La P4 del piduista Bisignani tesseva per Berlusconi ma pensava anche alla successione
I pm Woodcock e Curcio: Un sistema criminale illegale e surrettizio con modalità operative tipiche delle associazioni mafiose e territoriali
Indagato il capo di Stato maggiore della GdF. ANM: no alla legge bavaglio
L'inchiesta dei Pubblici ministeri (Pm) napoletani Francesco Curcio ed Henry John Woodcock sulla cosiddetta P4 dell'ex piduista Bisignani si allarga a macchia d'olio e punta dritto ai massimi vertici politici e istituzionali.
Insieme ai generali della Guardia di Finanza (GdF) Michele Adinolfi (capo di Stato maggiore) e Vito Bardi (comandante interregionale per l'Italia meridionale), entrambi indagati per rivelazione di segreto di ufficio e favoreggiamento nei confronti di Luigi Bisignani, tra le carte dell'inchiesta depositate dalla Procura ci sarebbero i nomi di almeno altri due generali delle Fiamme gialle coperti da "omissis" la cui posizione formale nell'istruttoria sarebbe già quella di indagati.
Intanto, dopo Roma che per competenza ha iniziato a indagare su nomine e appalti pubblici, anche la procura di Milano ha aperto un fascicolo sulla P4 e in particolare indaga su un paio di operazioni finanziarie sospette che sarebbero state effettuate nel 2010 da Luigi Bisignani. Il fascicolo è stato iscritto, per ora, a 'modello 45', cioè senza indagati e senza ipotesi di reato ed è stato affidato al sostituto procuratore Roberto Pellicano.

Il "sistema criminale"
Insomma, gli sviluppi dell'inchiesta, svelano sempre più quello che i Pm napoletani hanno definito come un vero e proprio "sistema criminale illegale e surrettizio, preordinato all'acquisizione e alla gestione di notizie, per scopi e finalità illecite ed extra ordinem, con modalità operative tipiche delle più sofisticate compagini associative di stampo terroristico e mafioso" composto da ministri, parlamentari, sottosegretari, alti ufficiali dello Stato maggiore della GdF e faccendieri con alla testa il piduista Luigi Bisagnani che, per conto di Palazzo Chigi, piazza i suoi uomini nei gangli vitali delle istituzioni, elargisce poltrone di governo, decide gli appalti e i finanziamenti pubblici, nomina i consigli di amministrazione delle più importanti aziende pubbliche a cominciare dalla Rai, Eni, Enel, Poste, Trenitalia, Finmeccanica; controlla di fatto quasi tutta l'informazione radio televisiva pubblica e soprattutto gestisce in maniera completamente occulta una sterminata banca dati di notizie riservate raccolte in modo illecito, come ad esempio le carte coperte da segreto istruttorio inerenti indagini in corso nelle varie procure in giro per l'Italia. Notizie di cui Bisignani tiene costamente informato il governo e in particolare il neoduce Berlusconi e il suo sottosegretario Gianni Letta molto interessati ai risvolti giudiziari che li riguardano direttamente ma che all'occorrenza Bisignani usa anche per accrescere il proprio potere profferendo minacce, ricatti e intimidazioni nei confronti di chiunque osa contrapporsi al "sistema criminale".
Come dimostra ad esempio la completa sudditanza dei vari ministri fra cui Stefania Prestigiacomo che chiede aiuto a Bisignani per migliorare i rapporti con il collega Paolo Romani, visto che lui "non si comporta bene"; o Ignazio La Russa che si rende immediatamente disponibile: "Arrivo a Roma, se ci vogliamo vedere facciamo il punto su questa situazione e tu mi aiuti a capire un po' questa matassa perché non è tanto chiara". Per non parlare della scandalosa vicenda dell'ex direttore generale della Rai Mauro Masi che addirittura chiede a Bisagnani non solo di suggerirgli la strategia migliore per cancellare "Annozero" ma perfino di scrivergli la lettera di licenziamento contro Santoro.

Il "grande accusatore"
Milanese non è soltanto il "grande accusatore di Adinolfi"; è anche l'uomo indicato da Bisignani nel suo ultimo interrogatorio di garanzia del 20 giugno scorso come una delle sue principali fonti di notizie riservate e che "in almeno una circostanza mi ha avvertito che avevo i telefoni sotto controllo". Non solo. Milanese è soprattutto l'ex ufficiale della GdF, eletto deputato del Pdl nel 2008 con l'appoggio fra gli altri di Nicola Cosentino (l'ex sottosegretario di Tremonti, poi deputato per cui la Procura ha chiesto l'arresto) e nominato da Tremonti suo consigliere politico a partire dal 2004 con l'incarico fra l'altro di membro del consiglio di gestione dell'Agenzia delle Entrate e di organismi di vigilanza sulla Rai, le Ferrovie, l'Alitalia nonché membro del Comitato per la Politica Economica del Pdl (guidato da Tremonti) che gli affida la realizzazione del progetto per la costituzione della Banca del Mezzogiorno, un istituto che dovrebbe nascere trasferendo in mani pubbliche il controllo del Mediocredito centrale di Unicredit.
Tutto ciò nonostante che Milanese risultasse già indagato in due diverse inchieste dalle procure di Napoli (nell'ambito dell'inchiesta denominata operazione Malta su un giro di frodi fiscali per decine di milioni che ha portato all'arresto di 12 persone) e Roma (inerente la compravendita della sua barca che secondo il Pm Paolo Ielo è servita per dissimulare il pagamento di una tangente sugli appalti Enav).

