La Camusso offre la Cgil su un piatto d'argento a Bersani e Vendola
Il piano del lavoro della Cgil non si propone la piena occupazione e la lotta contro il capitalismo
La Confindustria è d'accordo sulla premessa e sugli obiettivi

Nella Conferenza programmatica tenutasi al Palalottomatica di Roma il 25 e 26 gennaio, Susanna Camusso ha illustrato il Piano del lavoro della Cgil ad una platea selezionata di quadri intermedi, di economisti e leader politici invitati alla manifestazione. Un piano così denominato perché volutamente ispirato a quello omonimo che nel 1949, l'allora segretario della Cgil Giuseppe Di Vittorio, lanciò a Genova dalla tribuna del 2° Congresso della confederazione, e che aveva l'obiettivo di chiamare la classe operaia e le masse lavoratrici allo sforzo per la ricostruzione del Paese e della sua economia dopo le distruzioni della seconda guerra mondiale e di depotenziare la lotta di classe contro il capitalismo e per il socialismo.

Il Piano del lavoro
Il piano della Cgil si propone di mobilitare risorse per 50-60 miliardi in tre anni, con l'obiettivo, secondo stime del Centro europeo ricerche, di una crescita di 3,1 punti di Pil (Prodotto interno lordo) e di un aumento di 2,9 punti dell'occupazione, con una conseguente riduzione del tasso di disoccupazione al 7%, cioè al livello ufficiale precedente la crisi. Tale risultato verrebbe conseguito attraverso vari tipi di misure ed interventi, tra cui assunzioni dirette per un grande piano di bonifica del territorio, un concorso straordinario per l'assunzione di giovani nelle pubbliche amministrazioni, interventi strutturali per la tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale, per la scuola pubblica, con l'innalzamento dell'obbligo scolastico a 18 anni, e per il Welfare, istituendo anche un "reddito di continuità" tra un lavoro e l'altro.
Inoltre si propongono altri interventi sul patrimonio edilizio (per la prevenzione antisismica, la messa in sicurezza degli edifici scolastici, la riqualificazione urbana), il potenziamento del trasporto pubblico locale, dei porti e delle reti infrastrutturali, e lo sviluppo della cosiddetta "green economy", ossia l'economia legata al recupero energetico e alle fonti di energia rinnovabili.
Quanto al reperimento delle risorse necessarie, la Cgil ipotizza "linee di cofinanziamento pubblico-pubblico e pubblico-privato" all'interno di progetti operativi definiti da Stato, Regioni e Enti locali: 40 miliardi potrebbero provenire da una "riforma organica del sistema fiscale", tra lotta all'evasione, rimodulazione delle aliquote, imposta sulle rendite finanziarie al 20%, e un'"imposta strutturale sulle grandi ricchezze" (Igr), in sostituzione dell'Imu. Ovvero la patrimoniale recentemente rigettata anche da Bersani, che infatti anche nel suo intervento alla conferenza Cgil, pur dicendosi "d'accordo con l'analisi di Camusso", si è ben guardato anche solo dal nominarla, limitandosi a parlare, come "priorità" del PD, di una rimodulazione dell'Imu e di un allentamento del patto di stabilità dei Comuni per un "grande piano di piccole opere".
Altre risorse verrebbero dalla "riduzione dei costi della politica e degli sprechi" (20 miliardi), dal riordino delle agevolazioni e dei trasferimenti alle imprese (10 miliardi), dalle risorse delle fondazioni bancarie, e dall'utilizzo dei fondi pensione dei lavoratori, che potrebbero essere investiti per la ripresa economica dalla Cassa depositi e prestiti insieme alle proprie risorse. Su scala europea si propone inoltre l'acquisto da parte della Banca centrale europea (Bce), attraverso apposite modifiche al proprio Statuto, del 20% del debito pubblico degli Stati Ue, ovvero la sua "mutualizzazione" per un totale di 1.900 miliardi, per liberare altre risorse per la crescita: "Senza Europa non c'è neanche l'Italia. Bisogna rilanciare con forza l'idea degli Stati Uniti d'Europa", ha detto Camusso nel suo intervento alla conferenza nell'illustrare quest'ultima richiesta.

