Importante sentenza a favore della FIOM
Il tribunale di Potenza ordina il reintegro dei tre operai di Melfi e condanna la Fiat per attività antisindacale
L'arrogante Marchionne però rifiuta loro il rientro in fabbrica
Landini: "questo è stato il primo gravissimo attacco al diritto di sciopero"
La Fiat di Marchionne aveva torto e la FIOM ragione. I tre operai dello stabilimento di Melfi, Marco Pignatelli, Giovanni Barozzino e Antonio Lamorte, i primi due delegati Rsu della FIOM, il terzo iscritto allo stesso sindacato, non fecero alcun sabotaggio nel corso di uno sciopero aziendale indetto unitariamente dalle rappresentanze sindacali, non commisero nessun reato e dunque furono licenziati illegittimamente con motivazioni antisindacali. Pertanto, l'azienda ha l'obbligo di reintegrarli nel posto di lavoro e risarcirli degli stipendi persi. È questo che dice, in buona sostanza la sentenza della Corte d'Appello di Potenza emessa il 23 febbraio scorso. È stato un vero e proprio calvario giudiziario, durato due anni ma alla fine ce l'hanno fatta. Era l'estate del 2010 quando Marchionne ordinò di licenziare i suddetti operai a seguito di una protesta aziendale contro la decisione unilaterale dell'azienda di aumentare i ritmi di lavoro.

Accuse strumentali
Apparvero subito strumentali e false le accuse mosse a Pignatelli, Barozzino e Lamorte, e segnati di attività antisindacale i licenziamenti che fecero seguito. Infatti, la prima sentenza del Tribunale di Melfi del 9 agosto bocciò in pieno il comportamento della Fiat. Nel dispositivo finale del processo era scritto con chiarezza che in base all'articolo 28 L.300/70 la Corte "1) Dichiara l'antisindacalità dei licenziamenti intimati da S.A.T.A. S.p.a., in data 13/14.07.2010, ai lavoratori Lamorte Antonio, Barozzino Giovanni, Pignatelli Marco, e, per effetto, 2) ordina a S.A.T.A. S.p.a. la immediata reintegra dei suddetti lavoratori nel proprio posto di lavoro".
Poteva finire qui. Invece il nuovo Valletta, ormai lanciato per imporre in Fiat (e non solo) il modello Marchionne padronale, liberista e neofascista, decise di impedire il rientro dei tre in fabbrica e, per aggirare quanto stabilito dal Tribunale, concesse solo l'accesso alla saletta della Rsu e il pagamento del salario. Non solo, fece ricorso, sorprendentemente accolto da un altro Tribunale il quale, in data 14/07/2011, rovesciò il precedente verdetto permettendo all'azienda di confermare il licenziamento.
Gli avvocati della FIOM fecero a loro volta ricorso contro tale epilogo. E come si è detto, la Corte di Appello di Potenza ha rimesso di nuovo le cose a posto nel senso che conferma la sentenza di primo grado che ordinava il reintegro degli operai licenziati e condannava la Fiat per comportamento antisindacale. Inoltre dovrà pagare le spese processuali. Comprensibili e condivisibili le dichiarazioni di soddisfazione dei dirigenti FIOM. "La Fiom esprime la sua più profonda soddisfazione - ha, infatti, affermato Maurizio Landini, Segretario generale FIOM - per la sentenza, soprattutto alla luce dei gravi atti di discriminazione contro i nostri iscritti e i nostri delegati che si stanno verificando in tutti gli stabilimenti Fiat. Il licenziamento dei tre lavoratori di Melfi nel luglio 2010 è stato, infatti, il primo gravissimo attacco al diritto di sciopero, alla dignità e alle libertà di chi lavora condotto nell'ambito del nuovo modello Marchionne". Significative anche le parole di Giorgio Airaudo, responsabile nazionale FIOM per il settore auto: "non c'erano sabotatori, né una fabbrica ingovernabile - ha detto - crolla il pilastro su cui si regge il percorso che ha portato alla cancellazione del contratto nazionale di lavoro, imposta da Marchionne con la complicità di Fim, Uilm e Fismic".

