La "pensione di garanzia" proposta dalla Cgil non è soddisfacente

C'è un dato incontestabile. Le "riforme" previdenziali, da quella Dini del 1995 in poi, se da un lato hanno tagliato la spesa pensionistica tanto da determinare nel bilancio dell'INPS un attivo di 8 miliardi di euro nel 2010, nonostante la crisi economica e finanziaria ancora presente nel Paese, nonostante il permanere di una vasta evasione contributiva da parte delle aziende non in regola, dall'altro ha impoverito gli assegni pensionistici in modo drastico e intollerabile. Come è emerso in modo lampante dal Rapporto annuale dell'INPS per il 2010 nel quale si è appreso che ben 8 milioni di pensionati, pari al 50,8% del totale non arriva a 550 euro al mese, si è appreso che i lavoratori precari andati in pensione ricevono una miseria mensile non sufficiente nemmeno per la sopravvivenza. Il vertice della CGIL che, insieme a CISL e UIL, a Confindustria e ai vari governi che si sono succeduti, ha contribuito non poco a determinare questo disastro, pare essersi "accorta" che le cose non sono andate come venivano raccontate e come anch'essa raccontava, e pare volerci mettere una pezza. Questa pezza si chiama "Pensione contributiva di garanzia" che dovrebbe garantire a tutti i lavoratori una pensione pari al 60% del salario medio.
"Troppi lavoratori (soprattutto giovani) - si legge nella nota della CGIL - sono oggi a rischio pensione. Si tratta dei precari, ma anche di tanti altri lavoratori con carriere intermittenti o deboli che non riescono a costruirsi una pensione adeguata". Ciò a causa di frequenti interruzioni della loro attività e in assenza di ammortizzatori sociali e di contribuzione figurativa, o in presenza di basse retribuzioni. Per queste ragioni "la platea dei potenziali pensionati poveri - sostiene la CGIL - non riguarda quindi solo gli attuali 'cococo', ma si sta estendendo a macchia d'olio e rischia di determinare a lungo andare un problema di sostenibilità sociale del sistema previdenziale".
Per evitare schiere di pensionati poveri nei prossimi anni e uno squilibro generale che avrebbe effetti a catena la CGIL, alla buon'ora, ha deciso che "è arrivato il momento di intervenire sul sistema previdenziale". Come? Al momento c'è solo una proposta appena abbozzata che sarà sottoposta al giudizio della categorie e poi resa pubblica in un convegno entro questo mese. Si tratta di una "Pensione contributiva di garanzia" (PCG) che avrebbe un importo proporzionale agli anni di contributi versati, effettivi e figurativi, e sarebbe comunque in funzione dell'età del ritiro, tramite l'applicazione di un fattore di correzione legato ai coefficienti di trasformazione. In parole semplici, al momento del ritiro qualora la pensione fosse inferiore, si avrebbe diritto a un'integrazione fino al livello della "Pensione contributiva di garanzia". Ciò significa che compiuti i 65 anni di età anagrafica e i 40 anni di contribuzione, l'importo della PCG sarebbe pari al 60% del salario medio nazionale valutato attorno ai 900 euro netti al mese. Per età o anzianità minori, o maggiori, la pensione di garanzia verrebbe ridotta o incrementata proporzionalmente.
Per chi è, questa pensione di garanzia? "Per tutti i lavoratori, di qualsiasi settore - è la risposta della CGIL - ed è una proposta che allo stato attuale delle cose è pensata per tutelare soprattutto i giovani e le donne che sono ancora oggi i soggetti più fragili e i più esposti alle dinamiche negative del mercato del lavoro" per evitare "che possano alla fine trovarsi a ricevere da anziani pensioni molto basse, ovvero di importo molto vicino a quello dell'assegno sociale".
Che vi sia l'esigenza improcrastinabile di misure legislative urgenti per aumentare gli importi delle pensioni basse e medio-basse è fuori di dubbio. Che la CGIL abbia assunto una iniziativa in tal senso è positivo. Tuttavia colpisce il fatto che la sua proposta di "Pensione di garanzia" non metta in discussione nessuna delle norme controriformatrici previdenziali che hanno determinato la situazione che (ora) anch'essa giudica pesantemente iniqua e non più tollerabile. Anzi ci tiene a ribadire la scelta del sistema contributivo che a suo tempo sostituì quello retributivo, e che è stato uno dei fattori non secondari che hanno causato per molti, per la maggioranza, la riduzione del valore della pensione a fine carriera. Infatti, la Pcg è presentata come con correttivo del sistema contributivo, appunto una pezza per coprire i problemi grossi come case che esso ha aperto.
C'è un altro aspetto che merita attenzione. Se tanti, troppi lavoratori, specie giovani, non hanno la possibilità di costruirsi una pensione pubblica adeguata è dovuto di certo alle attuali ingiuste norme previdenziali che vanno cambiate ma anche alla precarietà del lavoro divenuta generalizzata con il "pacchetto Treu" prima e con la legge 30 dopo. Su questo la proposta della CGIL glissa. Non vorremmo che la Pcg rappresentasse implicitamente una rinuncia alla lotta contro il precariato e per un lavoro a tempo indeterminato, a salario intero e sindacalmente tutelato, importante quanto quella di ottenere delle pensioni dignitose per tutti. Anche in questo senso la Pcg sarebbe una toppa, simile nella logica al "salario minimo garantito".

15 giugno 2011