Discorso di Mino Pasca a nome del Comitato centrale del PMLI
Prendiamo esempio da Stalin e applichiamo i suoi insegnamenti per costruire un grande, forte e radicato PMLI e per lottare contro la guerra imperialista all'Iraq
Pubblichiamo il testo integrale del brillante discorso pronunciato dal compagno Mino Pasca, a nome del Comitato centrale del PMLI, il 2 marzo 2003 alla commemorazione di Stalin.

Compagne e compagni, amiche e amici,
quando cinquant'anni fa, il 5 marzo 1953, venne annunciata la morte di Stalin, un dolore infinito e profondo accomunò il popolo sovietico ai popoli del mondo e all'umanità avanzata e progressiva e un sentimento di sgomento turbò i proletari e i marxisti-leninisti per la gravissima e irreparabile perdita di colui che aveva dedicato l'intera sua esistenza e logorato ogni sua energia fisica e mentale alla causa entusiasmante della rivoluzione e del socialismo, alla causa dell'emancipazione della classe operaia e di tutti i lavoratori dall'oppressione e dallo sfruttamento capitalistici, alla causa della liberazione dei popoli oppressi dall'imperialismo. Si pensi che quest'uomo che aveva costruito il socialismo in una sesta parte del pianeta moriva altrettanto povero di quando era nato; nell'inventario dei suoi beni personali compaiono solo pochi oggetti privi di valore: la sua vecchia pelliccia che l'aveva protetto nelle deportazioni, un paio di stivali e una coperta dell'esercito che lo riparava durante il sonno, quando a notte fonda si concludevano le sue lunghe giornate di lavoro. Noi perdevamo il grande maestro del proletariato internazionale che aveva ispirato saggiamente e diretto vittoriosamente, dalla scomparsa di Lenin e per quasi un trentennio, il Partito bolscevico, l'Unione sovietica, il movimento comunista internazionale, il campo socialista e la rivoluzione mondiale, arricchendo in ogni campo il patrimonio ideale e scientifico del marxismo-leninismo.
Il dolore senza eguali suscitato dalla scomparsa di Stalin era la testimonianza di quanto profondamente egli avesse toccato i cuori e le menti dei lavoratori, degli oppressi e dei combattenti per il socialismo in ogni angolo della Terra e avesse segnato con un incalcolabile contributo pratico e teorico l'epoca contemporanea. Specie dopo l'annientamento del mostro nazifascista, la bandiera di Stalin era diventata la bandiera non solo dei comunisti del mondo intero ma di tutte le forze autenticamente antifasciste e progressiste, del movimento antimperialista, degli amanti della pace e della solidarietà fra i popoli, dei combattenti per l'indipendenza e la sovranità nazionali e persino dei democratici conseguenti che avevano visto la borghesia trasformarsi irreversibilmente nella reazione mondiale e calpestare quelle stesse libertà democratico-liberali di cui era stata portatrice in tempi lontani.

LA BANDIERA DI STALIN
Finché fu vivo Stalin, la borghesia interna e internazionale non ebbe alcuno spazio in Urss e nel movimento comunista internazionale, fu denudata, sbugiardata, umiliata e sconfitta e visse nel terrore, in questo e solo in questo consisteva il cosiddetto terrore staliniano, del suo tramonto storico, lei che si ritiene eterna e universale, mentre la realtà sovietica quotidiana mostrava quanto essa fosse superflua e inferiore rispetto alla nuova classe proletaria giunta al potere dell'economia, dello stato e dell'intera società.
Finché fu vivo Stalin gli imperialisti, che si chiamassero Hitler o Mussolini, Churchill o Truman, schiumavano di rabbia nell'impossibilità di fare bene e senza freni il solo mestiere che conoscono, quello di macellai dei popoli, e non come accade oggi all'Hitler della Casa Bianca che si ritiene il padrone assoluto del globo, etichetta amici e nemici, detta regole e condizioni, spadroneggia dappertutto e mentre si appresta ad attaccare l'Iraq annuncia una nuova guerra dei Trent'anni per mettere a tacere quei paesi tacciati di essere terroristi solo perché non si prostrano ai suoi piedi o perché non rispetterebbero la sua dottrina "pacifista" del riarmo unilaterale, quello degli Usa s'intende, e disporrebbero di armi di distruzione di massa quantunque siano proprio gli Usa a possedere l'arsenale bellico, convenzionale e non convenzionale, nucleare, chimico, missilistico e batteriologico più terrificante mai concentrato nelle mani di una sola grande potenza imperialista.
La figura di Stalin personificava la contrapposizione stessa tra socialismo e capitalismo, tra rivoluzione e controrivoluzione, tra progresso e reazione, a tal punto da costringere i revisionisti kruscioviani, ossia la borghesia salita al potere nel partito e nello stato sovietici a sferrare e concentrare, nel 1956 al 20° congresso del Pcus, esclusivamente contro Stalin il loro criminale attacco, che chiameranno destalinizzazione, per rovesciare il socialismo nella patria dei soviet. Ecco chi dobbiamo "ringraziare" se oggi il mondo è globalizzato sotto il tallone di ferro dell'imperialismo e la Russia è tornata indietro di un secolo, governata da un nuovo zar, Putin, sponsorizzato e protetto dal neoduce Berlusconi, e piagata dall'arretratezza economica e da un regime dispotico e fascista, dalla miseria dei lavoratori e dall'arbitrio poliziesco e mafioso, dalle peggiori diseguaglianze economiche, sociali e nazionali e dall'annientamento sistematico e dalla feroce repressione delle nazionalità oppresse.
A partire dal colpo di stato fascista di Krusciov, gli anticomunisti e i fascisti che erano stati costretti a mordere la polvere rialzarono la testa e riversarono tutta la bile sin lì accumulata in una campagna di sistematica e vergognosa demonizzazione di Stalin e di distruzione della sua figura, vomitando fiumi di falsità e di menzogne assurde e fantasiose, mostruose e meschine sulle sue attività, vita e opera fino a dipingerlo come il diavolo in persona e ad accusarlo di tutto e del contrario di tutto. Tanti nemici, tanto onore: nessun'altra grande personalità nella storia ha ricevuto un trattamento analogo.
Tutti e cinque i grandi maestri del proletariato internazionale sono stati ripagati dal nemico di classe con ogni sorta di persecuzione, repressione e calunnia. Eppure nessuno è odiato dai fascisti, imperialisti e borghesi quanto Stalin, e qui sta la ragione del rapporto speciale che ci lega a lui. Quanto più lo attaccano tanto più noi lo difendiamo, più lo calunniano più noi lo amiamo, più lo demonizzano più noi ci identifichiamo in lui. Difendendo Stalin difendiamo noi stessi, la nostra storia, l'intera causa per il socialismo. Ecco perché il Comitato centrale del PMLI, a nome del quale pronuncio questo discorso, ha deciso di celebrare solennemente questa ricorrenza storica.
Tutti sorridono increduli quando ricordiamo che i comunisti venivano in passato tacciati di mangiare i bambini. Beh oggi tale mostruosa accusa forse non vale più per gli eredi del PCI siano essi D'Alema, Fassino e Cofferati o Cossutta e Bertinotti. Non certo per Stalin e noi marxisti-leninisti. Per Stalin e noi marxisti-leninisti non è cambiato niente, semplicemente perché noi non siamo cambiati e dunque agli occhi del nemico di classe siamo gli stessi mostri di allora.
Non possiamo certo impedire che degli anticomunisti incalliti come Berlusconi insultino e calunnino Stalin e i marxisti-leninisti quotidianamente dalle loro televisioni, dai loro quotidiani e sulle loro pubblicazioni, perché costoro detengono il potere e considerano il comunismo come la peste e i marxisti-leninisti come gli untori, da isolare e da mandare al rogo esattamente come nel medioevo i loro antenati tacitavano eretici e oppositori. Ma con tutte le nostre forze vogliamo impedire ai giovani che si affacciano alla lotta di classe con sentimenti e propositi anticapitalistici di cadere vittime delle campagne dell'odio e della menzogna contro Stalin e contro l'intera esperienza della costruzione del socialismo in Urss, e che ne siano irretiti e turlupinati e quindi finiscano in un vicolo cieco, svuotati di ogni loro potenzialità rivoluzionaria. Credendo di trovarsi ancora all'anno zero della lotta contro il capitalismo, sarebbero indotti a non fare affidamento sull'esperienza storica sin qui maturata e a ricominciare tutto daccapo.