L'utilità dello Statuto dei lavoratori
Per ottenere questo risultato giuridico positivo sono risultati fondamentali due articoli dello Statuto dei lavoratori: l'articolo 28 che impedisce alle aziende di compiere atti e assumere comportamenti che ledono i diritti e l'agibilità sindacali nei luoghi di lavoro, e nel caso specifico c'era in ballo il diritto di scioperare e di contrattare le condizioni di lavoro; e l'articolo 18 che impone alle aziende il reintegro nel posto di lavoro del lavoratore licenziato senza "giusta causa". Anzi, fa notare uno dei legali FIOM, Alberto Piccinini, il reintegro è l'aspetto fondamentale della sentenza che condanna l'azienda per antisindacalità: "Neanche un eventuale ricorso dell'azienda alla Cassazione può giustificare furbizie o rinvii".
E invece non finisce qui. Marchionne ancora una volta si permette di ignorare quanto stabilito dalla magistratura. Con una lettera ha fatto sapere agli interessati che non sarà loro permesso di rientrare in fabbrica, di riprendere il loro posto produttivo. Se ne stiano a casa a far nulla sia pure stipendiati dalla Fiat. La risposta è stata: i tre operai ogni mattina si recheranno puntuali ai cancelli per rivendicare quello che è un loro sacrosanto diritto, la ripresa del lavoro. Siamo di fronte a un accanimento che è del tutto intollerabile e in parte, non completamente spiegabile. Visto che l'azienda, in altri casi, si è comportata diversamente. Vedi la vicenda dell'impiegato e delegato Fiom a Mirafiori, Pino Capuozzi, licenziato il 13 luglio 2010 per aver usato la mail aziendale per inviare una lettera sindacale. Dopo tre gradi di giudizio, l'ultimo in Corte di Appello di Torino il 17 gennaio 2012, con sentenze tutte contrarie all'azienda e con l'ordine di reintegro, il lavoratore in questione ha potuto far ritorno nel suo posto di lavoro.

Il contrasto legale alla linea Marchionne
Le battaglie legali della FIOM sono destinate a moltiplicarsi, tali e tanti sono i comportamenti antisindacali compiuti dalla Fiat in tutti i suoi stabilimenti ai danni dei delegati, degli iscritti e della FIOM in quanto organizzazione sindacale. Sono state annunciate oltre sessanta denunce da intraprendere in venti tribunali sparsi per l'Italia. La madre di queste intollerabili e fasciste discriminazioni antisindacali è quella che esclude la CGIL dei metalmeccanici da tutti gli stabilimenti della Fiat. Un'esclusione arbitraria attuata da Marchionne sulla base dell'accordo aziendale che sostituisce il contratto nazionale, imposto prima a Pomigliano e poi a tutto il gruppo e che riserva la rappresentanza sindacale solo a coloro che l'hanno firmato. Il che significa il divieto di avere rappresentanti sindacali e l'impedimento a qualsiasi agibilità sindacale in azienda. Significa non attuare la trattenuta sindacale sulla busta paga per gli iscritti della FIOM e il mancato versamento dell'importo ad essa. Solo Mussolini era arrivato a tanto!
Subito dietro viene quella che riguarda le riassunzioni nella Fabbrica Italia Pomigliano. La promessa del nuovo Valletta fu che tutti i 5 mila addetti sarebbero stati ripresi. Allo stato i lavoratori riassunti si aggirano sui mille. Ma alla fine non andranno oltre i 2.500/3.000. Ebbene, tutti coloro che hanno la tessera FIOM in tasca sono stati sistematicamente esclusi. Nemmeno uno ha potuto rimettere piede in fabbrica. Anche i rappresentanti per la sicurezza (Rls) della FIOM eletti dai lavoratori sono stati sostituiti d'autorità dall'azienda con altri dei sindacati complici firmatari.
Sono ormai quotidiani e generalizzati gli atti discriminatori e antisindacali negli stabilimenti Fiat contro delegati e iscritti FIOM. Di ciò c'è ampia testimonianza in un dossier dove sono raccolte le denunce di coloro che ne sono vittime. C'è una vera caccia alle streghe con i capi e capetti che contattano i lavoratori con tessera FIOM intimando loro di lasciarla con varie minacce e ritorsioni. Addirittura ci sono degli addetti dell'azienda con il compito di spiare i messaggi postati in internet per segnalare eventuali frasi ritenute offensive per la Fiat. "A leggere le denunce degli operai - è l'opinione di Antonio De Luca, operaio in cassa integrazione del direttivo FIOM Napoli - sembra di essere di fronte a una struttura autoritaria aziendale che si organizza, come ai tempi di Valletta, secondo le leggi della discriminazione e secondo la disciplina della caserma".
Noi stiamo con la FIOM e la sua giusta battaglia contro il modello Marchionne, contro le discriminazioni antisindacali, per la difesa dei diritti e l'agibilità sindacali. Anche per questo ci saremo alla manifestazione nazionale di Roma per lo sciopero generale dei metalmeccanici del 9 marzo.

7 marzo 2012