Il "piano anti-crisi" varato dal governo Berlusconi
Solo elemosine per i più poveri
Per banche e imprese miliardi e agevolazioni fiscali
La Cgil conferma lo sciopero generale del 12 dicembre
Il consiglio dei ministri del governo del neoduce Berlusconi, riunito il 28 novembre, ci ha messo appena 10 minuti ad approvare il decreto legge "anti-crisi" messo a punto da Tremonti composto da 80 pagine e 36 articoli. Anche al momento dell'esame della proposta di legge finanziaria nei mesi scorsi gli stessi ministri l'approvarono in soli 8 minuti. Nemmeno sotto il fascismo il duce poteva contare in tanta obbedienza e servilismo!
"Siamo il primo Paese in Europa - ha detto Berlusconi in conferenza stampa - a emanare un provvedimento a sostegno di famiglie, imprese ed economica". Per Tremonti il pacchetto varato non solo permetterà di fronteggiare la crisi, ma aiuterà l'Italia a diventare "un paese migliore, perché avrà delle prospettive migliori". E aggiunge, con una faccia tosta immensa: "Non sarebbe stato possibile approvare oggi il decreto legge senza la finanziaria anticipata a luglio".
Le cose non stanno come le raccontano Berlusconi e Tremonti, come al solito fanno propaganda e raccontano balle a cominciare dalla cifra complessiva di 80 miliardi per rilanciare l'economia che in realtà non vanno oltre i 16 miliardi, per lo più rastrellati dai fondi dell'Unione europea (Ue) per sostenere le aree svantaggiate, ossia il Mezzogiorno. Per le banche e le imprese, per i capitalisti della nuova Alitalia i soldi ci sono e tanti. Mentre per il sostegno ai redditi dei lavoratori dipendenti e dei pensionati c'è poco e nulla, spiccioli, elemosine elargite con provvedimenti una-tantum (la social-card e un bonus fiscale), poco e nulla anche per i precari che in massa rischiano di perdere il posto di lavoro, privi di alcun reddito. Nulla comunque di strutturale che rappresenti una netta e robusta inversione di tendenza rispetto alla politica, economica e sociale liberista e recessiva e di deregolamentazione e precarizzazione del lavoro portata avanti fin qui. Berlusconi e Tremonti hanno viceversa tenuto a confermare la linea di drastici tagli alla spesa pubblica stabilita nella finanziaria 2009-2011 per rientrare nei parametri del debito pubblico-Pil fissati dalla Ue.
Eppure la crisi economica che è internazionale, con ricadute pesantissime per l'Italia si va aggravando senza sosta. Per Berlusconi è solo un problema di ottimismo e di stili di vita da non modificare e ridurre. Ma i dati che già ci sono e le previsioni che già si possono fare almeno per tutto il 2009 disegnano una realtà molto preoccupante impossibile da disconoscere. L'Ocse, ad esempio, prevede nei prossimi 12 mesi per il nostro Paese un aumento della disoccupazione del 2% circa. La crescita assai rilevante della richiesta della cassa integrazione, specie nei settori metalmeccanico e tessile, e in prevalenza nelle regioni del Nord, sono un altro segnale chiaro. La denuncia circostanziata della Cgil circa la perdita del posto in tempi brevi per 500 mila lavoratori precari attivi nell'industria, nei servizi ed anche nella pubblica amministrazione. Da una recente ricerca promossa da Confesercenti emerge che ben 2,2 milioni di famiglie italiane fanno fatica ad arrivare a metà del mese con il proprio reddito da pensione o salario. Per 8,3 milioni di famiglie invece i soldi finiscono entro la settimana successiva. La caduta dei consumi, anche di prima necessità, è in queste condizioni una conseguenza inevitabile.
Nel cosiddetto pacchetto "anticrisi" non ci sono quelle misure che sarebbero state necessarie e che rimangono tali a partire da una
robusta e strutturale redistribuzione del reddito a favore dei salari e delle pensioni, una modifica del sistema fiscale per alleggerire i redditi medio bassi e per aumentare il prelievo su quelli alti e altissimi, la stabilizzazione dei precari con il contratto tempo indeterminato, la messa a punto di un adeguato programma di ammortizzatori sociali valido per tutti i lavoratori, compresi i migranti, e operante in tutti i settori. Per fare questo basterebbe restituire in tutto o in parte i 13 miliardi di euro che lavoratori e pensionati hanno pagato in più di tasse a causa del fiscal-drag. Le misure previste hanno invece un'entità miserevole, 3 miliardi di euro in tutto, e corrispondono a una concezione "caritatevole". Vediamole.

Bonus famiglie
Alle famiglie dei lavoratori dipendenti e pensionati pubblici e privati con un reddito complessivo fino a 22 mila euro andrà un bonus nella forma della detrazione fiscale sulla busta paga di gennaio, dal costo complessivo di 2,4 miliardi di euro. Questa mancia natalizia è data anche ai pensionati soli con un reddito fino a 15 mila euro annui che riceveranno 300 euro, ed anche ai collaboratori a progetto (co.co.pro.). I nuclei familiari con due o tre componenti fino a 17 mila euro avranno da 300 a 450 euro. Quelli fino a 20 mila euro con 4-5 componenti riceveranno 500 o 600 euro. Le famiglie con più di 5 componenti fino a 22 mila euro avranno mille euro. Stessa somma sarà garantita a quei nuclei in cui c'è un membro portatore di handicap. Inoltre, la detrazione si cumula con il meccanismo della carta acquisti, più conosciuta come "social card".

