Vittorio Emanuele Napolitano controfirma immediatamente la legge
Il parlamento nero approva il decreto Gelmini
Invece di denunciare il ritorno alla scuola di Mussolini, Veltroni invoca autonomia e selezione meritocratica
Il 29 ottobre, nell'aula del Senato assediata ininterrottamente da giorni dalla protesta di migliaia di studenti, il parlamento nero ha approvato definitivamente, con 162 voti a favore, 134 contrari e 3 astenuti, il decreto Gelmini che mira a distruggere la scuola pubblica e a reintrodurre la scuola fascista di Mussolini. Il rinnegato Napolitano ha subito controfirmato la legge, infischiandosene altamente degli appelli degli studenti, degli insegnanti e delle famiglie che avevano subissato il Quirinale di e-mail, svelando il volto ipocrita di questo nuovo Vittorio Emanuele III che ha finto di ascoltare i giovani in lotta e raccogliere le loro istanze, mentre in realtà ha retto sempre il sacco al neoduce Berlusconi e alla sua gerarca dell'Istruzione.
Prima di svignarsela per un'u-scita secondaria, la ministra berlusconiana Mariastella Gelmini, che per tutta la durata del dibattito se ne era stata sorda e muta ostentando una sprezzante indifferenza sia nei confronti del boato di protesta proveniente dalle scuole e dalle piazze di tutta Italia, sia degli accorati appelli al "dialogo" dell'"opposizione", non si è trattenuta dall'esultare per l'esito scontato della votazione, dichiarando in tono trionfante e al tempo stesso di sfida: "Si torna alla scuola della serietà, del merito e dell'educazione. Ringrazio il governo e la maggioranza parlamentare per il sostegno al provvedimento. Entro una settimana presenterò il piano sull'università". E il capogruppo della Lega Bricolo, che insieme a Calderoli era stato per tutto il tempo accanto alla gerarca berlusconiana in segno di solidarietà, ed anche per ricordarle le ulteriori richieste razziste e xenofobe dei leghisti sulle classi differenziali per i bambini dei migranti e la scelta degli insegnanti al nord su rigida base regionale, ha aggiunto rivolto provocatoriamente agli studenti e agli insegnanti che manifestavano davanti al Senato: "La ricreazione è finita".
Del resto l'approvazione finale della legge, sbrigata ad inizio di seduta dopo le frettolose dichiarazioni di voto, era stata un puro atto notarile, praticamente un voto di fiducia per il governo, per Berlusconi e per la sua gerarca di viale Trastevere. La "discussione" del provvedimento si era svolta e conclusa tutta nella giornata precedente, in cui erano stati votati e respinti a passo di carica tutti i 128 emendamenti presentati dall'"opposizione". A dirigere l'aula militarizzata a svolgere diligentemente il compitino in classe ci ha pensato il suo presidente Schifani, tagliando i tempi, vietando le dichiarazioni dei presentatori degli emendamenti e degli ordini del giorno, impugnando il regolamento come una clava per zittire le proteste e imporre di rispettare il copione già scritto. Proprio lui, che nella precedente legislatura, come capogruppo della Casa del fascio al Senato, aveva fatto il diavolo a quattro e si era distinto per la rabbiosità con cui si era scagliato più volte contro il suo degno compare democristiano Marini, accusandolo di irregolarità e di abusi nei confronti dell'"opposizione".

