Destra e "sinistra" gareggiano nel rivalutare ed esaltare il macello della prima guerra mondiale imperialista
4 novembre, un'orgia di nazionalismo patriottardo e bellicista
Per il rinnegato Napolitano ricordare il 4 novembre non è retorica nazionalistica e militaristica: "Rendiamo omaggio alle Forze armate, all'impegno che pongono, con spirito di sacrificio e intelligenza, fuori dal suolo italiano". Per il nero presidente della Camera Fini "è il necessario completamento alle feste del 25 aprile e del 2 giugno"
90° anniversario della "vittoria" dell'Italia nella prima guerra mondiale, neofascisti al governo, "sinistra" borghese ormai convertita al nazionalismo e al militarismo interventista: quali condizioni più ideali per trasformare questo 4 novembre in un'orgia di nazionalismo patriottardo e bellicista e per rivalutare ed esaltare come mai era accaduto dall'avvento della repubblica il macello di popoli della prima guerra mondiale imperialista? E così è stato.
A cogliere la ghiotta occasione per primi sono stati - manco a dirlo - i fascisti, da sempre strenui depositari ed esaltatori del ciarpame retorico, patriottardo e nazionalista che è stato costruito sopra il sangue delle centinaia di migliaia di operai e contadini di tutte le regioni d'Italia, mandati al macello nell'immane carneficina imperialista solo per arricchire i pescecani capitalisti e soddisfare le bramosie espansionistiche del nascente imperialismo italiano. Per tempo il ministro della Difesa, il fascista La Russa, ha messo in piedi una gigantesca macchina propagandistica, costata ben 6 milioni di euro (su questo l'"inflessibile" Tremonti non ha avuto nulla da ridire) che non ha precedenti da novant'anni a questa parte se non nel ventennio fascista. L'obiettivo, illustrato dallo stesso ministro e reggente di AN insieme al suo gemello Alemanno in Campidoglio, era quello di "celebrare la Vittoria nella Grande Guerra e risvegliare negli italiani sentimenti di orgoglio e di unità nazionale".
Già dal 20 ottobre, d'accordo con la gerarca dell'Istruzione Gelmini, sono cominciate "lezioni di storia" tenute da ufficiali delle tre armi e dei carabinieri, inviati in 200 licei italiani per esaltare la prima guerra mondiale e il ruolo e gli interventi attuali delle forze armate, in Italia e all'estero. Oltre alle tradizionali cerimonie del 4 novembre all'altare della patria e al sacrario di Redipuglia sono stati indetti altri due giorni di celebrazioni in 21 principali città nel fine-settimana dell'8 e 9 novembre, con cerimonie patriottiche, esposizione di mezzi ed armamenti bellici, sfilate militari, concerti bandistici e fanfare, simulazioni di operazioni belliche di paracadutisti e corpi speciali, ecc. Tra le 21 città è stata inclusa, con evidente scopo provocatorio, anche Bolzano, dove la celebrazione del 4 novembre provoca sempre tensioni con la popolazione di lingua tedesca. A Roma era stato riservato per le celebrazioni addirittura il Circo massimo, oltre a piazza del Popolo dove era in programma un "concerto tricolore" col cantante Andrea Bocelli. Inoltre le case degli italiani sono state inondate da migliaia di spot televisivi sulle forze armate e le "missioni umanitarie" in cui sono impegnate all'estero. E per dare ancor più solennità istituzionale al tutto, il caporione nero Fini ha indetto un convegno di "storici" alla Camera per discutere il tema "La Grande Guerra nella memoria italiana", dal chiaro intento revisionistico e nazionalistico.

