Intervista del giudice Marino a "Il Fatto quotidiano"
"I soli ricattati sono i pm"
"L'apertura del conflitto è stata un errore"

Nicolò Marino, pubblico ministero di Caltanissetta e titolare delle indagini sulle stragi di Capaci e di via D'Amelio, pur con la cautela istituzionale che usa nei confronti di Giorgio Napolitano che, non lo si dimentichi, presiede il CSM ossia l'organo di governo della magistratura, non usa mezzi termini per lanciare una critica senza sfumature nei confronti del capo dello Stato sostenendo che sarebbe stato "mal consigliato" nella richiesta alla Corte costituzionale di pronunciarsi sul conflitto di attribuzioni tra la presidenza della Repubblica e la procura di Palermo.
Anticipando il 3 settembre il suo pensiero alla commemorazione del generale Dalla Chiesa, Marino ritorna sull'argomento in un'intervista a "Il Fatto quotidiano" del 5 settembre scorso e rincara la dose sostenendo che il gesto di Napolitano - che ha riscosso il sostegno dei presidenti delle due Camere, del capo del Governo, di tutte le principali forze politiche e certamente vedrà favorevole anche la Corte costituzionale - suona oggettivamente come un vero e proprio ricatto di tutti gli organi costituzionali dello Stato nei confronti della magistratura per impedirle di indagare su un fatto di gravità senza precedenti come la trattativa tra lo Stato e la mafia.
Infatti, sostiene il magistrato, "l'intervento di Napolitano può essere letto, da qualche malaccorto, come un modo per ostacolare il cammino verso la verità". Il che significa - contrariamente a quello che ha scritto il settimanale Panorama che ha parlato di ricatto al Capo dello Stato da parte della magistratura - che ai Pm siciliani viene lanciato il chiaro segnale di fermarsi nelle loro inchieste da parte non soltanto di Giorgio Napolitano, ma anche di tutti gli altri organi costituzionali, parte della magistratura compresa. Infatti il Pm di Caltanissetta tira in ballo anche il Procuratore generale presso la Corte di Cassazione Gianfranco Ciani che accusa senza mezzi termini di avere ubbidito ad una precisa richiesta del Quirinale convocando lo scorso maggio il Procuratore nazionale antimafia Grasso per suggerirgli di coordinare le indagini dei Pm di Caltanissetta e di Palermo su stragi del '92 e trattativa o addirittura di avocarle allo stesso Procuratore nazionale antimafia (ovvero di sottrarle ai Pm titolari di Caltanissetta e di Palermo).
A queste richieste del Procuratore generale Grasso ha risposto con un chiaro rifiuto ma questo non sminuisce il tentativo comunque messo in atto da Napolitano (in combutta con il magistrato posto al vertice italiano dell'ufficio del Pubblico Ministero, Ciani appunto) di depotenziare come minimo le indagini siciliane, e nella peggiore delle ipotesi, addirittura di insabbiarle.
A tutto questo si aggiunge, conclude Marino, che il mondo della politica - con l'ovvia e già manifestata benedizione sia di Napolitano che di Monti - ha già preso a pretesto la vicenda delle intercettazioni che coinvolgono il Capo dello Stato per discutere della riforma del codice di procedura penale e limitare l'uso delle stesse intercettazioni, bucce di banana queste ultime sulle quali ora è scivolato Napolitano ma in passato anche tanti politici, con danni inimmaginabili per numerose indagini delicate in tema di mafia.

17 ottobre 2012