A Melfi, Pontedera, Rivalta, Pistoia e in altre grandi fabbriche
Gli operai fischiano governo e sindacati
Segnalati dei brogli al referendum. Ma Bertinotti dice: "trovo fuorviante parlare di brogli"

Scriviamo mentre è ancora in corso la consultazione sull'accordo del 23 luglio su pensioni e welfare e non ne conosciamo l'esito, anche se non ci facciamo illusioni su di esso: troppa è la sproporzione di mezzi tra i sostenitori del sì, raggruppati in un fronte vastissimo, che va da tutte e tre le segreterie sindacali confederali, al governo, alla Confindustria, alla stragrande maggioranza dei partiti della destra e della "sinistra" parlamentare, ai mass-media del regime, e il fronte dei sostenitori del No, con in testa la Fiom, e al quale partecipiamo anche noi marxisti-leninisti, che non ha nemmeno potuto illustrare le proprie posizioni alle assemblee e avere propri rappresentanti nei seggi per controllare la regolarità del voto.
Da più parti sono giunte poi segnalazioni di brogli, come raccolte di voti tra i pensionati, anche a domicilio, iniziate già diversi giorni prima del referendum, mancanza di controlli adeguati ai seggi, persone fatte votare in modo palese davanti a rappresentanti sindacali, voti raccolti da galoppini sindacali negli uffici durante l'attività lavorativa, e così via. L'intervista di un operaio chimico della provincia di Bergamo a "Il Bolscevico" che pubblichiamo su questo numero è assai illuminante su questa situazione. Lavoratori, precari e pensionati hanno dovuto votare sotto ricatto, vuoi per la generale carenza di segretezza del voto, vuoi sotto il ricatto politico più generale dello spauracchio della caduta del governo Prodi e del ritorno di Berlusconi. I pensionati sono stati usati dai vertici sindacali senza scrupoli come una massa di manovra da contrapporre agli operai e ai giovani precari, ricattandoli con il timore della caduta del misero aumento delle pensioni più basse se il No avesse prevalso. Quanto riferito dal nostro corrispondente locale sull'assemblea dei pensionati ad Ischia, dove sono stati invitati solo i favorevoli al sì, ne è un esempio eloquente.
Ma di ciò, per il guardiano della Camera, l'imbroglione trotzkista e gandhiano Bertinotti, non si deve assolutamente parlare. Egli ha trovato "fuorviante parlare di brogli in un momento come questo del referendum", dove a suo dire si esprime il massimo della democrazia sindacale: col che ha dimostrato di reggere il sacco ai vertici sindacali collaborazionisti, al governo e alla Confindustria, che sono i grandi sponsor dell'accordo truffa del 23 luglio, allo stesso modo di come ormai copre a sinistra le istituzioni borghesi di cui si è messo al servizio.
Fallita la manovra del governo e dei vertici sindacali di isolare la Fiom e il dissenso
Malgrado tutto ciò e malgrado quello che sarà l'esito scontato di questo referendum truccato, da quel che si è visto nelle assemblee che l'hanno preceduto, si può senz'altro dire che per il governo Prodi e per le segreterie di Cgil, Cisl e Uil, è comunque fallito clamorosamente il tentativo di far passare tra i lavoratori l'accordo truffa del 23 luglio senza pagare un prezzo altissimo in termini di crollo di credibilità e di fiducia nei confronti del "centro-sinistra" e del sindacato collaborazionista. Non sono riusciti a isolare la Fiom e a circoscrivere le contestazioni, come in cuor loro speravano e credevano, e anche se hanno fatto di tutto per riuscirci, spalleggiati dall'informazione di regime, con ricatti, minacce e vere e proprie campagne denigratorie, come quella contro la storica e inedita manifestazione per il No del 29 settembre a Firenze, la contestazione, cominciata il 1º ottobre a Mirafiori, si è propagata con impeto in molte altre fabbriche d'Italia nei giorni successivi, in un crescendo di assemblee infuocate dove spesso i sindacalisti collaborazionisti calati come piazzisti per "vendere" l'accordo ai lavoratori sono stati subissati di fischi e pubblicamente sbugiardati dagli interventi, che insieme a loro hanno preso regolarmente di mira anche il governo Prodi.
Tra le contestazioni più significative, dopo quella clamorosa di Mirafiori, c'è senz'altro quella della Fiat-Sata di Melfi (Potenza) nell'assemblea del 3 ottobre, dove sono stati indirizzati "fischi prolungati" ai vertici di Cgil, Cisl e Uil, al governo e in particolare al ministro Damiano. Anche la rappresentante della segreteria della Cgil, Carla Cantone, si è presa la sua buona razione di contestazioni, ma quando ha preso la parola il segretario regionale Uilm della Basilicata, Vincenzo Tortorelli, allora a detta del segretario regionale Fiom è stato un vero "finimondo", tanto che è stato sommerso dai fischi e non è riuscito a parlare.
Contemporaneamente si svolgevano assemblee molto "tese" in altre grandi aziende metalmeccaniche, che seppure non clamorosamente come a Melfi facevano sentire lo stesso il profondo malcontento dei lavoratori verso l'accordo bidone, il cedimento dei vertici sindacali e la disillusione verso il governo di "centro-sinistra". Così alla Fiat di Termini Imerese, e così anche alla Gd di Bologna, importante azienda metalmeccanica con 1.600 dipendenti: anch'essa, come la Nuovo Pignone Firenze, era stata scelta per una nuova passerella di Epifani, perché fabbrica sotto il rigido controllo diessino. Ma non è stata affatto una passeggiata per il segretario della Cgil, che davanti alla freddezza palpabilmente ostile dei lavoratori ha farfugliato e non ha trovato di meglio per difendere l'accordo bidone che dichiarare sconsolatamente: "Anche riflettendo sui limiti che ha, non riesco a trovare le ragioni per dire di no".
Contestazioni definite "vivaci" sono toccate invece ad Anna Maria Furlan della segreteria nazionale della Cisl da parte di 500 lavoratori dell'assemblea dell'Ansaldo Energia di Genova, e altrettanto è stato per il segretario generale della Uil Angeletti all'assemblea dell'Algida-Unilever di Napoli. Alla Fiat di Cassino, intanto, secondo quanto riportato da un sindacato non confederale, le assemblee si svolgevano "in un clima identico a quello della Fiat di Mirafiori" e l'assemblea del secondo turno passava addirittura alla votazione per alzata di mano respingendo nettamente l'accordo contro solo 5 voti a favore.

