Lo Stato federale ormai è quasi fatto. Manca solo il Senato ad hoc
Il decreto sul federalismo regionale passa grazie al PD
La Lega canta vittoria

Lo scorso 24 marzo, il governo del neoduce Berlusconi ha portato a casa il decreto sul federalismo regionale, che mette in gioco oltre 130 miliardi di euro, direttamente in Bicamerale.
Solo grazie all'opportunistica astensione del PD, il governo ha potuto evitare, da un lato, i medesimi strappi eversivi che hanno caratterizzato l'approvazione del federalismo municipale, dall'altro un ulteriore passaggio alle Camere con il rischio di non riuscire a rispettare i tempi stabiliti dalla legge 42/2009 che delega il governo stesso ad approvare entro il 20 maggio i decreti attuativi del federalismo fiscale.
Hanno votato a favore del decreto sul federalismo regionale PDL, Lega Nord e SVP, contrari IDV e Terzo polo (più per tatticismi politici e riposizionamenti elettoralistici che per ragioni di sostanza). Ago che ha fatto pendere fin da subito la bilancia dalla parte del governo, l'astensione del PD di Bersani, da settimane impegnato a corteggiare le camicie nero-verdi fascio-leghiste: "Noi siamo gente seria - imboniva giustificandosi Bersani a fine giornata - abbiamo presentato una mezza dozzina di emendamenti radicali che hanno corretto quel decreto".
In mattinata, peraltro, il federalismo regionale aveva già ricevuto il via libera bipartisan dei presidenti di Regione, che incassavano gli agognati 425 milioni di euro per il trasporto pubblico locale e la fiscalizzazione di altri 1,6 miliardi per il 2012. "Il risultato della nostra coerenza istituzionale", commentava raggiante Vasco Errani, PD, governatore dell'Emilia Romagna. "Un risultato storico", gli faceva eco un altrettanto entusiasta Roberto Cota, Lega Nord, governatore del Piemonte.
Nel corso della giornata, si aggiungeva al testo del decreto la cosiddetta "clausola di salvaguardia" voluta dal PD e fortemente reclamizzata in seguito dal mostriciattolo neoliberale. "Grazie a noi imposte invariate" avrebbe millantato Federico Boccia, PD, relatore di minoranza, dopo il voto. In realtà, lo "scudo" voluto dai rinnegati non va al di là del 2013, allorché la "riforma" entrerà a regime. Infatti, il decreto sul federalismo regionale prevede che le Regioni avranno in dote un'addizionale Irpef formata da una parte fissa e una parte variabile: la prima sarà fissata all'inizio allo 0,9% ma è probabile che dal 2013 salga di un altro punto visto che dovrà compensare l'addio alla compartecipazione regionale all'accisa sulla benzina che, informa la relazione del governo, vale 1,7 miliardi; per quanto riguarda poi la parte variabile dell'addizionale Irpef, nel 2013 sarà dello 0,5% su tutte le fasce di reddito per salire all'1,1% nel 2014 e al 2,1% nel 2015 (per tutte le fasce di reddito al di sopra dei 15 mila euro). In conclusione, dal 2013 un aumento progressivo delle tasse si abbatterà sulle masse.
Oltre a tutto ciò, i governatori avranno anche una compartecipazione all'Iva territoriale (all'inizio del 44,7% ma rivista a partire del 2013) e i 30 miliardi dell'intera Irap. Quest'ultima tassa, che grava sui padroni, veri beneficiari del federalismo fiscale, potrà anche essere ridotta fino a zero da chi alzerà l'addizionale Irpef non oltre l'1,4%. Infine, sempre dal 2013, i trasferimenti statali saranno sostituiti da sei tributi minori che da erariali diverranno regionali, e, si spaccia, dagli introiti della lotta all'evasione e, infine, dalle quote di un fondo perequativo ancora oggi fumoso. Nessuna concessione al Sud sul reclamato "indice di deprivazione" per il riparto delle risorse.
Come i precedenti decreti, è evidente che anche il federalismo regionale allarga il divario tra ricchi e poveri e tra Nord e Sud. La Lega festeggia e ringrazia. Lo stesso leader delle camicie razziste, xenofobe e separatiste, Umberto Bossi, intervenendo il 26 marzo, quindi due giorni dopo l'approvazione del federalismo regionale, nel Varesotto a un convegno su Carlo Cattaneo, cominciava a distribuire complimenti e riconoscimenti. "Un grazie alla sinistra che in bicamerale si è astenuta sul fisco regionale. Se il PD non si fosse astenuto, il federalismo non passava", ammetteva il capobastone fascio-leghista. Che rivelava: "Ho detto io a Bersani di astenersi. Era appena sceso dall'aereo, l'ho chiamato e lui ha promesso che non avrebbe bloccato i suoi in commissione. Bersani è uno di parola". In Errani, poi, artefice dell'accordo bipartisan tra governo e regioni, il ras fascio leghista impegnato a portare l'Italia indietro di 150 anni, riconosce persino "un amico, uno che ci ha dato una mano". In conclusione, "con la sinistra c'è un dialogo lungo, che va avanti da tempo". Il prossimo passo, aggiungeva Bossi fissando anche per i rinnegati l'agenda parlamentare, è "il Senato delle autonomie", che sincronizza le istituzioni borghesi del regime neofascista al federalismo fiscale separatista. Una volta approvati tutti i decreti sul federalismo fiscale, concludeva Bossi riferendosi agli scenari politici che potrebbero aprirsi in futuro sull'asse PD-Lega, "a quel punto bisognerà mettere a punto qualcosa di nuovo". Il presente delle camicie nero-verdi è però ancora legato al neoduce: "Berlusconi dice che i numeri ci sono. Io penso ci siano".
Sia quel che sia, certo le masse non possono stare a guardare. Destra e "sinistra" borghese si dimostrano speculari, entrambe intente a rafforzare il regime neofascista sotto la sollecita supervisione del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Al nuovo Vittorio Emanuele III, infatti, Roberto Calderoli, l'autore del federalismo separatista e fascio-leghista, il 31 marzo, giorno dell'approvazione definitiva del federalismo regionale da parte del Consiglio dei ministri, inviava il proprio "ringraziamento personale" avendo costantemente sottolineato "la necessità di questa riforma".
Tutto ciò dimostra con chiarezza alle masse che solo lottando insieme al PMLI per l'Italia unita, rossa e socialista possono affossare il federalismo secessionista e il regime neofascista che le sfrutta e le opprime.

6 aprile 2011