Noi invitiamo i giovani ad abbandonare ogni pregiudizio: ci sarà pure una ragione se a quello spettro del comunismo di cui parlavano Marx ed Engels nel Manifesto, spesso e volentieri i potenti di oggi attribuiscono il volto di Stalin! Sovente, quando qualche nostro interlocutore solleva riserve su Stalin, gratta gratta, noi ci accorgiamo che le riserve e i dubbi riguardano anche Lenin e, infine, si estendono all'intera dottrina di Marx ed Engels, ossia sono il sintomo di un malessere più generale: lo scetticismo verso il socialismo e circa la necessità di chiudere una volta per tutte con l'esperienza storica fallimentare del capitalismo. Le calunnie e le falsità oggi vomitate contro Stalin, persino gli slogan contro il culto della personalità, sono state usate ieri contro Mao, Lenin e Marx ed Engels. Dopo aver visto fallire l'intrigo di usurpare la direzione della Prima Internazionale, l'anarchico Bakunin coprì rabbiosamente Marx di insulti di questo tipo: "Essendo un tedesco e un ebreo, egli è un assolutista da capo ai piedi" ( Mehring, vita di Marx ), è un "dittatore" (Engels a Bebel 20/6/1873). Analogamente si espresse il rinnegato socialdemocratico Kautzky verso Lenin, paragonandolo al "dio dei monoteisti", che aveva "ridotto il marxismo allo stato non solo di una religione di Stato ma di una fede medievale o orientale".
Come nel passato gli aristocratici e i reazionari inorridivano e ribollivano d'odio alla parola "giacobino", così la borghesia non tollera neppure sentir pronunciare le parole marxisti-leninisti e Stalin senza coprirli di insulti e accusarli di ogni sorta di crimine, com'hanno fatto gli squadristi fascisti di "Forza Nuova" che hanno minacciato di arrivare all'aggressione fisica questa mattina, il gruppo parlamentare di AN in parlamento e i quotidiani di regime capeggiati da Libero, Il Secolo d'Italia e La Nazione che hanno tentato in ogni modo di impedire questa commemorazione.
Ai giovani diciamo: non lasciatevi turlupinare dagli anticomunisti aperti o mascherati e abbiate il coraggio di conoscere chi era veramente Stalin e quali erano le sue idee. Non c'è altra strada che studiarne il pensiero e l'opera. Abbiate anzitutto il coraggio di studiare le sue opere, e magari di dissentire ma solo dopo averle lette e averle raffrontate con la sua condotta e attività politica. Guai a giudicarlo a priori senza averne letto neppure un rigo accontentandovi di sputare e ripetere pappagallescamente le sentenze preconfezionate dagli anticomunisti. Vi permettereste mai di giudicare la bontà di un cibo senza averne assaggiato almeno un boccone? Se non c'è altro modo per conoscere il sapore di un cibo che assaggiarlo, perché pretendere di avere un'idea di Stalin solo per sentito dire? Vi invitiamo pertanto a ragionare con la vostra testa e a giudicarlo dal punto di vista del proletariato. A questa esigenza vanno incontro le numerose iniziative decise dal PMLI come la pubblicazione su "Il Bolscevico" di numerosissimi suoi scritti e testimonianze, anche inediti, la realizzazione del video proiettato per la prima volta in questa occasione e infine la splendida, esauriente e ricchissima biografia di Stalin che abbiamo iniziato a pubblicare in questa ricorrenza, con cui noi marxisti-leninisti italiani abbiamo innalzato a Stalin un monumento grandioso e duraturo che nessuno mai riuscirà ad abbattere, un monumento che esprime la nostra doverosa riconoscenza nei confronti del maestro che in modo vivo ed educativo continua a ispirare la nostra lotta.

L'INCONTRO COL MARXISMO
A differenza dei tanti dirigenti bolscevichi che provenivano dalla borghesia e piccola borghesia, Stalin era a tutti gli effetti un autentico figlio del popolo: ciabattino e, successivamente, operaio calzaturiero, il padre; figlia di un contadino servo della gleba, la madre. E al popolo, al suo proletariato e al proletariato del mondo intero è rimasto per sempre legato come l'albero alla terra da cui riceve vita, ogni sostegno e nutrimento e a cui fornisce protezione e, attraverso le radici, coesione e solidità.
Giovanissimo diventa marxista. E sulla sua precoce adesione al marxismo val la pena soffermarsi. "Per essere diventato un rivoluzionario - gli domandò con malizia un intervistatore tedesco - i vostri genitori, quando eravate bambino , vi picchiavano?" Eh già per diventare rivoluzionari, credono i borghesi, bisogna essersi incattiviti col mondo ed essersi ribellati al peso dei gravi traumi e turbe giovanili maturati nell'ambito familiare. Stalin pazientemente in due riprese rispose: "Assolutamente no. I miei genitori non mi maltrattavano (...) Sono diventato marxista a causa della mia posizione sociale... ma anche in conseguenza della dura intolleranza e della disciplina gesuitica, che mi hanno perseguitato senza pietà in seminario (...) Se son diventato rivoluzionario è soltanto perché ho constatato che i marxisti avevano ragione." Per Stalin sono due gli elementi che hanno contribuito alla sua adesione al marxismo: il cuore e il cervello rivoluzionari, ovvero un elemento oggettivo, la sua posizione sociale, in conseguenza della quale egli respirava un'atmosfera satura di odio verso lo zarismo e maturava sentimenti ribelli, e l'altro soggettivo, consistente nella consapevolezza della giustezza dell'analisi e della dottrina marxista-leninista, acquisita grazie allo studio e all'attività razionale.
La ribellione di questo giovane insofferente verso il regime gesuitico e poliziesco era irrobustita, alimentata e ben indirizzata dall'attività di lettura e discussione dei libri proibiti. Non leggeva i testi religiosi che gli venivano imposti in seminario ma proprio quei libri messi all'indice dalle gerarchie ortodosse, opere di Galileo, Darwin, Hugo, e poi di Marx, Engels e Lenin. Li divorava, da solo, di notte in camerata, di nascosto, alla luce fioca della candela o magari saltando i pasti, e ne discuteva anche in gruppo, come in una delle tante occasioni in cui fu scoperto, dopocena in cucina, e punito con la cella prolungata e il regime duro. Tale passione non lo abbandonerà mai, neppure nelle lunghe e tormentate deportazioni in Siberia, dove, pur malato, affamato e privato di qualsiasi lettura, ai compagni chiedeva comunque l'invio di giornali inglesi per poter almeno studiare quella lingua. In questo modo fu iniziato al marxismo il giovane Soso, che già manifestava il bernoccolo dell'organizzazione nonché un raro talento alla concretezza, laddove riusciva a mobilitare e coinvolgere intorno a sé consistenti gruppi di altri allievi, congiuntamente alla passione per lo studio, inteso in modo vivo e mai libresco, aumentava incessantemente le sue conoscenze e la sua cultura, laddove favoriva le discussioni e lo scambio di opinioni tra gli allievi più avanzati e combattivi redigendo prima con cura degli appunti e osservazioni personali che poi nelle riunioni usava come base di dibattito e riflessione collettiva.
La propaganda del marxismo non poteva non costargli l'espulsione dal seminario, ma ormai aveva trovato la sua strada, quella strada che non avrebbe più abbandonato, neppure messo davanti a prove terribili e difficili. Si gettò con entusiasmo nella nuova vita di propagandista tra i circoli operai di Tiflis e di organizzatore di riunioni, diffusioni, scioperi. E non farà mai mistero del debito di riconoscenza nei confronti del proletariato.