La contestazione continua e si estende
Il 5 ottobre forti contestazioni sono riprese in altre grandi fabbriche d'Italia. In Campania, nello stabilimento Alfa di Pomigliano d'Arco sono volati fischi e insulti all'indirizzo dei dirigenti di Cgil, Cisl e Uil venuti a illustrare le ragioni del sì, e i lavoratori hanno anche abbandonato l'assemblea lasciandoli soli. Bordate di fischi e contestazioni anche all'assemblea Fincantieri di Marghera (Venezia) e alla Sevel di Atessa (Chieti), mentre l'assemblea dei portuali di Gioia Tauro, a cui hanno partecipato 500 lavoratori, si è espressa direttamente per il no. In Toscana il dissenso verso l'accordo governo-Confindustria-sindacati si è manifestato fortemente, soprattutto da parte giovanile, nell'assemblea della Gkn, alle porte di Firenze. Fuori dalla fabbrica si è registrata un'oscura provocazione, facendo ritrovare un fantoccio raffigurante un operaio col volto coperto e armato: un'altra manovra per gettare discredito sul dissenso di base.
Dove il dissenso è letteralmente esploso in una contestazione clamorosa contro i sindacalisti collaborazionisti e il governo è alla Piaggio di Pontedera (Pisa), azienda di 3.000 dipendenti, dove la segretaria confederale della Cgil Marigia Maulucci è stata subissata di fischi via via che elencava e cercava di spiegare le "conquiste" dell'accordo del 23 luglio. Alla fine, stremata dall'impossibile compito, si è sfogata lamentandosi che "quando c'è da prendere fischi mandano sempre una donna" e consolandosi con l'osservazione che "tanto quello che conta è il voto finale". Anche alle acciaierie di Piombino (Livorno), per quanto non in maniera così clamorosa come alla Piaggio, i sindacalisti venuti a pietire il sì al referendum hanno avuto vita dura. Alla Breda di Pistoia il dissenso si è espresso in modo palese nell'assemblea dell'8 ottobre, davanti al segretario regionale della Cgil Alessio Gramolati, con 8 interventi su 11 nettamente contrari all'accordo e sottolineati dal vivace sostegno dei lavoratori presenti. Perfino lo stangatore democristiano Prodi ha avuto la sua razione di contestazioni, quando è andato in visita alla Fiat Avio di Rivalta e si è trovato davanti ad alcuni lavoratori che distribuivano un volantino delle Rsu dal titolo "C'è chi dice no!!!".
Il PMLI ha partecipato con tutte le sue forze a questa cruciale battaglia. Laddove sono presenti i nostri compagni impegnati nel sindacato sono stati in prima fila nelle assemblee per spiegare e smascherare i meccanismi truffaldini dell'accordo e denunciare gli obiettivi neoliberisti e antioperai di governo, Confindustria e vertici sindacali collaborazionisti.
Tra questi ricordiamo gli interventi alle assemblee delle rispettive categorie (artigiani e scuola) dei compagni Denis Branzanti e Antonella Casalini, pubblicati su questo numero del giornale.

10 ottobre 2007