Tessera di povertà
La "social card", una sorta di tessera della povertà che alcuni hanno definito tessera del pane di mussoliniana memoria, è una misura presa in agosto con l'approvazione della manovra economica e non ancora entrata in vigore. Il governo è tornato a rilanciarla contestualmente al varo del decreto "anti-crisi". Si tratta di una tessera prepagata di 40 euro al mese, poco più di un euro al giorno, per comperare in negozi convenzionati beni di prima necessità. Spetterà agli ultrasessantenni e alle famiglie con figli minori di tre anni con un reddito Isee inferiore a 6.000 euro. Gli ultrasettantenni potranno usufruirne anche con un reddito leggermente superiore, 8.000 euro annui. Non bisogna avere depositi bancari superiori a 15 mila euro (i risparmi di una vita, per chi ce l'ha fatta).
Questa autentica miseria della "social card" è riservata ai soli italiani per cui gli immigranti ne sono esclusi a prescindere. Gli interessati sulla carta sono 1.300.000 persone per un costo a regime di 450 milioni di euro. In realtà quelli che effettivamente ne usufruiranno saranno molti meno: vuoi perché non sono in grado di realizzare tutti i passaggi burocratici necessari; vuoi per vergogna nell'esibire il tesserino davanti alle casse per ottenere un ridicolo sconto.

Mutui e tariffe
Per i mutui prima casa (escluse ville e castelli) a tasso variabile già sottoscritti, l'interesse bancario non potrà superare il 4%. Dell'eventuale eccedenza si farà carico lo Stato anche se va rilevato che il tasso Euribor da qualche giorno ha iniziato a scendere fino a 3,85%. Per nuovi mutui, sempre a tasso variabile, il governo chiede alle banche di agganciarli al tasso di sconto della Bce (Banca centrale europea).
La "promessa" del governo di bloccare le tariffe di gas, elettricità e pedaggi autostradali non è stata mantenuta. Nel decreto c'è solo il contenimento dei prezzi per servizi erogati dalla pubblica amministrazione, ad esempio tasse della motorizzazione civile (sic!).

Ammortizzatori sociali
La dotazione per il fondo per l'occupazione per il 2009 sale a 1,26 miliardi di euro. Il sostegno in deroga è destinato ai lavoratori a tempo indeterminato dei settori che non prevedono ammortizzatori sociali, ai lavoratori con contratti a termine, agli interinali e ai collaboratori a progetto "che svolgano attività in zone dichiarate in stato di crisi o in settori dichiarati in crisi" e purché abbiamo i requisiti richiesti: un solo committente e versato i contributi per almeno tre mesi. Tale sostegno sarà dato con cassa integrazione o con mobilità in deroga, con indennità di disoccupazione. Qui il difetto sta nella platea dei lavoratori che potranno beneficiare del provvedimento, alla fine ristretta; i precari della pubblica amministrazione per esempio ne sono esclusi. È nella cifra irrisoria dell'indennità che per gli "atipici" si riduce a un unico assegno di 400 euro circa e poi la disoccupazione. Quindi, tanto fumo e poco arrosto.

Detassazione del salario di produttività
Il decreto sospende la detassazione del lavoro straordinario decisa in finanziaria, divenuta insostenibile nel momento in cui le aziende chiedono a mani piene la cassa integrazione. Ma la conferma per i premi e il salario di produttività estendendone l'applicazione in settori come le "forze dell'ordine". La soglia di reddito per beneficiarne sale da 30 a 35 mila euro annui, mentre l'ammontare del salario fiscalmente agevolato passa da 3 a 6 mila euro.

Agevolazioni per le imprese
Per le imprese c'è una deducibilità del 10% dell'Irap dalle imposte dirette, un taglio di 3 punti all'acconto Irpef e Ires, un'agevolazione nella riscossione di crediti vantati dai fornitori di beni e di servizi nei confronti delle pubbliche amministrazioni, il potenziamento finanziario dei Confidi. Per quanto riguarda l'Iva, le aziende con fatturato sopra i 200 mila euro pagheranno l'imposta sul valore aggiunto al momento dell'incasso e non più all'emissione della fattura. C'è anche l'intensione di rivedere cautamente gli studi di settore adattando gli stessi "alla congiuntura".
Per non perdere il vizio, Tremonti ha anche inserito un minicondono che concede uno sconto del 50% sulle sanzioni per l'evasore che accetta senza contradditorio le richieste dell'Agenzia delle Entrate.

Infrastrutture
Per valutare le scelte del governo su questo tema bisognerà aspettare la prossima riunione del Cipe che dovrebbe varare un pacchetto di investimenti di 16,6 miliardi di euro per la costruzione di grandi opere pubbliche, prevalentemente con scopi speculativi e nocivi per l'ambiente: la statale ionica, il ponte di Messina, la Salerno-Reggio Calabria, l'Autostrada pedemontana lombarda e l'Alta velocità Genova-Milano-Venezia.
A Emma Marcegaglia e dunque alla Confindustria il decreto piace, perché va "nella giusta direzione". Apprezzamenti sui provvedimenti del governo sono venuti, manco a dirlo, anche dai segretari di Cisl e Uil Bonanni e Angeletti che hanno parlato di "bicchiere mezzo pieno" e di sforzo positivo per la risoluzione dei problemi. Solo la Cgil, nell'ambito dei confederali, ha tenuto le posizioni. Epifani ha criticato apertamente e nel dettaglio il decreto "anti-crisi" giudicandolo insufficiente, inadeguato, non all'altezza della gravità e delle dimensioni della crisi, non corretto nell'impostazione di fondo e in alcune sue parti. Ribadendo queste valutazioni negative e resistendo alle forti pressioni venute dal governo, dalla Confindustria, da Cisl e Uil e persino da esponenti del PD, la segreteria nazionale della Cgil, nella sua riunione di lunedì primo dicembre, ha confermato lo sciopero generale già fissato per il 12 dello stesso mese. Bene così!

3 dicembre 2008