L'occupazione dell'Iraq e il nuovo modello di difesa
La partecipazione italiana nell'occupazione militare dell'Iraq non è affatto un "dovere" nei confronti del mondo intero per "sconfiggere il terrorismo" ma lo sbocco naturale di più di dieci anni di escalation interventista dell'imperialismo italiano. Con l'avvento della seconda repubblica neofascista, presidenzialista, federalista e interventista l'Italia di fatto aspira sempre più a giocare un ruolo di grande potenza militare nello scenario mondiale imperialista.
La Costituzione antifascista del 1948 è stata fatta a pezzi e lo sviluppo del nuovo modello di difesa, non più basato sulla difesa del territorio nazionale ma improntato alla "tutela degli interessi nazionali ovunque sia necessario", ha permesso all'Italia di inviare fuori dai confini nazionali migliaia di uomini e mezzi per aggredire altri paesi sovrani come è successo tra gli altri in Iraq, in Kosovo, in Afghanistan.
La grancassa dei guerrafondai che a metà degli anni '80 fa capo al CAF (Craxi-Forlani-Andreotti) comincia a battere forte fin dall'indomani del sequestro dell'Achille Lauro e dei successivi fatti di Sigonella. Poi si arriva a un passo dall'aggressione imperialista dell'Italia di Craxi e Spadolini alla Libia. Il capo dei gladiatori Cossiga pone la questione "chi comanda in caso di guerra" e l'idea di creare un nuovo modello di difesa basato sulla formazione di un esercito professionale comincia a prendere corpo.
Nel 1991, con il governo Andreotti VI (DC-PSI-PRI-PSDI-PLI), per la prima volta dopo il ventennio fascista di Mussolini l'Italia entra in guerra e partecipa attivamente all'aggressione imperialista Usa contro l'Iraq. Nel giugno dello stesso anno Cossiga auspica un nuovo modello di difesa e un esercito professionale superarmato e equipaggiato in modo da intervenire dovunque lo richiedono gli interessi imperialistici dell'Italia. A ottobre, sette mesi dopo la fine dell'operazione "Tempesta nel deserto", il ministero della Difesa capeggiato dal DC Rognoni pubblica il rapporto "Modello di difesa/ Lineamenti di sviluppo delle FF.AA. Negli anni '90". è l'inizio della mutazione genetica delle Forze armate italiane: il loro compito, secondo il rapporto, non è più solo la difesa della patria (art. 52 della Costituzione), ma la "tutela degli interessi nazionali ovunque sia necessario". Contemporaneamente, all'art. 11 sul ripudio della guerra quale mezzo di risoluzione delle controversie internazionali, si sostituisce il criterio degli "interventi militari per la gestione delle crisi" ovunque siano toccati gli "interessi vitali" del paese.
Viene così enunciata, a livello istituzionale, una nuova politica militare e contestualmente una nuova politica estera, con funzioni contrarie a quelle stabilite dalla Costituzione. Una volta varato il nuovo modello di difesa passa di mano in mano, da un governo all'altro, dalla prima alla seconda repubblica, senza mai essere discusso in quanto tale in parlamento. A elaborarlo e applicarlo sono i vertici delle Forze armate, ai quali i governi lasciano piena libertà decisionale, pur trattandosi di una materia di basilare importanza politica per il nostro Paese.
Nel 1993, mentre l'Italia sta partecipando all'operazione militare lanciata dagli Usa in Somalia, e al governo Amato subentra quello Ciampi (DC-PSI-PSDI-PLI), lo stato maggiore della difesa dichiara che "occorre essere pronti a proiettarsi a lungo raggio" per difendere ovunque gli "interessi vitali", al fine di "garantire il progresso e il benessere nazionale mantenendo la disponibilità delle fonti e vie di rifornimento dei prodotti energetici e strategici" (Stato maggiore della difesa, Aggiornamento del modello di difesa, 1993).