Potremmo citare tanti e tanti esempi ed episodi che testimoniano la sua modestia e il suo legame con le masse, ma noi vogliamo in questa sede ricordarne uno che mette bene in luce lo spirito che lo animava. In risposta al saluto degli operai delle officine ferroviarie che avevano incontrato a Tiflis nel 1926 così Stalin si esprime in sintesi: "Compagni, vi devo dire, con la mano sul cuore, che io non merito neanche la metà degli elogi che mi sono stati rivolti. E' stato detto che io sono l'eroe della Rivoluzione d'Ottobre, il capo del Partito comunista dell'Unione Sovietica, il dirigente dell'Internazionale Comunista, l'eroe leggendario e chissà cos'altro ancora. Tutto ciò è assurdo, compagni, sono esagerazioni assolutamente inutili. Con questo tono si parla abitualmente sulla bara di un rivoluzionario defunto. Io però non ho ancora intenzione di morire. Sono perciò costretto a farvi il quadro esatto di ciò che ero in passato e dichiarare a chi sono debitore della posizione che occupo oggi nel partito.(...)
Ricordo il 1898, quando per la prima volta assunsi la direzione di un circolo di operai delle officine ferroviarie... A paragone di questi compagni io ero allora un giovinetto. Forse avevo letto un po' di più di molti di questi compagni. Ma nel lavoro pratico tuttavia ero allora indubbiamente un principiante... Qui, nella cerchia di questi compagni divenni un allievo della rivoluzione. Come vedete, i miei primi maestri furono gli operai di Tiflis. Permettetemi di esprimere loro la mia sincera, fraterna gratitudine. (...)
Ricordo poi gli anni 1907-1909, quando per decisione del partito fui inviato a lavorare a Bakù
( la città del petrolio che, si noti bene, era allora il primo centro petrolifero dove si estraeva la più alta quantità di greggio al mondo )... Trovandomi a contatto con gli operai avanzati... e nella tempesta dei conflitti più profondi tra gli operai e gli industriali del petrolio ... divenni un apprendista della rivoluzione. Permettetemi di esprimere la mia sincera fraterna gratitudine ai miei maestri di Bakù.
Ricordo infine il 1917, quando dopo lunghe peregrinazioni attraverso le prigioni e i luoghi di deportazione, per decisione del partito fui trasferito a Leningrado. Là, nella cerchia degli operai russi, a contatto immediato con il compagno Lenin, grande maestro del proletariato di tutti i paesi, nella tempesta dei grandi scontri tra proletariato e borghesia, nella situazione creata dalla guerra imperialista, imparai per la prima volta a comprendere cosa significa essere uno dei dirigenti del grande partito della classe operaia...Là, in Russia, sotto la guida di Lenin, divenni uno degli artefici della rivoluzione. Permettetemi di esprimere la mia sincera fraterna gratitudine ai miei maestri russi e di inchinarmi alla memoria del mio grande maestro Lenin.
Dalla qualifica di allievo (Tiflis), attraverso quella di apprendista (Bakù), a quella di artefice della nostra rivoluzione (Leningrado): ecco, compagni, la scuola del mio tirocinio rivoluzionario. Questo, compagni, è il quadro esatto di ciò che ero in passato e di quel che sono diventato, se si parla senza esagerazioni, con tutta sincerità.
" (Stalin, Opere complete, vol. 8, p. 216-219 )

CHI ERA VERAMENTE STALIN
Così si esprimeva colui che gli anticomunisti dipingono come un tiranno spietato e assetato di potere e di sangue. Lo accusano ingiustamente di aver sovrapposto il suo arbitrio personale alla direzione collegiale del Partito, dopo essersi sbarazzato uno dopo l'altro dei massimi dirigenti bolscevichi. Niente di più falso. Per ben due volte Stalin presentò le sue dimissioni da segretario generale, e tutt'e due le volte a schiacciante maggioranza se le vide respingere, a seguito delle notazioni critiche riguardanti il suo carattere, contenute in quello che viene malevolmente definito il "testamento" di Lenin e che invece era un semplice promemoria personale e riservato che il fondatore del partito bolscevico, gravemente malato e preoccupato di una scissione ma all'oscuro delle vicende interne al gruppo dirigente, mai rese pubblico o fece uscire dal suo archivio personale e che il Partito ricevette solo tre mesi dopo la sua morte.
Stalin era il migliore discepolo, il solo autentico erede e continuatore di Lenin. E con Lenin aveva condiviso linea e posizioni pur trovandosi molte volte in minoranza nel partito. Nessun'altro nel gruppo dirigente aveva compreso come lui le novità apportate da Lenin e il salto che il leninismo aveva apportato al patrimonio comune del marxismo. Né Trotzki, da sempre un menscevico che aveva opportunisticamente aderito al partito bolscevico solo nel luglio '17, così malato di individualismo narcisista e inconcludente da risultare una sorta di Bakunin in insalata russa; né Kamenev e Zinoviev, ripetutamente oppositori di Lenin, il quale arrivò persino a chiedere l'espulsione dal partito dei due "crumiri" e sabotatori dopo che avevano svelato pubblicamente la data dell'insurrezione; né infine Bucharin, che aveva fama di teorico ma era privo di qualsiasi concreta esperienza rivoluzionaria, il cui dottrinarismo scolastico e ondivago lo oscillerà tra l'ultrasinistrismo trotzkista e le posizioni ultradestre conciliatrici verso la socialdemocrazia, favorevoli ai kulak e rabbiosamente ostili alla collettivizzazione nelle campagne, una caratteristica che già Lenin aveva pubblicamente stigmatizzato con queste parole: "Come ha potuto Bucharin giungere a una tale rottura col comunismo?...Sappiamo che egli più volte è stato chiamato per scherzo: "cera molle". Dunque, su questa "cera molle" qualsiasi uomo "senza principi", qualsiasi "demagogo" può scrivere ciò che vuole."(Lenin, Opere complete, vol. 32 p. 38)
Comunque la si rigiri, nessun altro dirigente bolscevico di allora eguagliava Stalin in qualità politiche, organizzative e ideologiche, nessuno più di lui sarebbe stato capace di garantire all'Urss e all'allora movimento comunista internazionale gli sviluppi e i successi che ebbero. Deciso a salvaguardarne con ogni mezzo l'unità, nel primo Congresso del partito bolscevico svolto senza Lenin, nel 1925, egli ricordò di essersi opposto e battuto con decisione contro le proposte di espellere Trotzki dal partito e dall'Ufficio politico, fintantoché i dissensi riguardavano questioni di linea: "Non fummo d'accordo con Zinoviev e Kamenev, perché sapevamo che la politica dell'amputazione comportava gravi pericoli per il partito, che il metodo dell'amputazione, il metodo del salasso - ed essi chiedevano sangue - era pericoloso, contagioso: oggi si elimina uno, domani un altro, dopodomani un terzo; che cosa ci resterà nel partito? (...)( Stalin, Opere complete, vol. 7, p. 430) E' impossibile dirigere il partito - esortava nelle conclusioni del 14° Congresso - altrimenti che con il sistema collegiale. Sarebbe assurdo pensarlo dopo la morte di Ilic, sarebbe assurdo parlarne. Lavoro collegiale, direzione collegiale, unità nel partito, unità negli organismi del Comitato Centrale, a condizione che la minoranza si sottometta alla maggioranza: ecco che cosa ci occorre ora." (Stalin, Opere complete, vol. 7, pag. 443)
Mentre praticava la lotta ideologica attiva, Stalin chiedeva la direzione collegiale e la favoriva in ogni modo, purché fosse salvaguardato il principio sacro del centralismo democratico, ossigeno della vita stessa del partito, secondo cui la minoranza si sottomette alla maggioranza. Le battaglie di linea sono la linfa vitale di ogni partito marxista-leninista e richiedono di essere combattute fino in fondo, solo così le idee giuste hanno modo di prevalere sulle idee sbagliate. L'Urss non sarebbe mai esistita se Lenin e poi Stalin avessero ceduto alla tesi trotzkista che il socialismo non aveva speranza di prevalere in un solo paese ma pretendeva la simultanea esplosione della rivoluzione in tutto il mondo.
