Rapporto annuale dell'INPS
Pensioni, 50% sotto 500 euro e il 79% sotto mille
Forti disparità tra uomo-donna e Nord-Sud. Pensioni da fame per i precari
Inderogabile alzare quelle più basse

È desolante e insieme insopportabile il quadro delle pensioni italiane scaturito dal Rapporto annuale dell'INPS per il 2010 reso pubblico il 25 maggio scorso: pensioni misere per l'80% dei pensionati, forti diseguaglianze a favore di una minoranza di "privilegiati", differenze ai danni delle donne, divario degli assegni pensionistici a sfavore del Sud, pensioni da fame per i precari. Di conseguenza, per milioni di persone ciò significa condizioni di vita in evidente povertà, al di sotto della sopravvivenza, cioè senza capacità di soddisfare le più elementari esigenze di vita, a partire dal cibo.
Le cifre messe in fila nel Rapporto sono impressionanti. Rappresentano, di fatto, una forte denuncia delle precarie condizioni economiche e sociali della maggioranza degli anziani nel nostro Paese, di cui il governo del neoduce Berlusconi porta gravi responsabilità. Ripropongono tutta l'urgenza di provvedimenti legislativi finalizzati ad aumentare in tempi brevi le pensioni minime e anche quelle medio-basse a livelli dignitosi.
Vediamo queste cifre. Oltre 8 milioni di pensioni, pari al 50,8% del totale non arriva a 500 euro al mese. In pratica, 16 euro al giorno con cui pagare l'affitto, le bollette, provvedere all'alimentazione e ad altre esigenze materiali. Proseguiamo: il 79% delle pensioni INPS non supera la soglia dei 1.000 euro mensili. Vi è poi un 11,1% che presenta importi compresi tra 1.000 e 1.500 euro mensili. Solo il 9,9% superare questa soglia di reddito
Chi sono questi pensionati a basso reddito? Per lo più lavoratori dipendenti, quasi nove milioni e mezzo che si devono accontentare di 861 euro al mese. I commercianti e artigiani, 2,7 milioni di persone, di 707 euro in media i primi e di 611 euro i secondi.
Un altro dato messo in rilievo nel rapporto riguarda il forte e inaccettabile squilibrio fra i trattamenti erogati agli uomini e quelli erogati alle donne. Pur rappresentando quest'ultime il 54% del totale (7,5 milioni a fronte di 6,3 milioni di pensionati uomini) esse percepiscono solo il 45% del monte complessivo della spesa pensionistica. Ben il 91% delle pensioni INPS distribuite alle donne sono sotto i 1.000 euro mensili. Ancora, se per gli uomini la pensione media è di 1.311 euro al mese, le donne hanno un reddito pensionistico medio di 893 euro, oltre 300 euro di meno.
Il problema di un'adeguata copertura pensionistica coinvolge, come si è visto, milioni di persone. Tra questi, i più danneggiati sono palesemente i Co.co.co., i precari già in pensione e quelli che ci andranno in futuro, destinati a vivere in miseria nera in assenza di modifiche sostanziali delle norme previdenziali. Sì perché il loro assegno pensionistico non va oltre i 1.570 euro all'anno, 121 euro al mese, 96 euro di media alle donne, 130 euro agli uomini. Gli assegni pensionistici erogati ai precari aumentano di anno in anno. Tra il 2009 e il 2010, ad esempio, sono aumentai del 17% e in futuro diventeranno una parte molto consistente. Una distanza abissale che li separa dalle pensioni dei dirigenti (3.788 euro in media al mese), dei piloti e assistenti di volo (3.487 euro). Mentre quelli della telefonia sfiorano i 2 mila euro, gli ex dipendenti delle società elettriche, 1.879 euro, gli ex impiegati 1.500 euro.
Altra distanza che non trova soluzioni è quella tra aree del Paese. Le pensioni erogate al Sud sono più basse di quelle del Nord-ovest di quasi un quinto, (ossia del 19,5%) e del 12,1% rispetto alla media nazionale. Per fare un esempio, nel 2009 un pensionato meridionale prendeva in media 9.501 euro l'anno, un importo inferiore di gran lunga se confrontato agli assegni erogati al Nord-ovest (11.805 euro), Nord-est (10.959 euro) e Centro (11.317 euro).
Specie in un momento di crisi economica come quella in cui è ancora immersa l'Italia, i pensionati a basso reddito scivolano inevitabilmente nelle povertà. Lo dimostra la flessione dei consumi "primari" stimata dalla CIA (Confederazione italiana agricoltori), in primis quelli alimentari: le famiglie italiane comprano sempre di meno anche nel discount, e crollano gli acquisti di frutta, pane, pesce e carne rossa.
Stante la situazione descritta sopra, il sistema pensionistico pubblico in Italia, senza alcun dubbio va fortemente modificato subito; ma non per peggiorarlo ulteriormente come è stato fatto negli ultimi 20 anni senza soluzione di continuità con la complicità dei sindacati confederali e della "sinistra" borghese, elevando l'età pensionabile (particolarmente odioso il recente provvedimento governativo che ha portato l'età pensionabile delle lavoratrici pubbliche da 60 a 65 anni) , introducendo il sistema contributivo in luogo di quello retributivo, riducendo il valore delle pensioni, eliminando la scala mobilie, dando spazio alle pensioni private integrative. Ma per migliorarlo, a partire dalle pensioni minime e dalle pensioni medio basse, con una particolare attenzione per le pensioni dei lavoratori precari e delle donne.
A seguito dei dati del rapporto INPS si è pure svegliata il segretario generale della CGIL, Susanna Camusso. In un'intervista ha affermato che "ai futuri pensionati si deve garantire almeno il 60% dell'ultima retribuzione". Premesso che prima della controriforma Dini e di quelle che gli sono succedute si andava in pensione con l'80% della retribuzione, non dice come ciò dovrebbe avvenire. Anzi alla domanda se sia il caso di abbandonare il sistema contributivo che insieme all'abolizione della scala mobile ha contribuito non poco a impoverire le pensioni, specie dei lavoratori dipendenti, ha risposto con un secco no.

8 giugno 2011