Una carneficina imperialista spacciata per "grande evento di popolo"
Ma anche se a muoversi per primi sono stati i fascisti ancora una volta, come già per la riabilitazione dei militari repubblichini e per le foibe e i "profughi istriano-dalmati", gli sono andati dietro tutti, compresa la "sinistra" borghese con in testa il rinnegato Napolitano. La tesi revisionistica su cui si sono trovati tutti d'amore e d'accordo, dai fascisti di AN al PD, ripresa ed esaltata al massimo grado anche dall'inquilino del Quirinale nei suoi discorsi ufficiali, è quella che al di là di ogni interpretazione storica "di parte", la I Guerra mondiale fu un "grande evento collettivo" in cui il popolo italiano "si riconobbe" e che contribuì ad unirlo e a dargli "un'identità nazionale". Sarebbe stata anzi, secondo gli "storici" revisionisti che ormai imperversano in tutti i partiti della destra e della "sinistra" borghese, il completamento e il coronamento del Risorgimento; sorvolando con ciò sul suo carattere imperialista, cioè come denunciò Lenin di scontro tra i principali Stati capitalisti per una nuova spartizione del mondo sulla pelle e sul sangue dei popoli, e tacendo volutamente sui mostri del fascismo e del nazismo che quella guerra portava in grembo e che avrebbero portato alla seconda e ancor più spaventosa carneficina mondiale del XX secolo.
Si veda a questo proposito il "Secolo d'Italia", il più attivo ovviamente nel supportare questa sporca operazione, che il 22 ottobre già titolava così due intere pagine dedicate all'evento: "4 novembre, è questa la vera festa. È la data giusta per consentire al Paese di riappropriarsi di una memoria condivisa". "Tutto un Paese sta cominciando lentamente a riappropriarsi della sua storia" esultava il fogliaccio fascista, dando risalto ai giudizi di due tra gli "storici" revisionisti invitati al convegno di Fini come Piero Melograni e Francesco Perfetti. Giudizi come quello che "è proprio grazie alla guerra che l'identità nazionale acquista valore" e come quello del conflitto come ultimo atto del Risorgimento "dove fra tanti dubbi e disastri ha rappresentato il superamento delle diversità". Come anche quello che il 4 novembre non può essere considerata una festa di parte, "basti pensare che Togliatti partì volontario nella Croce rossa e lo stesso Gramsci fu interventista".
Ma questa lugubre musica, che vorrebbe spacciare il fiume di sangue del popolo sparso in nome dell'imperialismo italiano nascente per cemento dell'unità nazionale, non cambia nella sostanza neanche sul versante della "sinistra" borghese. "l'Unità" del 1° novembre, infatti, in due pagine intitolate significativamente "Grande Guerra, il Piave mormorò anche a sinistra", ospitava un'intervista a Mario Isnenghi in cui si ripeteva quasi con le stesse parole la sporca operazione del fogliaccio di AN: "Non ha senso dire che quella guerra si poteva evitare. La guerra vi fu, venne vinta e coinvolse l'Italia in un grande dramma collettivo. Poi, malgrado l'interventismo di sinistra, se ne impossessarono i fascisti", esordiva infatti lo "storico" revisionista. Che dopo aver ricordato anche lui l'interventismo di Gramsci, Togliatti ed altri socialisti interventisti (che Lenin, ricordiamolo, bollò giustamente come socialsciovinisti) arriva a concludere che sì, è possibile oggi un "recupero democratico del 1915-18", con queste parole: "Già nel secondo dopoguerra si parlò di Quarta guerra di indipendenza a riguardo. Ma questa lettura liberaldemocratica e ottocentesca non basta, visti gli inquinamenti nazionalisti. Perciò si tratta di depoliticizzare la questione. E di riscoprire la grandezza dello sforzo collettivo di allora, il suo valore antropologico e identitario, persino emancipatorio, con riferimento alle donne (...) milioni di persone, uomini e donne, seppero lavorare gomito a gomito in retrovia e nelle trincee, e conseguirono un risultato storico. In fondo il sentimento nazional-popolare gramsciano fa la sua prova in quel frangente".

Una sporca operazione di revisione della storia
Ecco come si può trasformare in positivo, in "valore antropologico identitario e persino emancipatorio", mostruosità storiche della borghesia come la militarizzazione del proletariato femminile per alimentare la guerra e l'uso spietato degli operai e dei contadini come carne da macello per soddisfare il moloch imperialista! Non a caso, nel tirare le fila del convegno revisionistico da lui organizzato nella Sala della Lupa di Montecitorio, Fini ha accomunato il 4 novembre, "come necessario completamento", alle feste del 25 aprile e del 2 giugno, "in cui si ricordano momenti altrettanto cruciali della storia italiana", per meglio sdoganare il patriottismo e il nazionalismo tra gli antifascisti e i democratici e dare un'altra spinta alla cancellazione della frattura resistenziale in nome della "unità nazionale" e della cosiddetta "memoria condivisa".
È esattamente l'operazione portata ai massimi livelli dal rinnegato Napolitano, quando nel suo discorso del 4 novembre a Vittorio Veneto, nell'esaltare "quella grande, luminosa giornata del 1918", ha sottolineato "l'effetto di identificazione del popolo con la nazione, di conquista del senso dell'unità nazionale, che la prima guerra mondiale, per come fu vissuta in Italia, ci ha lasciato in preziosa eredità", aggiungendo che "ricordare e valorizzare tutto questo non ha nulla a che vedere con esaltazioni retoriche, di stampo nazionalistico e militaristico, che qualcuno sembra temere". Ma egli è voluto andare anche oltre, mettere il suo marchio personale alla campagna patriottarda, nazionalistica e bellicista innestata da La Russa sulla celebrazione del 90° di Vittorio Veneto, vista come occasione per compattare il consenso popolare intorno alle forze armate interventiste e alle loro missioni di guerra internazionali camuffate da operazioni "di pace".
Ed è proprio con questo intento che Napolitano ha voluto concludere il suo intervento: "Non c'è più spazio - ha detto infatti il rinnegato del Quirinale - né per il militarismo né per l'antimilitarismo. È sancita una cultura della pace, di cui è parte l'attaccamento alla Patria e il dovere di difenderla, e di cui è parte anche il nostro sostegno alle organizzazioni internazionali deputate a garantire pace e giustizia nel mondo e alle decisioni che esse possono assumere a questo fine. E si è tracciata così la nuova visione e funzione delle nostre Forze Armate, che in nome della Costituzione oggi festeggiamo e a cui rendiamo omaggio per l'impegno che pongono, con spirito di sacrificio e intelligenza, fuori dal suolo italiano, al servizio di missioni per la pace e la sicurezza internazionale".
Col che il rinnegato del Quirinale ha ristabilito una continuità ideale tra l'imperialismo italiano di Vittorio Veneto e del fascismo con il rinato imperialimo italiano dei nostri giorni, che si alimenta del patriottismo e del nazionalismo di allora per giustificare il militarismo interventista di oggi.

19 novembre 2008