Non è, dunque, una sua colpa se la frazione trotzkista, prima, e la destra buchariniana, dopo, non ne vollero sapere di salvaguardare l'unità del partito, trasformarono i dissensi in conflitto cruento, la dialettica ideologica e politica in controrivoluzione, perseguirono la scissione e scatenarono la sovversione e il terrorismo antisovietico, fino a diventare strumenti di quella quinta colonna che i servizi segreti hitleriani e degli altri paesi imperialisti infiltravano nell'Urss per espugnare la fortezza socialista dall'interno. Ecco perché si arrivò alla repressione dei controrivoluzionari e ai processi degli anni Trenta, che si svolsero sempre alla luce del sole, alla presenza di osservatori e della stampa internazionale, e furono occasioni di grandi dibattiti pubblici che coinvolsero e mobilitarono l'intera popolazione sovietica.
Com'era potuto accadere che dirigenti che avevano partecipato alla rivoluzione fossero diventati dei traditori e dei sabotatori della rivoluzione? Per la stessa ragione per cui un socialista come Mussolini diventò fascista o leader autorevolissimi come Kautzki, che pure era stato l'erede testamentario di Engels, e come Turati e Nenni diventarono i cani da guardia del capitale, tra i più rabbiosi nella guerra condotta dalla socialdemocrazia contro la Terza Internazionale. Non ce ne dovremmo stupire proprio noi che siamo circondati da rinnegati, sessantottini pentiti e voltagabbana, al governo e alla Rai, nei maggiori quotidiani nazionali e ai più alti livelli istituzionali, dappertutto, anche nei circoli e cordate economico-affaristici.
Persino in quelle condizioni terribili, con l'Urss assediata e minacciata dall'esterno e dall'interno e l'avvicinarsi dell'aggressione nazifascista, Stalin mai venne meno al principio della direzione collettiva del partito e dello stato. "Non è possibile decidere individualmente; le decisioni individuali - ripeteva proprio in quegli anni - sono sempre o quasi sempre unilaterali. In tutti i raggruppamenti, in tutte le collettività, vi sono delle persone il cui parere non può essere trascurato, come vi sono pure delle persone il cui parere risulta erroneo. L'esperienza di tre rivoluzioni ci ha dimostrato che su cento decisioni individuali, con corrette poi collettivamente, novanta risultarono del tutto unilaterali. Nel nostro organismo direttivo, il Comitato Centrale del nostro partito che dirige tutte le organizzazioni sovietiche e comuniste, si contano circa settanta membri. E fra questi si annoverano i nostri migliori tecnici, i migliori specialisti, i migliori studiosi di tutte le branche dell'attività. Ciascuno ha la possibilità di correggere l'opinione, la proposizione individuale dell'altro; ciascuno ha la possibilità di fare la propria esperienza. Se fosse stato altrimenti, se le nostre decisioni fossero state adottate individualmente, avremmo commesso errori gravissimi nel nostro lavoro. Invece, avendo ciascuno la possibilità di correggere gli errori degli altri e tenendo tutti conto delle correzioni, le nostre decisioni sono il più possibile giuste." (Barbusse, Stalin, p. 56)
Nemico delle adulazioni e dell'esaltazione alla sua persona svincolate dall'adesione sostanziale alla causa del socialismo, Stalin si opponeva in pubblico e in privato a qualsiasi tipo di culto della personalità, in coerenza con le sue ben note e insistite parole: "Sono finiti i tempi in cui i grandi uomini facevano la storia". Nella risposta al colonnello Razin che gli chiedeva nel 1946 un parere su alcune questioni militari, gli espone dialetticamente e in modo convincente le sue idee ma lo avverte senza mezzi termini: "Urtano l'orecchio i ditirambi in onore di Stalin: è addirittura fastidioso leggerli" (Stalin, Problemi della pace, p. 81). Cioè lo prega di smetterla di incensarlo come fosse una divinità e lo invita piuttosto a criticare senza indugi la dottrina militare borghese, anche a costo di correggere qualche giudizio sbagliato formulato dai maestri del marxismo-leninismo.
Chi alimentava, dunque, il cosiddetto "culto della personalità", Stalin, o piuttosto opportunisti e individui a doppia faccia come Krusciov e Togliatti visti quest'oggi nel filmato? A un intervistatore che gli pose il quesito: "Credete che vi si possa comparare con Pietro il Grande?", Stalin tagliò corto con queste parole lapidarie: "Le comparazioni storiche son sempre arbitrarie. Questa, poi, è addirittura assurda". La grandiosa vittoria della seconda guerra mondiale poteva indurre in chiunque manie di onnipotenza o vertigini di successo, non certo in Stalin che ribadì la necessità irrinunciabile del controllo delle masse sui dirigenti e sull'attività del partito:"Si dice che i vincitori non si giudicano, che non bisogna criticarli né controllarli. Non è vero. I vincitori si possono e si devono giudicare. Si possono e si devono criticare e controllare. Ciò è utile non soltanto alla causa, ma agli stessi vincitori: vi sarà meno presunzione e più modestia. ... Il partito comunista del nostro paese non varrebbe granché, se temesse la critica e il controllo."(Problemi della pace p27)
Stalin non si stancava di ricorrere anzitutto personalmente e insieme di esortare tutti i dirigenti e i militanti all'autocritica, che doveva diventare una consuetudine come ogni sera e ogni mattina ci laviamo per rimuovere lo sporco accumulatosi nel frattempo. "Noi non possiamo fare a meno dell'autocritica. Non lo possiamo in nessun modo", rispondeva a Gorki che gli aveva esposto dei dubbi sulla strumentalizzazione che il nemico ne avrebbe fatto. "Senza l'autocritica sono inevitabili la stagnazione, l'imputridimento dell'apparato, lo sviluppo del burocratismo, il soffocamento dell'iniziativa creatrice della classe operaia. Certamente, l'autocritica offre spunti ai nemici...Ma essa offre spunti (e dà impulso) al nostro progresso, al libero sviluppo dell'energia costruttiva dei lavoratori, allo sviluppo dell'emulazione...Il lato negativo è compensato e più che compensato dal lato positivo." (Rassegna sovietica, Stalin morte, p.11)
A chi accusa Stalin di aver ridotto il socialismo nella dittatura del partito, di aver zittito ogni critica e schiacciato senza pietà i contadini e la classe operaia ricordiamo quest'altra sua esortazione pronunciata nel gennaio 1925 in una riunione di partito: "Talvolta questo ottimismo ufficiale fa venire la nausea. E frattanto è chiaro che la situazione non è e non può essere affatto buona. E' chiaro che ci sono dei difetti che bisogna mettere a nudo, senza temere la critica, e che devono poi essere eliminati. La questione sta dunque in questi termini: o noi, tutto il partito, daremo ai contadini e agli operai senza partito la possibilità di criticarci, o saremo criticati con l'insurrezione. L'insurrezione in Georgia è stata una critica. Anche l'insurrezione di Tambov è stata una critica. L'insurrezione di Kronstad: che cos'è questa se non critica? Una delle due: o noi rinunceremo all'ottimismo burocratico e all'atteggiamento burocratico in questa questione, non avremo timore della critica e daremo agli operai e ai contadini, senza partito, sulle cui spalle ricadono le conseguenze dei nostri errori, la possibilità di criticarci; o non lo faremo, e il malcontento si accumulerà, crescerà, e allora la critica verrà con l'insurrezione."(Stalin, Opere complete, vol. 7, p. 42) Le parole di Stalin suonano come musica per le nostre orecchie, una melodia che Mao riprenderà e svilupperà all'indomani della controrivoluzione ungherese nel '56 e maturerà solo grazie all'esperienza storica sin lì acquisita in Urss e in Cina, sono più o meno le stesse che pronuncia Mao quando comincia a pensare ed elaborare quella teoria della continuazione della rivoluzione sotto la dittatura del proletariato che è all'origine della Grande Rivoluzione Culturale Proletaria.