La faziosità di Schifani e le scuse del PD per le "intemperanze"
Ora si vede bene perché il neoduce ha voluto piazzare questo suo fedele tirapiedi sulla poltrona di Palazzo Madama, e quanto siano stati servili e anche sciocchi gli applausi "bipartisan" con cui il PD accolse la sua nomina, peraltro non contrastata dal partito del neonazionalista e presidenzialista Veltroni, che scelse allora l'astensione in segno di "apertura" verso Berlusconi e la maggioranza. Altro che "presidente di garanzia"! L'unica "concessione" che Schifani ha accordato alle proteste dell'"opposizione" è stata la riconvocazione della Giunta per il regolamento, che ha deciso il prolungamento serale della discussione. Dal che la capogruppo del PD Finocchiaro si è subito precipitata a ringraziarlo, scusandosi con lui per le "intemperanze" del suo stesso gruppo e ricevendone in cambio gli applausi di PdL e Lega. In precedenza il PD si era addirittura unito, acriticamente e prima ancora di conoscere bene i fatti, alla maggioranza nell'esprimere solidarietà all'operato della polizia in piazza Navona, arrivando ad attribuire la responsabilità degli scontri in maniera "equanime" sui violenti di destra e di "estrema sinistra".
D'altronde non è che l'"oppo-sizione di sua maestà", a parte le proteste verbali, abbia fatto fuoco e fiamme per contrastare l'esito scontato di questo ultimo passaggio parlamentare del decreto Gelmini. Lungi da essa l'idea di ricorrere all'ostruzionismo parlamentare, che mai come in questo caso, con centinaia di migliaia di studenti in piazza e alla vigilia dello sciopero generale della scuola e della grande manifestazione di Roma, sarebbe stato doveroso e sicuramente producente, per far quantomeno slittare l'approvazione del provvedimento e mostrare ancor di più l'isolamento del governo sordo e arrogante. Difatti Schifani ha avuto buon gioco nel rinfacciarle che i tempi stretti erano stati già decisi di comune accordo nella Giunta per il regolamento. Come sempre l'opposizione di cartone di Finocchiaro e soci ha preferito esaurirsi nella presentazione di emendamenti tesi ad "addolcire" il provvedimento fascista, nella vana speranza di aprire qualche crepa nella maggioranza e riaprire il dialogo su una "riforma" che in molti nella "sinistra" borghese, pur senza ammetterlo pubblicamente, considerano "non tutta da buttare".

Per una "scuola dell'autonomia e del merito"
In fondo cosa aveva chiesto Veltroni al governo dal palco del Circo Massimo? Di ritirare, o meglio "sospendere" il provvedimento per "un tempo limitato", un mese, dopodiché, se il "dialogo" con le controparti della scuola e il parlamento non fosse approdato a nulla, il governo avrebbe avuto tutto il "diritto di decidere". Il fatto è che la posizione del PD sulla scuola e l'università non è per nulla antitetica a quella della maggioranza neofascista. Condivide anzi i capisaldi fondamentali della controriforma che il governo ha annunciato, come l'autonomia scolastica e la meritocrazia. Lo ha ribadito lo stesso Walter Veltroni, nella conferenza stampa del 28 ottobre scorso in cui, invece di denunciare il ritorno alla scuola di Mussolini, ha presentato il piano in 10 punti del "governo ombra" sull'università con questo cappello che apre alla sua privatizzazione: "Ogni posizione conservatrice sulla scuola e l'università è sbagliata. Abbiamo bisogno della scuola dell'autonomia e del merito. Di una scuola che abbia fiducia nella capacità di scelta dei ragazzi. Di una scuola guidata da un progetto educativo moderno e capace di promuovere opportunità sociali e merito, in un contesto di permanente, indipendente, valutazione di qualità".
Un modo subdolo e paludato, questo, per contrabbandare l'obiettivo della privatizzazione della scuola pubblica che, del resto, la "sinistra" borghese ha sposato da anni e ha già tentato di imporre con i governi di "centro-sinistra", in sostanziale continuità con quanto chiedono oggi Berlusconi e Tremonti. La scuola e l'università devono in sostanza servire a selezionare meritocraticamente, via via che si passa ai gradi più alti dell'istruzione, i quadri di domani a tutti i livelli e in ogni campo e settore economico, condannando il resto degli studenti a mansioni dequalificate e a una vita da precari e sottopagati.
Commentando in un'intervista a "l'Unità" le dichiarazioni di Berlusconi favorevoli a levare i tagli in Finanziaria alle scuole private, il leader del PD, invece di denunciarle come la dimostrazione lampante della volontà del neoduce di distruzione della scuola pubblica per far posto alle private, anzitutto cattoliche, la mette così: "Noi stiamo a quello che dice la Costituzione. La centralità della scuola pubblica è un valore assoluto da difendere, ma dobbiamo considerare anche la funzione che hanno certe scuole private in molte parti del Paese. Oggi Berlusconi ha gettato benzina sul fuoco, dicendo che i tagli alle scuole private sono sbagliati, senza aggiungere che lo sono anche quelli della scuola pubblica".
Ma la Costituzione non dice (art. 33) che le scuole private hanno il diritto di esistere ma "senza oneri per lo Stato"? Strana interpretazione, quella di Veltroni, che cambia un "senza" con il suo onnipresente "ma anche" buono per tutte le occasioni. Anche la decisione del referendum abrogativo ha tutta l'aria di un diversivo per sabotare le lotte nelle scuole e nelle piazze, creando illusorie aspettative su un intervento "esterno" che in ogni caso non potrebbe verificarsi che nel 2010, dando tutto il tempo al governo di completare lo scempio della scuola pubblica.

5 novembre 2008