Dopo la disfatta alle elezioni sarde
Il Pd alla deriva. Veltroni si dimette
Il suo vice, l'ex DC Franceschini, eletto "reggente" in attesa della resa dei conti congressuale ad ottobre
Veltroni si è dimesso, abbandonando la nave del PD disalberata e alla deriva verso gli scogli delle prossime elezioni europee e amministrative. Al suo posto è stato eletto segretario "reggente" il suo vice, l'ex DC Franceschini, con il compito disperato di evitare l'incombente naufragio e arrivare ancora interi al congresso di ottobre, dove si deciderà quale futuro avrà questo partito e chi sarà a guidarlo. O se addirittura non sparirà frantumandosi in più tronconi, come già qualcuno prevede, tra cui un partito socialdemocratico egemonizzato da D'Alema e Bersani, che punterà ad includere anche Vendola ed altri rottami dell'ex Sinistra arcobaleno, e gli ex Dl-Margherita di Rutelli e parte degli ex DC in viaggio verso il matrimonio con l'UdC di Casini.
Questo lo scenario che si è materializzato di colpo nel Partito democratico dopo la disfatta alle elezioni sarde, l'ultima di una lunga serie iniziata con le politiche dell'aprile 2008 e la perdita del comune di Roma e proseguita con i disastri delle regionali siciliane e delle provinciali e il tracollo dell'Abruzzo. Con il PD sceso in questo arco di tempo nei sondaggi dal 35 al 25% e sotto l'incubo di una nuova e più devastante sconfitta alle europee ed amministrative di giugno.
Veltroni ha annunciato le sue dimissioni irrevocabili al coordinamento del PD il 17 febbraio, appena conosciuti i risultati definitivi delle elezioni in Sardegna, e anche con questa scelta dei tempi ha fatto un ultimo favore al neoduce Berlusconi, aiutandolo di fatto a mettere la sordina mediatica alla notizia della condanna dell'avvocato Mills, nel processo che lo vedrebbe coinvolto come suo corruttore se non si fosse tirato fuori grazie al "lodo" Alfano. Da sottolineare comunque che proprio mentre annunciava le sue dimissioni il leader del PD aveva fatto in tempo a consumare l'ultimo inciucio col cavaliere piduista sulla spartizione del nuovo Cda della Rai che dovrà sancire l'alleanza Rai-Mediaset, ottenendo di piazzare un suo uomo, Giorgio Van Straten, come consigliere in quota PD.

Le "scuse" autoassolutorie di Veltroni
Il giorno successivo Veltroni ha confermato la sua decisione in una conferenza stampa al Tempio di Adriano, nella stessa sala dove festeggiò le primarie che nell'ottobre 2007 lo incoronarono segretario a larghissima maggioranza: "Io non farò agli altri quello che gli altri hanno fatto a me", ha detto con evidente intento polemico verso i suoi avversari interni, come D'Alema che non era nemmeno presente, accusati larvatamente di averlo ostacolato in tutti i modi. E così ha cercato di metterla, come se cioè la colpa delle ripetute e pesanti sconfitte subite dal partito sotto la sua direzione fossero dovute solo alle beghe interne tra correnti e alle rivalità e gelosie dei vari leader che non gli hanno permesso di portare avanti il progetto del PD.
Pur prendendosi infatti "tutta la responsabilità" delle sconfitte e chiedendo "scusa" per non avercela fatta "a fare "il partito che sognavo", egli si è ben guardato dallo spiegare quali sono stati i motivi di queste sconfitte, limitandosi ad accennare come unica causa al "tentativo di tenere tutti uniti": come a dire che se avesse potuto fare anche lui come Berlusconi, che decide tutto da solo, le cose sarebbero andate ben diversamente perché il progetto e la linea che lui ha impresso al PD sono giusti.
Tant'è vero che non solo ha rivendicato in pieno e con orgoglio questo progetto ("indietro non si torna", ha detto e sottolineato, e la "vocazione maggioritaria del PD è il progetto a cui tengo di più"), ma ha cercato ostinatamente di assolvere i suoi tratti più emblematicamente capitolazionisti e fallimentari, come il "buonismo" nei confronti degli atti mussoliniani del neoduce e i suoi continui cedimenti alle pressioni clericali anche all'interno del suo partito: "Anche a Berlinguer dicevano che doveva essere più duro", e d'altra parte "chi sta al potere preferisce gli urlatori" si è giustificato, arrivando perfino ad esaltare come "una fortuna" il comportamento dei tre deputati PD che hanno votato il documento della maggioranza sul testamento biologico, perché "il PD non è una caserma" e bisogna "abituarsi al fatto che in un grande partito vi siano delle diversità".
È significativo che diversi esponenti della maggioranza, alla quale il "buonismo" veltroniano era evidentemente assai gradito, gli abbiano subito telefonato per esprimergli la loro "stima". Non Berlusconi direttamente, che però ha affidato il compito al suo vice Gianni Letta, ma lo hanno fatto Fini e Frattini, mentre Bossi si è detto preoccupatissimo per le sue dimissioni, perché "ora non sappiamo più chi nel PD è legittimato a trattare". "Non siamo tra quelli che festeggiano per le dimissioni di Veltroni", ha aggiunto il presidente dei senatori leghisti Federico Bricolo. Temono evidentemente che si interrompa il "feeling" che si era instaurato da qualche tempo col PD e che aveva già portato ad una prima approvazione "bipartisan" del federalismo fiscale in parlamento. Se non temono addirittura la sparizione fisica del loro utile interlocutore.
Le dimissioni di Veltroni, con l'implicita ammissione di fallimento della linea e dell'intero gruppo dirigente che hanno messo a nudo, hanno fatto esplodere la rabbia e il malcontento della base troppo a lungo trattenuta col miraggio delle promesse messianiche di stampo obamiano sparse a profusione dal leader del PD. I siti Internet, i blog, i fax del partito e de "l'Unità", sono stati subissati di lettere di militanti ed elettori tutte più o meno con lo stesso messaggio: "Adesso andatevene tutti". È in questo clima, definito non impropriamente da qualcuno "da 8 settembre", che il 21 febbraio si è tenuta la riunione dell'Assemblea nazionale del PD convocata d'urgenza per eleggere il nuovo segretario. Dei 3.000 e passa delegati se ne sono presentati poco più della metà. Veltroni non si è nemmeno preso il disturbo di andarci per spiegare i motivi del suo abbandono della direzione del partito in un momento così drammatico, forse per non "sporcare la sua immagine", paventando un processo pubblico alla sua leadership fallimentare. Qualcuno glielo ha anche rinfacciato, in particolare la corrente prodiana facente capo a Parisi, che non ha mai digerito il siluramento del governo Prodi e dell'Ulivo operato da Veltroni in nome della "vocazione maggioritaria" del PD e del sistema bipartitico. Parisi ha cercato infatti di cavalcare la protesta della base per chiedere le elezioni primarie e il congresso subito, prima delle elezioni europee di giugno (con la significativa defezione però di Rosy Bindi), ma il colpo non gli è riuscito. La proposta ha avuto solo 200 voti su circa 1.800.