Per pretenderla dagli altri la pretendeva anzitutto da se stesso, sia quando l'autocritica riguardava un errore ideologico sia quando doveva correggere una sua decisione o un suo atto sbagliato, che fosse stato appena compiuto o che risalisse indietro nel tempo. Nella prefazione alla pubblicazione del primo volume delle sue opere nel 1946, non esita a denunciare i suoi errori su due questioni, relative al programma agrario e alle condizioni della vittoria della rivoluzione socialista, commessi allora perché si giudicava "un giovane marxista che non era ancora un marxista-leninista completamente formato"(Stalin, Opere complete, Vol. 1, p. 13).
Nell'opera "Questioni del leninismo", scritta nel gennaio 1926, poco meno di due anni dopo quel ciclo di lezioni tenute all'Università e titolate "Principi del leninismo", riconosce l'erroneità di alcune sue affermazioni riferite alla teoria della rivoluzione "permanente" e a quella della vittoria del socialismo in un solo paese, con esemplare onestà intellettuale e senza remore, anzi cercando di spiegarne le radici storiche e politiche che le avevano favorite.
Lo accusano che negli ultimi anni della sua vita fosse diventato intollerante a ogni tipo di critica e ossessionato dal sospetto. Niente di più falso. Nell'opera "Problemi economici del socialismo in Urss", scritta solo pochi mesi prima della sua morte, con una lucidità e freschezza giovanili trae un acuto bilancio critico e autocritico di alcuni aspetti dell'esperienza storica della costruzione del socialismo in Urss. Del resto persino all'indomani della storica vittoria sul fascismo, nel ringraziare il popolo russo perché aveva avuto "fiducia nella giusta politica del suo governo e accettò ogni sacrificio pur di assicurare la sconfitta della Germania", non aveva avuto esitazione ad ammettere :"Il nostro governo ha commesso non pochi errori, vi sono stati momenti, nel 1941-42, in cui la situazione era disperata, in cui il nostro esercito, ritirandosi, abbandonava villaggi e città a noi cari...: li abbandonava perché non v'era altra alternativa. (Problemi della pace, p.4-5) Ecco come Stalin intendeva e praticava permanentemente la critica e l'autocritica.
Rispetto ai tanti oppositori costretti dallo zarismo a espatriare, Stalin fu il solo capo bolscevico della prima ora a dirigere l'intero corso della rivoluzione russa dall'interno, salvo rari espatri illegali e viaggi e soggiorni all'estero per partecipare a riunioni e attività di partito, condividendo col suo popolo la sconfinata miseria e lo spietato terrore poliziesco zarista. Figlio devoto del popolo georgiano eppure internazionalista inflessibile, l'organizzazione di partito da lui diretta era un modello di internazionalismo proletario, dove pariteticamente si amalgamavano gli operai d'avanguardia georgiani, armeni, azerbaigiani, russi. Fu lui a fondare il partito bolscevico nell'intera Transcaucasia e a svolgere un'attività faticosissima di costruzione del partito spostandosi da un capo all'altro dell'immenso impero zarista e garantendo un prezioso lavoro organizzativo.
Come l'acciaio s'indurisce dopo essere stato tuffato incandescente nell'acqua fredda, così temprò il suo spirito rivoluzionario superando prove terribili: la persecuzione della famigerata polizia politica segreta Okhrana, la repressione giudiziaria e poliziesca, il carcere brutale e il confino in Siberia, in villaggi sperduti ben oltre il circolo polare artico, dove lui, uomo del sud, dovette difendersi da temperature inferiori ai quaranta gradi sotto zero, condannato alla fame, senza abiti né legna, e alle peggiori malattie come la tubercolosi e il tifo. E tuttavia riusciva sempre a mantenere la corrispondenza coll'organizzazione di partito, a partecipare attivamente alla lotta tra le due linee nel partito al fianco di Lenin, a scrivere importanti articoli, che indussero Lenin a definirlo in una lettera il "meraviglioso georgiano" (Lenin lettera del febbraio 1913 a Gorki, vol. 35, p. 53), non si arrese mai tanto da evadere per ben cinque volte.
Si laureò all'università della clandestinità, trasformando carcere e confino in accademie dove formare i deportati politici dal punto di vista rivoluzionario e ideologico. Rivoluzionario di professione non si rifugiò mai nella crisalide del cospiratore, preferiva vivere tra le masse, magari cambiando identità e lavoro finché era possibile, partecipare alle loro riunioni, lotte, manifestazioni, organizzarle e dirigerle considerandosi sempre uno di loro.
Ancor prima di conoscerlo di persona, Stalin fu il primo tra i dirigenti russi a comprendere la vera statura e il ruolo di Lenin quale capo e teorico della rivoluzione russa, fu il primo a salutare in Lenin il Marx del ventesimo secolo, strenuo difensore del marxismo, in contrapposizione ai revisionisti socialdemocratici, ed erede e sviluppatore della dottrina elaborata da Marx ed Engels nella nuova epoca dell'imperialismo e delle rivoluzioni proletarie. Ne condivise ogni scelta, lo affiancò e lo sostenne attivamente in ogni battaglia all'interno e all'esterno del partito, con la modestia e la riconoscenza che avevano animato Engels nei confronti di Marx.
Non ancora venticinquenne, come ben spiega il video appena visto, già parla di leninismo e definisce "una vera aquila di monte".(Stalin, Opere complete, vol. 1, p. 78) il Lenin del Che fare?, il quale a sua volta apprezzava la sua "eccellente impostazione della questione" relativa al rapporto tra partito e classe operaia. Tale sodalizio si sarebbe cementato nella capitale rivoluzionaria della Russia, Pietrogrado, dove giunsero all'indomani della rivoluzione borghese del febbraio '17, uno dalla deportazione in Turukhansk e, l'altro dall'interminabile esilio in Europa, e sarebbe stato alimentato dal lavoro politico svolto fianco a fianco e da un rapporto personale diretto, dalle frequentazioni quotidiane e da consultazioni e una collaborazione sulle questioni più urgenti e controverse del momento.
Quando nel maggio del '17 si costituisce l'Ufficio politico del Comitato centrale Stalin ne viene eletto membro e, dopo le giornate di luglio, aiuta Lenin a nascondersi clandestinamente in Finlandia perché ricercato e perseguitato dal governo Kerenski; ha la direzione immediata del Comitato centrale e dell'Organo di stampa centrale e tiene, in assenza di Lenin, il rapporto del CC al 6° Congresso del partito bolscevico in cui peraltro, appoggiando le celebri "Tesi di Aprile" che spingevano il partito a trasformare con decisione la rivoluzione borghese in rivoluzione socialista, batte in breccia le esitazioni e i tentennamenti di matrice trotzkista sull'impossibilità della vittoria del socialismo in un paese arretrato come la Russia: "Non è esclusa la possibilità - avverte - che proprio la Russia sia il paese che aprirà la strada al socialismo...E' necessario respingere l'idea superata che soltanto l'Europa può additarci il cammino. C'è un marxismo dogmatico e un marxismo creatore. Io sono sul terreno del marxismo creatore".(V. 3, p217). E infine respinge il disfattismo di Zinoviev e Kamenev che si opponevano a porre l'insurrezione all'ordine del giorno come aveva indicato Lenin: "Ciò che propongono Kamenev e Zinoviev - dice Stalin davanti al Comitato centrale - dà, oggettivamente, alla controrivoluzione la possibilità di prepararsi e organizzarsi... Noi ci ritireremmo senza fine e porteremmo la rivoluzione alla disfatta"(V.3, p.423).