Il "governo ombra"
Insomma c'è chi parla di una sorta di "governo ombra" in mano a Bisignani che per conto di Berlusconi, da un lato, si adopera per disegnare gli organigrammi del potere politico ed economico, sceglie gli uomini e decide perfino gli obiettivi da appoggiare o da distruggere e, dall'altro lato, se le cose dovessero mettersi male per il governo in carica, insieme a Letta, nel ruolo pubblico di grande tessitore, prepara il terreno per un'eventuale uscita di scena di Berlusconi e pensa alla sua successione.
Non a caso davanti ai Pm napoletani lo stesso Letta ha ammesso che: "Luigi è persona estroversa, brillante e bene informata. È amico di tutti. È l'uomo più conosciuto che io conosca. Bisignani è un uomo di relazioni".
Bisignani e Letta temono che Berlusconi possa cadere da un momento all'altro e che con la sua uscita di scena anche il loro potere possa svanire o quantomeno venire ridimensionato.
Emblematico in tal senso è la grande preoccupazione che Bisignani esprime al suo amico Flavio Briatore circa la tenuta del governo: "Se adesso andiamo alle elezioni rischiamo di perderle. Se questi non gli fanno passare il processo breve, finisce che a Berlusconi (per il processo Mills, ndr) gli danno cinque anni di condanna e l'interdizione dai pubblici uffici, ed è finito il gioco per tutti. Tutti, compresa la nostra amica Daniela (la Santanché, ndr), che lo aizzano in questo modo. Lo stanno buttando in un baratro. Adesso meno male che gli altri se ne sono accorti, perché questo gruppetto di quelli della Destra nazionale ha usato Berlusconi per mandare a 'fan culo' Fini, cosa che loro non erano mai riusciti a fare con le loro forze. Una vendetta trasversale, e lui ci è cascato".
Oppure il 25 ottobre del 2010 quando Bisignani parla al telefono con il boss dell'Eni Paolo Scaroni in procinto di recarsi a colloquio con Berlusconi ad Arcore e gli ordina: "Gli devi dire di fare l'accordo sulla giustizia. Si deve mettere d'accordo con Fini, e farla finita. Sennò qui si va alle elezioni. Sennò qui è la morta gora. È la rivolta di tutti i ministri. Per cui, o fai l'accordo mangiando tutto quello che devi mangiare, oppure chiudi la partita".

Il bavaglio alle intercettazioni
Una previsione azzeccata visto che l'esplosione dello scandalo sulla P4 ha riacceso lo scontro tra politica e magistratura e riportato all'ordine del giorno la "necessità" da parte del governo di approvare al più presto la legge bavaglio sulle intercettazioni. Il ministro degli Esteri Franco Frattini ha rinnovato "l'offerta di dialogo alle opposizioni": "Ci sono dei principi, come il divieto della pubblicazione di atti non penalmente rilevanti, su cui anche la sinistra è d'accordo...Ci sono già provvedimenti in Parlamento - ha ammiccato Frattini - è possibile lavorare su questi". Con chiaro riferimento al disegno di legge Mastella già approvato quasi all'unanimità dalla Camera nel 2007 durante l'ultimo governo di "centro-sinistra" e ora rispolverato dallo stesso Berlusconi che evidentemente si è reso conto che la Mastella è addirittura migliore della legge Alfano in quanto vieta di pubblicare il testo, il contenuto e persino il riassunto di qualsiasi atto d'indagine (intercettazioni, ma anche interrogatori, avvisi di garanzia, mandati di cattura), fino all'udienza preliminare e, se l'indagine viene archiviata, silenzio perpetuo; per il cronista che scrive lo stesso, carcere fino a 30 giorni o multe fino a 100 mila euro.
Del resto che l'idea di "bavaglio" sia del tutto bipartisan è cosa nota. E così mentre Di Pietro tra i banchi di Montecitorio trescava col neoduce Berlusconi, Bersani tuonava: "non devono essere divulgate le intercettazioni che non ha senso divulgare perché "non hanno pertinenza con le indagini e violano la privacy dei cittadini. Su questa base siamo pronti al confronto". Un confronto su cui si dice d'accordo anche Nichi Vendola, intervenendo a SkyTg24: "Sono d'accordo con Bersani, credo  che ci possa essere un uso barbarico delle intercettazioni telefoniche. Ritengo che soprattutto il principio della privacy dei cittadini vada rispettato e regolamentato". Mentre D'Alema chiosava: "In questi giorni leggiamo una valanga di intercettazioni che nulla hanno a che vedere con vicende penali e sgradevolmente riferiscono vicende private delle persone. Tutto questo non è positivo".
Insomma gli "oppositori" di Berlusconi alla prova dei fatti si distinguono per essere i suoi alleati più fidati.
Contraria al bavaglio è invece l'Associazione nazionale dei magistrati il cui presidente Luca Palamara ha precisato: "Dobbiamo ribadire il no alla strumentalizzazione da parte di taluni esponenti della politica" perché è "inaccettabile che il tema più rilevante diventi nuovamente quello delle intercettazioni".

29 giugno 2011