Dentro le compatibilità capitalistiche
Per quanto alcune di queste proposte, se prese separatamente, possano essere anche giuste in linea di principio, come ad esempio la patrimoniale, la lotta all'evasione e gli altri interventi fiscali, l'innalzamento dell'obbligo scolastico a 18 anni, le assunzioni di giovani nella pubblica amministrazione, gli interventi di messa in sicurezza del territorio e degli edifici scolastici, e così via, non altrettanto si può dire del piano nel suo complesso, riguardo alla sua ispirazione generale e finalità, la sua adeguatezza rispetto alla grave situazione in cui versano i lavoratori e il contesto politico da cui discende e a cui si rapporta.
Diciamo subito che questo piano non è credibile, né adeguato alle esigenze della classe operaia, dei lavoratori, dei giovani, dei precari e dei disoccupati, perché sta tutto all'interno del sistema capitalistico e delle compatibilità con le esigenze delle imprese, che accetta come un quadro di riferimento immutabile, anche nel più largo contesto europeo, entro il quale cercare di ottenere non la piena occupazione, ma la massima occupazione possibile.
È significativo infatti che si ponga come obiettivo massimo il ripristino dei livelli occupazionali ante crisi del capitalismo. Ma soprattutto è significativo che si proponga di conseguire questo obiettivo non attraverso il conflitto e la lotta sindacali, ma attraverso la concertazione con le imprese e il governo, proponendo, anziché la lotta contro il capitalismo, il ritorno alla via del "patto sociale" e della "concertazione" già dimostratasi ampiamente fallimentare e disastrosa per i lavoratori e per la stessa Cgil. Non per nulla questo piano porta lo stesso nome di quello del revisionista e riformista Di Vittorio, che fu concepito in un contesto politico di guerra fredda e dopo la sconfitta elettorale del 1948, per frenare la lotta di classe accettando di aggiogare la classe operaia al carro del capitalismo per farlo ripartire e partecipare alla ricostruzione del Paese.

Un piano per un nuovo "patto sociale"
In un commento su l'Unità del 27 gennaio, sottolineando le analogie tra il piano Di Vittorio e quello della Camusso, Bruno Ugolini riporta non a caso questa significativa citazione del trotzkista Vittorio Foa: "Col Piano del lavoro Di Vittorio tentò di spostare l'asse politico dallo scontro sociale immediato a una proposta di sviluppo valida per l'intero Paese... non si trattava certo della fine del conflitto sociale, ma della ricerca di punti d'incontro e scontro su un livello diverso, meno devastante di quello in atto, di una via d'uscita dalla routine ripetitiva del muro contro muro".
Un'interpretazione, quella di Foa sugli scopi del piano Di Vittorio, che la Camusso è sembrata riprendere quasi alla lettera, quando dal palco del Palalottomatica ha annunciato che "ora si apre una stagione nuova", che occorre "essere partecipi della ricostruzione del Paese". E quando ancor più esplicitamente si è richiamata al piano Di Vittorio sottolineando che "colpiscono le tante somiglianze a partire dalla necessità del sindacato di non chiudersi nella difesa di chi un lavoro lo ha, di guardare ai disoccupati, ai giovani e al loro futuro... oggi, come allora, abbiamo costruito la proposta con grande coinvolgimento, un impegno collettivo non solo del gruppo dirigente confederale, ma delle categorie e dei territori: dagli attivi dei delegati ai confronti con università, studiosi, associazioni, e associazioni delle imprese".
Un'aperta dichiarazione per il ritorno al metodo concertativo, quella del segretario Cgil, confermata anche dal suo appello a Cisl e Uil, e in particolare a Bonanni che aveva definito quello del lavoro un "piano da Unione Sovietica", a riprendere la strada dell'unità sindacale, proponendo loro di ripartire "dall'accordo del 28 giugno per determinare le regole della democrazia e della rappresentanza, per definire il sistema di regole della contrattazione, la sua funzione. Rivendichiamo il valore di un'intesa unitaria, perché non rinunciamo all'unità sindacale come valore, strategia per i lavoratori".
Anche la Confindustria, che ha presentato quasi in contemporanea un suo piano per il lavoro, ha notato e apprezzato infatti l'offerta della segreteria Cgil, mandando dei segnali come con l'intervista del suo presidente Squinzi al Corriere della Sera, in cui ha detto che "bisogna ricostruire il Paese. Occorre un dialogo costante con la Cgil". E Vincenzo Boccia, vicepresidente di Confindustria e presidente della piccola impresa, ha aggiunto: "Vedo diversi punti di convergenza su cui si può lavorare insieme. In tutte e due le proposte si riparte dalla fabbrica come luogo del lavoro. Potremmo cominciare da lì, dall'attenzione che si dà all'industria. Sulla premessa quindi ci siamo, e anche sull'obiettivo finale, cioè più crescita per l'occupazione. È sul percorso che divergiamo".
Le divergenze, non di poco conto al momento, riguardano il recupero di competitività, la riduzione del cuneo fiscale e soprattutto il salario legato alla produttività, tutte cose contenute nel recente accordo separato con Cisl e Uil che la Cgil non ha voluto firmare. Ma le cose potrebbero cambiare presto, in un contesto politico in cui governasse il "centro-sinistra". Il riavvicinamento già iniziato non da ora tra la Confindustria di Squinzi e la segreteria Cgil di Camusso potrebbe subire una decisa accellerazione, ed il Piano del lavoro concertativo potrebbe costituire la base di partenza per il dialogo.