Del capolavoro della Rivoluzione d'Ottobre Lenin fu l'architetto, quell'insuperabile maestro e scienziato delle leggi della rivoluzione che ne ideò e studiò la strategia, la tattica e le tappe del suo intero corso storico, fino al momento in cui era diventata non solo politicamente ma anche tatticamente matura e, allora, l'aveva preparata secondo un vittorioso piano insurrezionale dettagliato e completo; Stalin ne fu uno degli artefici e il dirigente operativo e organizzativo, teneva i collegamenti e impartiva le necessarie disposizioni alle guardie rosse dallo Smolny, fu il più stretto collaboratore di Lenin, l'uomo di fiducia a cui furono affidate mansioni e missioni delicate, diresse praticamente e direttamente l'insurrezione in qualità di membro del centro del partito incaricato di ispirare il Comitato militare rivoluzionario presso il Soviet di Pietrogrado, considerato una sorta di stato maggiore legale dell'insurrezione. Quella radicale svolta storica tra capitalismo e socialismo preconizzata da Marx ed Engels si è compiuta grazie a Lenin e a Stalin, a questi due giganti, alla testa di un partito numericamente piccolo ma politicamente e ideologicamente potente e vincente, che sono riusciti in un'impresa neppure tentata dai ben più forti, antichi e blasonati partiti socialdemocratici ridottisi gradualmente a puntelli dei regimi borghesi.
Alla Rivoluzione francese del 1789, modello insuperato di rivoluzione della borghesia e portatrice dei principi e del sistema di dominio del liberalismo, ora finalmente risultava contrapposta la Grande Rivoluzione socialista d'Ottobre del 1917, modello della rivoluzione del proletariato e portatrice dei principi e del sistema politico del socialismo.
Come Engels aveva difeso e chiarito il pensiero di Marx, completando persino la stesura e pubblicazione di un'opera come "Il Capitale", così Stalin ha compiuto un preziosissimo e impegnativo lavoro di analisi, riflessione e sistemazione critica del pensiero di Lenin, specie dopo la sua morte, quando si trattava, da una parte di salvaguardarlo dalle interpretazioni opportunistiche di matrice trotzkista e revisionista di destra e, dall'altra, di non disperdere quel ricco patrimonio di idee ed esperienze e di individuare, definire e raccogliere organicamente quel che di nuovo e originale aveva apportato al patrimonio del marxismo. A questo scopo, in particolare, rispondono le due opere scritte rispettivamente nel '24 e nel '26, che il PMLI ha incluso nelle cinque opere fondamentali marxiste-leniniste per trasformare il mondo e sé stessi, "Principi del leninismo" e "Questioni del leninismo", che rappresentano un'esposizione insuperabile, un'esaltazione appassionata e una profonda giustificazione teorica del leninismo non semplicemente dal punto di vista puramente russo ma per i marxisti-leninisti del mondo intero.

I DIECI GRANDI MERITI STORICI DI STALIN
Dopo la prematura morte di Lenin, toccò a Stalin edificare il nuovo Stato socialista, partendo da condizioni economiche e produttive disastrose lasciate in eredità dallo zarismo, dalla guerra imperialista e dalla controrivoluzione bianca e dalla guerra civile combinate all'aggressione militare sferrata da una coalizione di ben 14 Stati capitalisti. Si pensi che solo nel 1927 la patria dei Soviet raggiunse un livello economico pari all'anteguerra. Eppure Stalin riuscì in un'impresa che era dir poco disperata in un paese che l'imperialismo cercava di soffocare strangolandolo economicamente e commercialmente. Il volto dell'Urss mutò radicalmente: da paese arretrato, alla fame, privo di tutto e dipendente dal capitale straniero nei settori economicamente e tecnologicamente decisivi, si trasformò rapidamente in un paese socialista prospero e autosufficiente, con un'agricoltura arricchita e rinnovata dalla collettivizzazione delle campagne, un'industria moderna e rispondente al fabbisogno della popolazione e uno Stato a dittatura del proletariato che garantiva la massima estensione della democrazia per i lavoratori mentre schiacciava senza pietà gli sfruttatori, la borghesia e i nemici del popolo.
Il paese fu strappato alla barbarie zarista e feudale e catapultato nel socialismo. Non è poi così scandaloso e strano che siano stati commessi degli errori nella costruzione del socialismo, anzi è del tutto naturale quando si aprono strade inesplorate. Una cosa è costruire il socialismo in una congiuntura internazionale più o meno pacifica e un'altra è industrializzare un paese così immenso e arretrato che doveva prepararsi a tappe forzate alla seconda guerra mondiale, per di più senza copiare gli altri Stati capitalisti che si erano procurati le risorse necessarie grazie allo sfruttamento implacabile del popolo lavoratore, alle guerre di conquista, alla spoliazione sanguinosa delle colonie e dei paesi dipendenti e ai prestiti esteri. Negli errori inevitabilmente cade chiunque, davanti a un'esperienza storica inedita, è chiamato a risolvere i problemi senza avere l'esempio di modelli concreti a cui ispirarsi e senza l'aiuto del confronto con altre realtà. Del resto non avevano sbagliato gli stessi Marx ed Engels quando, all'inizio della loro avventura politica, immaginavano una società socialista che in tempi ravvicinati avrebbe portato all'estinzione delle classi e al comunismo? Alcuni errori sono attribuibili a Stalin, rientrano nel novero degli errori fisiologici e insiti nella dialettica delle vita e, non di rado, sono stati da lui stesso prontamente corretti o sono stati oggetto di sue successive autocritiche complete o parziali. Altri sono stati in gran parte dettati dai contraccolpi derivanti dal soffocante accerchiamento imperialista subito per tanti anni e sfociato nell'aggressione bellica nazifascista. Altri ancora furono commessi alle sue spalle, da settori e dirigenti di partito centrali o periferici e persino dai nemici di classe e sabotatori del socialismo. In tutti i suoi discorsi e interventi Stalin era particolarmente attento e sensibile a radiografare spietatamente gli errori commessi dal partito nella collettivizzazione e industrializzazione del Paese. Nel leggere, ad esempio, opere come "Vertigine dei successi" del marzo 1930, "Risposta ai compagni colcosiani" dell'aprile 1930, o "Della deviazione di destra nel Partito comunista (bolscevico) dell'URSS" dell'aprile 1929 si rivive il dibattito di quegli anni e noi stessi diventiamo gli allievi di lezioni storiche preziosissime ed educative sulle radici degli errori di destra compiuti dalla corrente buchariniana nelle campagne e sulle tappe storiche dei disaccordi che diventeranno antagonistici, sulle cure e le premure dedicate da Stalin a correggerli come contraddizioni in seno al popolo. "In ogni caso gli errori commessi da Stalin - avverte il compagno Scuderi - non sminuiscono la sua figura, il suo pensiero e la sua opera. Rimane pur sempre un gigante del pensiero e dell'azione rivoluzionari, un grande maestro dei marxisti-leninisti e del proletariato internazionale" (Scuderi, Teniamo alta la grande bandiera rossa di Stalin, Il Bolscevico n. 47/1994)
Rispetto ai meriti, gli errori di Stalin furono assolutamente secondari e comunque sono valutati dai marxisti-leninisti come delle lezioni storiche perché non si ripetano in futuro. Facendo un bilancio del pensiero e dell'opera di Stalin emergono, tra gli altri, dieci grandi e incancellabili suoi meriti storici. Eccoli in estrema sintesi.

  1. E' stato il grande maestro del proletariato internazionale che ha ereditato, difeso e sviluppato il marxismo-leninismo arricchendolo in moltissimi campi dal punto di vista teorico e dell'esperienza storica, è stato il primo a riconoscere il ruolo di Lenin e a riconoscere nel leninismo il marxismo dell'epoca dell'imperialismo e delle rivoluzioni proletarie.
  2. E' riuscito nell'impresa senza precedenti di edificare il primo Stato socialista al mondo pur in presenza di una situazione nazionale e internazionale difficilissima.