Un ex DC va alla guida dell'ex PCI
L'ex ministro della guerra del governo Prodi si è presentato anche come unico candidato alla segreteria in alternativa a Franceschini, ma ha raggranellato solo 92 voti, essendo la candidatura del vice di Veltroni blindatissima in partenza. Il fatto è che prima dell'Assemblea era già stato raggiunto un accordo tra i leader delle principali correnti, e in particolare tra ex DS, Rutelliani ed ex DC, con l'aggiunta dei segretari regionali, per eleggere Franceschini come "reggente" pro-tempore del partito per i prossimi mesi, in modo da cercare di superare con meno danni possibile le europee e rimandare le primarie e il congresso ad ottobre. Non si è voluto aprire ora la resa dei conti interna, in un momento così drammatico e con le elezioni alle porte, paventando il pericolo assai concreto di una spaccatura e della liquidazione definitiva del PD. L'Assemblea non ha fatto altro che ratificare questo accordo, eleggendo Franceschini con una larghissima maggioranza. Un ex DC finisce dunque alla guida di ciò che resta dell'ex PCI: è questo l'ultimo e più paradossale "capolavoro" del liberale Veltroni, dopo i ripetuti fallimenti collezionati dalla sua direzione del PD.
Il neo eletto ha cercato subito di scrollarsi di dosso l'immagine del segretario "dimezzato", annunciando con piglio decisionista e tra gli applausi di tutti l'azzeramento di tutti i vertici del partito, dal coordinamento al governo ombra, e riservandosi di scegliere personalmente i nuovi dirigenti senza trattare con i capicorrente. Pur confermando di muoversi nel solco della linea di Veltroni ("I suoi errori sono anche i miei errori", e "questo partito ha ancora una vocazione maggioritaria, indietro non torneremo", ha detto), non ha potuto tuttavia continuare a ignorare le pressanti richieste di svolta che salgono dal basso per un'opposizione più netta al governo e a Berlusconi. Così, contraddicendo quanto predicato fino ad ora da Veltroni, ha annunciato "un'opposizione propositiva ma dura" e ha attaccato direttamente il premier, che "ha in mente una forma moderna di autoritarismo" e "disprezza la nostra democrazia e offende la Costituzione". Si è spinto perfino ad annunciare il gesto simbolico di andare il giorno dopo a Ferrara a giurare sulla Costituzione davanti alla lapide che ricorda un eccidio fascista del 1943, ricevendo con ciò l'applauso più lungo della platea, evidentemente rinfrancata da toni che non sentiva più da tempo.
Qualche altra dichiarazione un po' più impegnativa rispetto al passato Franceschini l'ha fatta anche sul testamento biologico e sulla intangibilità della "laicità" dello Stato. Vedremo se il neosegretario del PD saprà essere coerente nei prossimi giorni, settimane e mesi con il nuovo atteggiamento mostrato nei confronti del nuovo Mussolini e della sua politica neofascista. Per il momento registriamo solo il tentativo disperato di raddrizzare, almeno a parole, un po' a sinistra la barra della nave del PD alla deriva, per tamponare la grave crisi di sfiducia tra i suoi militanti ed elettori ed evitare il "si salvi chi può" che porterebbe alla definitiva evaporazione del partito della "sinistra" borghese.

25 febbraio 2009