiosi che si stanno svegliando nei deserti iracheni, nelle montagne dell' Afghanistan dove rischiano la loro vita per noi" ha sottolineato "i valori che abbiamo in comune" col partito repubblicano, "un partito fondato sui valori della fiducia in sé, della libertà individuale, dell' unità nazionale", e invocando "un nuovo spirito di patriottismo" ha concluso con "le nostre storie sono diverse, ma il nostro destino è comune e una nuova alba per la leadership americana è ormai a portata di mano. A coloro che invece vorrebbero distruggere questo mondo dico: vi sconfiggeremo".
Il popolo americano si è liberato di Bush ma è caduto dalla padella nella brace con Obama, esponente della "sinistra" imperialista, e la sua politica basata sul nazionalismo, il liberalismo, l'interclassismo e l'egemonismo mondiale dell'imperialismo americano.
Nella prima conferenza stampa da presidente eletto, tenuta a Chicago il 7 novembre, Obama si è occupato soprattutto degli interventi necessari per affrontare la prima emergenza, la crisi economica, ma non ha mancato di toccare un punto delle questioni internazionali che forse non a caso riguarda l'Iran. Non si erano ancora chiuse le urne della sua vittoria elettorale che in successione si registravano un'irruzione dei carri armati sionisti a Gaza, un raid aereo della Nato in Afghanistan che provocava una strage di civili e le dichiarazioni russe sull'installazione di missili nell'enclave di Kaliningrad come ritorsione allo "scudo antimissile" voluto da Bush in Polonia e Repubblica Ceca ma Obama si preoccupava del programma nucleare civile dell'Iran e riprendendo le false tesi sostenute da Bush definiva "inaccettabile" il fatto che Teheran si doti di un'arma nucleare e in sovrapprezzo ammoniva l'Iran a non sostenere il "terrorismo". Certo, Obama ha affermato che la questione del nucleare iraniano deve essere affrontata per via diplomatica ma perché ha voluto attaccare l'Iran proprio adesso? Solo per tranquillizzare l'alleato sionista?
A Obama rispondeva il presidente del parlamento di Teheran, Ali Larijani: le parole del presidente eletto americano "indicano un proseguimento della stessa erronea politica del passato" e non sono segnali di un cambiamento della politica americana nella regione.
La vittoria di Obama è stata salutata da Bush con un significativo commento: "tutti gli americani possono essere orgogliosi di come le elezioni della notte scorsa abbiano fatto la storia, in tutto il paese i cittadini hanno votato in numero elevato. Hanno mostrato al mondo intero, che li stava guardando, la vitalità della democrazia americana e i passi da gigante che abbiamo fatto verso una migliore unione. Hanno scelto un presidente il cui cammino rappresenta il trionfo della storia americana, un testamento di lavoro duro, di ottimismo e di fede nella duratura promessa della nostra nazione".
La "grandezza della democrazia americana", dietro cui si ripara la politica imperialista Usa e anche lo sconfitto Bush, è un ritornello rimbalzato in molti commenti alla vittoria di Obama, assieme alla speranza del "cambiamento".
"È un punto di svolta. Abbiamo bisogno di un nuovo patto per un nuovo mondo. Spero sinceramente che con la leadership del Presidente Obama, gli Stati Uniti uniscano le loro forze con l'Europa per guidare questo nuovo patto", ha detto il presidente della Commissione Ue, José Manuel Barroso a nome della Ue. La superpotenza europea invocava il multilateralismo per contare alla pari accanto agli Usa, sapendo che Obama vuole rilanciare i rapporti con l'Europa ma più con le singole potenze che con la Ue nel suo complesso; nella sua tournée elettorale europea l'allora candidato preferì non a caso il bagno di folla a Parigi e Berlino e non a Bruxelles, sede delle istituzioni comunitarie.
Tra gli altri registriamo i commenti del presidente venezuelano Hugo Chavez che ha affermato che l'elezione di Obama "potrebbe essere sintomo del cambiamento di un'epoca" mentre quello boliviano Evo Morales ha sostenuto che "nessuno meglio di lui, che proviene da zone discriminate e schiavizzate, potrà permettere un miglioramento delle relazioni con la Bolivia. Sicuramente scriverà importanti pagine di storia".
Fredde e formali le congratulazioni del presidente russo Dmitri Medvedev che annunciava l'installazione di batterie mobili di missili a corto raggio nell'enclave russa di Kaliningrad, incuneata fra Polonia e Lituania contro l'installazione dello scudo missilistico americano. Toni più concilianti venivano da Mosca all'annuncio del prossimo primo incontro ufficiale dei due presidenti.
Al peana per l'elezione di Obama si univa senza vergogna la "sinistra" borghese italiana e in particolare Veltroni, accompagnata da una campagna di stampa con in prima fila il manifesto che nel numero del 6 novembre dedicava ben 8 pagine allo speciale sulle elezioni presidenziali americane, al "new dream", il nuovo sogno, che campeggiava in prima pagina. Una nuova semina di illusioni del quotidiano trotzkista.
Secondo Veltroni "la scelta di Obama è la scelta della speranza contro la paura. In una Europa imbrigliata dalla paura è significativo che dagli Usa venga un messaggio di cambiamento e speranza così forte". "È ovvio che noi siamo con lui perché lui rappresenta i nostri valori. Noi siamo in sintonia con Obama", insisteva il leader del Pd inviando "al presidente Obama, una parola che sognavamo pronunciare, il saluto di tutti gli italiani e di tutti coloro che sperano che l'America torni ad essere un punto di riferimento di innovazione" (sic!).
Veltroni si trovava in buona compagnia con Bertinotti, la vittoria di Obama è un fatto enorme "che ci riguarda", "il fatto che gli Usa abbiano un presidente nero avrà comunque un peso rivelante nella storia", mentre il segretario del Prc Ferrero aggiungeva che "la vittoria di Obama è un positivo segno di civiltà. Negli Usa la 'linea del colore' è stata negli anni la linea di divisione simbolicamente più significativa. Che in questo paese vinca un candidato di colore rappresenta un fatto storico, di vero progresso civile. Non so quanto gli Stati Uniti cambieranno la loro politica interna ed estera. Temo poco. Ma questo non cancella il fatto che oggi sia caduto un muro segnato da discriminazioni ed emarginazioni e di questo non possiamo che rallegrarci".

12 novembre 2008