  3. Ha diretto vittoriosamente l'Internazionale Comunista e la rivoluzione mondiale e ha dato vita al campo socialista.
  4. E' stato il condottiero del fronte unito internazionale che ha portato all'annientamento del mostro nazifascista durante la seconda guerra mondiale.
  5. E' stato il massimo dirigente organizzativo della Grande Rivoluzione Socialista d'Ottobre.
  6. Ha capeggiato vittoriosamente la lotta contro il revisionismo di destra e di "sinistra" nel partito bolscevico e sulla scena internazionale.
  7. Ha per primo risolto dal punto di vista dei principi la "questione nazionale" nel socialismo, traducendola poi in modo conseguente nella vita dell'Urss.
  8. Ha fondato il partito bolscevico e le prime organizzazioni sindacali in Transcaucasia.
  9. E' stato, prima, il più stretto compagno d'armi di Lenin nella costruzione del partito bolscevico e ne è stato, poi per un trentennio, il dirigente, il capo, il maestro.
  10. E' stato un rivoluzionario di professione inflessibile che ha agito nella Russia zarista per l'intera durata della rivoluzione russa senza lasciarsi piegare né dal carcere né dalla repressione né dalle deportazioni.
COSTRUIRE UN GRANDE, FORTE E RADICATO PMLI
Tra i nove capitoli in cui sono suddivisi i "Principi del leninismo" uno è dedicato alla questione del partito del proletariato e vi si legge: "Pensare che questi nuovi compiti possano essere risolti con le forze dei vecchi partiti socialdemocratici, educati nelle pacifiche condizioni del parlamentarismo, significa condannarsi irrimediabilmente alla disperazione, a una sconfitta sicura. Restare, quando si hanno tali compiti sulle spalle, sotto la direzione dei vecchi partiti, vuol dire ridursi a uno stato di disarmo completo. Non occorre dimostrare che il proletariato non poteva rassegnarsi a tale situazione.
Di qui la necessità di un nuovo partito, di un partito combattivo, di un partito rivoluzionario, abbastanza audace per condurre i proletari alla lotta per il potere, abbastanza ricco di esperienza per sapersi orientare nelle intricate condizioni di una situazione rivoluzionaria, e abbastanza agile per evitare ogni sorta di scogli subacquei sulla via che conduce alla mèta.
Senza un tale partito, non si può nemmeno pensare ad abbattere l'imperialismo, a conquistare la dittatura del proletariato
" (Stalin, Principi del leninismo, Piccola biblioteca marxista-leninista n. 3, p. 80). Ebbene un partito di questo tipo in Italia esiste già, è il PMLI, venuto alla luce nel '77 dopo una gestazione durata dieci anni, un partito che risponde appieno alle caratteristiche oggettive indicate da Stalin, ma non a quelle soggettive fintantoché gli elementi di avanguardia del proletariato italiano e presenti tra i rivoluzionari conseguenti e nei movimenti di massa politici, sindacali, sociali e culturali antigovernativi e antimperialisti non ne faranno parte e non ci aiuteranno a renderlo grande, forte e radicato.
Rispetto al panorama dei partiti presenti in Italia negli anni Settanta e Ottanta, oggi tutto è cambiato: sono scomparsi tutti i partiti protagonisti del secondo dopoguerra e i raggruppamenti, formazioni e coalizioni politici cambiano con impressionante rapidità e facilità, si scompongono e ricompongono secondo correnti trasversali, logiche interclassiste e opportunità o necessità congiunturali. Il morbo del presidenzialismo neofascista, che si manifesta nella personalizzazione della politica, avvelena la vita parlamentare al punto che contano più gli individui e le lobby economiche, politiche e affaristiche che i partiti. Senza distinzione alcuna tra la destra e la "sinistra" parlamentare, sono i partiti del regime neofascista ad essere immagine e somiglianza dei loro leader invece di esprimerli e condizionarli, con ciò venendo meno alla funzione per cui nacquero nei sistemi democratici liberali che era quella di rappresentare nella dialettica istituzionale e parlamentare le classi e le frazioni di esse operanti nella società civile. E non è facile districarsi in questa Babele.
Dopo la liquidazione del PCI revisionista, con cui finiva un inganno storico durato 70 anni, il movimento operaio ha perso gradualmente la sicurezza dell'appartenenza a quel partito storico che almeno a parole diceva di rappresentarlo e avverte un senso di smarrimento e precarietà. E dunque risulta nei nostri confronti, assai più recettivo del passato, quando era accecato da illusioni e dall'orgoglio di appartenere a quel partito che almeno a parole diceva di battersi per il socialismo. Davanti a sé ha visto in pochi anni, da una parte, scomparire il PDS e ora anche i DS sembrano avere le ore contate, lacerati come sono tra le correnti che li sospingono a strappare a destra il consenso del centro democristiano o a recuperare a sinistra il consenso dei lavoratori e delle masse deluse dalla loro fallimentare esperienza governativa; e, dall'altra, ha visto la scissione del pur provvisorio PRC in due tronconi: favorevoli, uno, quello dei Comunisti italiani, al tentativo di Cofferati di trovare una sintesi tra l'Ulivo e i movimenti noglobal, antiberlusconiani, dei "girotondini" e dei "ceti medi riflessivi" e, il secondo, a una nuova e non ben precisata formazione politica di "sinistra alternativa" che trascenda, secondo la formulazione trotzkista di Bertinotti, la forma stessa di partito. Tutti questi tentativi di rivitalizzare la "sinistra" parlamentare non sono credibili e sono destinati al sicuro fallimento perché si esauriscono nella ricerca di espedienti per dare forme nuove a contenuti vecchi.
Rifondare è diventato l'imperativo categorico di imbroglioni come Bertinotti, impegnato da oltre un decennio a dare nuove fondamenta trotzkiste e neorevisioniste a quel comunismo di cui egli stesso ha cercato di far tabula rasa, e come l'ex ministro del governo Prodi, Cesare Salvi (sostenuto da esponenti del correntone DS, della Cgil e della Fiom, come Rinaldini e Sabattini, dei Comunisti italiani e del PRC), che recentemente ha fondato il movimento trasversale "Lavoro e libertà", patetica scimmiottatura del raggruppamento politico fondato dai circoli del grande capitale e dell'alta finanza capeggiate da De Benedetti "Libertà e giustizia". Tale movimento si propone di "rifondare la sinistra" semplicemente "partendo dalla centralità del lavoro", niente di più, non avendo il coraggio di parlare neppure di classe operaia per non apparire vetero-classista. Tutti questi generali senza truppe hanno tattiche diverse all'interno di un medesimo disegno strategico: nessuno di loro mette in discussione il capitalismo e pone la questione del socialismo. La quale rimane la questione delle questioni, la questione essenziale del partito del proletariato, la sua base e punto di partenza, la sua stessa ragione di esistere.
Chi oggi guarda alla frammentazione organizzativa del movimento operaio e delle masse popolari tra tanti partiti e organizzazioni e la rapporta all'esiguità numerica del PMLI non deve rimanerne impressionato o paralizzato e piombare nel pessimismo e nello scetticismo circa la concreta possibilità che un giorno riusciremo a riunificarlo sotto la direzione del Partito marxista-leninista. E' stato così anche in Russia prima del '17, eppure il partito di Lenin e Stalin ha saputo prevalere su tutti gli altri partiti controrivoluzionari, borghesi e piccolo-borghesi che ingannavano il popolo e ha diretto e vinto la Grande Rivoluzione Socialista d'Ottobre contando nelle sue file appena 240 mila iscritti.