Nel 1994 il ministro della Difesa del primo governo Berlusconi, Cesare Previti, annuncia che le Forze armate si baseranno su professionisti, la leva sarà ridotta, mentre le spese militari aumenteranno. Viene introdotta la donna soldato. Soddisfatti, i generali dell'esercito reclamano "un'autorità autonoma dal parlamento in caso di guerra".
Nel 1995, durante il governo "tecnico" Dini, lo stato maggiore della difesa fa un ulteriore passo avanti, affermando che "la funzione delle Forze armate trascende lo stretto ambito militare per assurgere anche a misura dello status e del ruolo del paese nel contesto internazionale" (Stato maggiore della difesa, Modello di difesa, 1995).
Nel 1996, durante il governo Prodi (PDS-PPI-Lista Dini-UD-Verdi, appoggiato in parlamento dal PRC), tale concetto viene ulteriormente sviluppato nella 47¨ sessione del Centro alti studi della difesa. "La politica della difesa - afferma il generale Angioni - diventa uno strumento della politica della sicurezza e, quindi, della politica estera". Essa costituisce, secondo l'ammiraglio Mariani, una "fondamentale risorsa strategica" per "ciascun paese che intende avere un ruolo internazionale e sostenere adeguatamente lo sviluppo della sua economia". E il generale Arpino rafforza il concetto affermando che "il potere aereo potrà fornire un contributo di primo piano quale vero fattore di potenza, per garantire all'Italia quel peso politico che vorremmo avere, ma che sinora non è stato ancora possibile vederci riconosciuto" (Informazioni della Difesa, supplemento al n.4 1996).
Da quando col governo dell'Ulivo nella stanza dei bottoni c'è la "sinistra" del regime neofascista, il nuovo modello di difesa va avanti spedito, come e più che sotto i governi Berlusconi e Dini. Sotto l'impulso del PDS di D'Alema la Camera approva in via definitiva nel 1997 la legge di riforma dei vertici militari, che fa da cappello al nuovo modello di difesa. A giugno viene varato l'esercito dei professionisti pronto per le missioni multinazionali. Come ai tempi di Mussolini ora l'imperialismo italiano può sfogare le sue ambizioni mondiali.
Nel 1999, dopo che il governo D'Alema (DS-PPI-RI-UDEUR-Verdi-SDI-PDCI) ha fatto partecipare l'Italia, sotto il comando Usa, alla guerra contro la Jugoslavia, la marina militare annuncia che l'Italia è riuscita ad "affermare il suo ruolo di media potenza regionale nell'area euro-mediterranea con interessi economici e commerciali di carattere globale". "Si può dunque parlare - dichiara orgogliosamente - di un crescente e solido ruolo geostrategico dell'Italia nel 'Mediterraneo allargato': spazio geopolitico comprendente, oltre al Mar Nero, anche le vie meridionali di accesso al Canale di Suez e cioè il Mar Rosso fino allo Stretto di Bab el-Màndeb e, più oltre, il Golfo Persico che, attraverso lo Stretto di Hormuz, è intimamente collegato al sistema mediterraneo di rifornimenti energetici" (Marina militare italiana, Rapporto 1999).
Se nel 2000 il governo D'Alema cancella la leva, nel 2001, mentre il governo Berlusconi (FI-AN-Lega Nord-Biancofiore) manda la flotta italiana a combattere un'altra guerra sotto comando Usa, a 8.000 km dalle nostre coste, occorre che la Marina aggiorni così la sua geografia militare: "Poiché il Golfo Persico è collegato al Mare Arabico, su cui si affaccia il Pakistan, confinante con l'Afghanistan, il `Mediterraneo allargato' si estende fin sulle montagne afghane". L'11 settembre ha fornito un buon pretesto per rodare il nuovo modello di difesa dell'imperialismo italiano. E la partecipazione tra i pochi eletti all'occupazione militare dell'Iraq ne è una logica conseguenza.