L'opposizione siriana si divide sulla via per cacciare Assad senza interventi stranieri
Approvata la nuova ma tardiva carta costituzionale

Il 26 febbraio si è tenuto in Siria il referendum sulla proposta di una nuova carta costituzionale avanzata dal presidente Bashar al Assad che prevede tra le altre la possibilità di formare partiti politici e che il candidato alle presidenziali dovrà aver compiuto 40 anni e essere vissuto per almeno 10 anni in Siria, essere di orientamento musulmano e avere l'appoggio di almeno 35 parlamentari; la carica presidenziale non potrà essere occupata dalla stessa persona per più di due volte di seguito per sette anni ciascuno. Una formulazione che secondo i dati forniti dall'agenzia siriana Sana è stata approvata dall'89.4% dei votanti; alla consultazione avrebbero partecipato il 57,4% dei più di 14 milioni di aventi diritto.
In molte zone del paese non si è votato per il boicottaggio dell'opposizione impegnata a combattere la dura repressione dell'esercito governativo. Non si sarebbe potuto votare comunque sotto le bombe a Homs, la città sotto assedio dall'inizio di febbraio, e in altre località.
L'iniziativa del governo di Damasco sulle modifiche costituzionali è tardiva, avrebbe avuto un peso diverso se fosse partita anche solo dopo le prime promesse di cambiamento pronunciate dal presidente Bashar all'inizio delle proteste e della rivolta popolare per le libertà politiche e la fine della corruzione che erano partite il 18 marzo del 2011 nella città di Daraa, dove tra l'altro la polizia aveva arrestato una quindicina di giovani accusati di aver scritto sui muri contro il regime del partito unico Baath. La protesta si era estesa in altre città, da Latakia a Homs, che diventerà uno degli epicentri della rivolta, ai quartieri periferici di Damasco. Bashar prometteva l'abolizione dello stato di emergenza in vigore da 48 anni e il varo di riforme democratiche. L'ingresso dei carri armati dell'esercito la mattina del 25 Aprile a Daraa e a Duma, un sobborgo alla periferia della capitale, per reprimere la rivolta popolare dimostravano che il regime siriano aveva scelto la via del pugno di ferro.
Una repressione che ha causato diverse migliaia di vittime fra gli oppositori che sono scesi in piazza contro Bashar e che continua ancora in diverse città.
Come continuano le pressioni e le ingerenze esterne dei paesi imperialisti e dei paesi arabi reazionari che puntano esclusivamente alla destituzione di Bashar e alla fine del suo regime non per la libertà del popolo siriano ma per far saltare l'anello debole della catena delle forze e dei paesi con una politica antimperialista nella regione, dalla resistenza palestinese e libanese all'Iran. Il percorso preparatorio per ripetere l'aggressione alla Libia si era avviato con l'iniziativa della Lega araba e in particolare del Qatar per interessare della questione l'Onu e scatenare un nuovo intervento "umanitario". Il meccanismo si è al momento inceppato per il veto posto questa volta da Cina e Russia al Consiglio di sicurezza dell'Onu e i paesi imperialisti hanno dovuto ripiegare sull'embargo verso Damasco e altre iniziative, fra le quali la conferenza degli "amici della Siria" che si è svolta a Tunisi il 24 febbraio.
Sempre il 24 febbraio Onu e Lega araba annunciavano la nomina dell'ex segretario generale, il ghanese Kofi Annan, a inviato speciale per la Siria, col placet di Russia e Cina. Da verificare se la missione affidata a Annan sia di effettiva mediazione tra le parti o un'operazione di facciata per ordinare le dimissioni a Assad e a fronte del più che possibile rifiuto la "prova inoppugnabile" della necessità di un intervento armato.
Anche i ministri degli Esteri di una settantina di paesi che si sono riuniti nella capitale tunisina hanno discusso di iniziative "umanitarie" quali la richiesta al governo di Damasco dell'apertura di un corridoio umanitario per la distribuzione di aiuti ai civili, in particolare nella città assediata di Homs. Oggetto principale della conferenza sono state comunque le iniziative che dovrebbero portare quantomeno al ritiro di Bashar Assad. Il presidente tunisino Moncef Marzouk ha aperto i lavori della conferenza auspicando "un intervento arabo" in Siria attraverso l'invio di una "forza di pace araba", accompagnata dall'offerta a Assad di una "immunità giudiziaria" e anche il posto dove ritirarsi in esilio. Il ministro degli esteri del Qatar, cui i paesi imperialisti e arabi reazionari affidarono il compito di fare da apripista per l'aggressione alla Libia, ha appoggiato l'idea di "una forza internazionale araba" per la Siria. Il ministro degli esteri saudita ha abbandonato la conferenza perché sono state respinte le richieste del suo paese di immediati "provvedimenti per un cambio di potere a Damasco"; ha fatto però in tempo a definire "eccellente" la richiesta di armare l'opposizione avanzata a Tunisi dal Consiglio nazionale siriano (Cns), il gruppo di oppositori basato all'estero che ha già chiesto l'intervento armato esterno.
Presenti a Tunisi fra gli altri il segretario di Stato americano Hillary Clinton e il ministro degli Esteri francese Alain Juppé che ha precisato come questa volta, al contrario del caso della Libia, la Francia non abbia opzioni militari sul tavolo, che però ci potrebbero essere nel caso di "un mandato internazionale". Il collega inglese William Hague ha annunciato il riconoscimento ufficiale del Cns quale "unico rappresentante legittimo del popolo siriano". Non a caso il coordinamento delle opposizioni all'estero che si è formato nell'ottobre 2011 sotto la protezione della Turchia, con Ankara che non vuol certo stare a guardare passivamente i giochini delle concorrenti potenze imperialiste, si è allontanato dalla posizione del Coordinamento nazionale siriano per il cambiamento democratico (Cscd) formatosi nel giugno 2011 e attivo nell'organizzazione della rivolta all'interno del paese ma contrario a un intervento militare dall'esterno. La rottura tra i due organismi si è consumata dopo le divergenze emerse nella riunione delle opposizioni svolta in agosto, guarda caso, in Qatar.
Il Cscd era presente a Tunisi come osservatore, aveva deciso di non partecipare a pieno titolo sostenendo che i partecipanti e le loro iniziative escludono le altre voci del dissenso e aprono la strada a un intervento militare esterno a cui l'organizzazione resta decisamente contraria.

29 febbraio 2012