L'operazione politica
Proprio questa è l'operazione politica che sta dietro il piano che la segreteria Cgil ha voluto lanciare in questo momento politico, all'immediata vigilia delle elezioni, anticipando la Conferenza programmatica di Roma: offrirsi come interlocutore privilegiato del futuro governo di "centro-sinistra" e della politica economica concertativa che esso cercherà di mettere in campo con le parti sociali, uscendo dall'isolamento in cui il maggior sindacato dei lavoratori è stato confinato dai governi Berlusconi e Monti con la complicità dei sindacati crumiri Cisl e Uil. È lo stesso tipo di operazione, in condizioni mutate, che l'allora segretario Epifani fece nel 2006 al 15° Congresso della Cgil, alla vigilia delle elezioni che portarono al governo il "centro-sinistra" di Prodi e Veltroni.
Non per nulla alla conferenza di Roma erano stati invitati, molto selettivamente, i leader del "centro-sinistra", Bersani, Vendola e Tabacci, insieme all'ex presidente del Consiglio dell'epoca del "patto sociale", Giuliano Amato, e al ministro della Coesione sociale, in quota PD, Fabrizio Barca. Non era stato invitato invece Antonio Ingroia, che infatti se ne è lamentato. Anche l'ex presidente del Comitato centrale della Fiom, Giorgio Cremaschi, ha protestato per essersi sentito rifiutare una richiesta di intervento alla conferenza: "La segreteria Cgil - ha detto il leader della Rete 28 Aprile - ha convocato la conferenza, anticipandone la data rispetto a quella prevista, proprio per avere la presenza esclusiva dei leaders del centrosinistra". La conferenza nasce - ha aggiunto - come "lancio nel mondo del lavoro della campagna elettorale di Bersani e Vendola e di quella presidenziale di Amato". Anche il coordinatore della minoranza interna La Cgil che vogliamo, Gianni Rinaldini, nel denunciare che "la conferenza e il suo programma sono a titolo personale dei componenti la segreteria", ha dichiarato a Il Fatto quotidiano: "La campagna elettorale per il Pd è evidente, con la speranza di poter avere un governo amico e magari Epifani ministro del Lavoro".
E Camusso ha confermato in pieno questo sospetto, quando ha
detto "serve un'altra idea, serve un governo", e l'idea "è quella che determinò il boom economico". Cioè il Piano del lavoro, appunto. Col quale la leader della destra della Cgil ha offerto su un piatto d'argento il maggior sindacato italiano a Bersani e a Vendola.

6 febbraio 2013