Spetta a noi aiutare i militanti insoddisfatti e delusi dall'esperienza fallimentare dei partiti nati dalla liquidazione del PCI a riscoprire la necessità di dare la propria vita per il Partito marxista-leninista. Spetta a noi convincere coloro che, scottati dall'amara esperienza del tradimento dei partiti revisionisti e influenzati dal trotzkista Bertinotti, hanno perso fiducia nella stessa forma partito e si illudono di poter farne a meno surrogandoli con l'azione dei movimenti spontanei. Una risposta sbagliata che ripropone lo spontaneismo opportunista di Bernstein secondo cui "il movimento è tutto e il fine è nulla" e ci ricaccerebbe indietro di due secoli. Noi chiamiamo i primi e i secondi a costruire insieme a noi un grande, forte e radicato PMLI. La nostra, spiega il compagno Giovanni Scuderi, è: "Un'opera collettiva in cui un po' tutti siamo a un tempo architetti e muratori. Sia pure nella diversità dei ruoli e dei compiti. Mai in Italia si era visto venir su un Partito con un così chiaro carattere di classe nell'ideologia, nella politica, nella struttura organizzativa, nel programma, nella militanza, nello stile di lavoro e nella pratica sociale. Un Partito che non assomiglia in nulla al falso partito comunista, in realtà revisionista e riformista qual è stato il PCI e quali sono le sue brutte copie costituite dal PRC e dal PdCI. Un Partito che vuol fare la rivoluzione proletaria e instaurare il socialismo, e lo farà. Un Partito che vuol guidare il proletariato alla conquista del potere politico, e lo guiderà."(Scuderi, Editoriale per il 25° Anniversario del PMLI, Il Bolscevico n°15/2002, p.2)
"Deve apparire con chiarezza agli occhi delle masse - aggiunge Scuderi - che il PMLI è il vero e unico oppositore di classe al governo Berlusconi. In tal modo attireremo nuove forze e nuovi consensi al nostro Partito e influenzeremo maggiormente i movimenti antiberlusconiani. Noi ci dobbiamo unire con tutte le organizzazioni e i movimenti politici, sindacali, sociali, culturali e religiosi che combattono il neoduce e vogliono abbatterlo. Al contempo però dobbiamo lottare affinché questa battaglia si svolga sulla base della nostra strategia per il socialismo. Ora che le masse si sono svegliate e scendono in piazza, per noi sarà più facile farsi ascoltare e far capire che l'avvenire della classe operaia e delle masse sta nel socialismo.
E' inevitabile che la grande bandiera dell'Italia unita, rossa e socialista diventi progressivamente la bandiera di tutti gli sfruttati e gli oppressi del nostro Paese. Il rosso ritornerà di moda, di gran moda, e i nostri maestri conquisteranno i cuori del proletariato e delle nuove generazioni".(Scuderi, Il Bolscevico n°35/2002 p.5)

LOTTARE CONTRO LA GUERRA IMPERIALISTA ALL'IRAQ
Oggi che la guerra all'Iraq è già in atto e mancano solo pochi giorni all'inizio dell'invasione terrestre e dell'aggressione militare imperialista capeggiata dagli Usa e sostenuta attivamente non solo dal laburista inglese Blair ma anche dal neoduce Berlusconi e dal neocaudillo Aznar, suonano profetiche queste parole di Stalin sulla questione della guerra e della pace, pronunciate un anno prima di morire: "Negli Stati Uniti, in Inghilterra, così come in Francia, vi sono forze aggressive che sono assetate di una nuova guerra. Esse hanno bisogno della guerra per realizzare sovrapprofitti, per depredare gli altri paesi. Si tratta dei miliardari e dei milionari che considerano la guerra come una fonte di entrate che apporta enormi benefici.
Queste forze hanno nelle loro mani i governi reazionari e sono esse a dirigerli. Ma al tempo stesso temono i loro popoli, i quali non vogliono una nuova guerra e desiderano il mantenimento della pace. Perciò esse cercano di utilizzare i governi reazionari per avvolgere in una rete di menzogne i loro popoli, per ingannarli, presentando la nuova guerra come una guerra di difesa e la politica di pace dei paesi amanti della pace come aggressiva. ... La pace sarà salvaguardata e consolidata se i popoli prenderanno nelle proprie mani la causa della salvaguardia della pace e la difenderanno fino in fondo. La guerra può diventare inevitabile se i provocatori di guerra riusciranno ad avviluppare le masse popolari in una rete di menzogne, a ingannarle e a coinvolgerle in una nuova guerra mondiale. Perciò una vasta campagna per la salvaguardia della pace, come mezzo per smascherare le criminose macchinazioni dei provocatori di guerra, ha attualmente una importanza di primo piano. (...)
L'Organizzazione delle Nazioni Unite, creata come baluardo e salvaguardia della pace, viene trasformata in uno strumento di guerra, in un mezzo per scatenare una nuova guerra mondiale. ... In tal modo trasformandosi in uno strumento della guerra di aggressione, l'ONU cessa in pari tempo di essere una organizzazione mondiale di nazioni aventi pari diritti. ... L'Organizzazione delle Nazioni Unite si avvia in tal modo sull'inglorioso cammino della Società della Nazioni. Con ciò essa seppelisce la sua autorità morale e si condanna alla disgregazione.
" (Stalin, Intervista alla "Pravda" del 16.2.'51, sta su Il Bolscevico n° 8/2003 p. 8)
Che sia o meno benedetta dall'Onu, la guerra all'Iraq è una guerra imperialista di rapina e saccheggio delle strategiche risorse petrolifere presenti in quella regione e nel contempo è una guerra imperialista egemonica che intende sancire il predominio della superpotenza Usa sul mondo intero. Sta qui l'origine del grave dissidio tra gli Usa e una parte di paesi europei capeggiata dal tandem franco-tedesco. Questi ultimi forse non vogliono ingerirsi negli affari interni dell'Iraq? No, semplicemente preferirebbero Saddam esule volontario al Saddam eliminato dalle truppe di invasione. Forse negano l'aggressione armata ai danni dell'Iraq? No, semplicemente preferirebbero che l'aggressione fosse compiuta dagli stessi soldati ma col casco blu dell'Onu. Forse non sono interessati ad arraffare il petrolio iracheno? No, semplicemente preferirebbero non perdere i lucrosi contratti che hanno sottoscritto con Saddam e non soccombere anche in questa faccenda alla incontenibile superpotenza americana. In gioco non è semplicemente la testa di Saddam ma il cuore stesso del pianeta. Ecco perché ci dobbiamo preparare a un futuro in cui il mondo sprofondi sempre più nel pantano infernale delle guerre imperialiste.
Nel nome dell'internazionalismo proletario e dell'antimperialismo il nostro popolo deve continuare a battersi contro la guerra all'Iraq, com'ha fatto il 15 febbraio scorso nella grandiosa manifestazione di Roma con oltre 3 milioni di partecipanti e come stanno esemplarmente facendo i giovani che bloccano i treni Usa carichi di morte e i portuali aderenti alla Cgil che scioperano contro la guerra rifiutando di imbarcare alcunché sia destinato ad alimentare la macchina bellica imperialista.
L'Italia della pace si batta fino in fondo perché sia sabotata la macchina bellica imperialista e perché il nostro Paese non partecipi in nessuna forma alla guerra imperialista all'Iraq. Si prepari a scendere nelle piazze in uno sciopero generale politico appena scatterà l'aggressione e l'invasione militare dell'Iraq. Noi marxisti-leninisti, come ha indicato qualche giorno fa l'Ufficio politico del PMLI, ci battiamo per questi obiettivi:
  • No all'aggressione imperialista all'Iraq!
  • Né una base, né un sorvolo, né una qualsiasi infrastruttura italiana sia messa a disposizione degli Usa!
  • No ai caschi blu in Iraq!
  • No al governo dell'Onu in Iraq!
  • Chiudere la base di Camp Darby!
  • Viva il sabotaggio della macchina da guerra dell'imperialismo!
  • Buttiamo giù il governo del neoduce Berlusconi!
Compagne e compagni, amiche e amici,
Prendiamo esempio da Stalin e applichiamo i suoi insegnamenti per costruire un grande, forte e radicato PMLI e per lottare contro la guerra imperialista all'Iraq.
Buttiamo giù il governo del neoduce Berlusconi.
Lottiamo per l'Italia unita, rossa e socialista.
Con Stalin per sempre!
Coi maestri e col PMLI vinceremo!

2 marzo 2003