La Polverini fa la furba ma è colpevole

Fin dall'inizio dello scandalo Fiorito è apparso evidente che Renata Polverini fa la furba e rigira la frittata cercando di farsi passare da colpevole a vittima e da accusata ad accusatrice. La sua strategia furbetta si è subito basata infatti su due argomenti: sostenere di essere stata completamente all'oscuro delle spese folli e delle ruberie che si svolgevano sotto i suoi occhi, nel suo stesso partito, e rivendicare di essere lei stessa la prima vittima e la più inflessibile nemica dei disonesti in seno al Consiglio regionale del Lazio, tanto da rivendicare di essersi dimessa proprio per "mandarli a casa". Così aveva urlato nella sua sceneggiata del 24 settembre in cui ha annunciato le sue dimissioni, e così ha fatto scrivere sui manifesti con il suo faccione, non si sa bene pagati da chi, con cui il giorno dopo ha tappezzato Roma: "Questa gente la mando a casa io: Ora facciamo pulizia".
Ma la governatrice bara spudoratamente su entrambe le cose: ancora il 21 settembre, dopo che nei giorni precedenti aveva minacciato varie volte di dimettersi, dopo aver parlato con Berlusconi e Alfano che la incitavano a "resistere" in tutti i modi, aveva riunito il Consiglio e annunciato misure di "risanamento" (eliminazione dei monogruppi, riduzione da 70 a 50 consiglieri, e da 16 a 10 assessori), manifestando chiaramente l'intenzione di continuare come se nulla fosse: "Se voi ve la sentite di andare avanti, io me la sento", aveva detto ai suoi, assicurando che "saremo in grado di trasformare questa Regione in due anni e mezzo". Rivendicava anzi sfrontatamente di aver avuto "il coraggio di chiedere scusa anche se la mia giunta non è coinvolta così come non lo sono i miei collaboratori".
A chi gli chiedeva conto del fatto che lei non poteva non sapere, quantomeno dei soldi presi anche dalla sua lista, continuava sfacciatamente a rispondere: "C'è un'attività autonoma dei gruppi, non è che il mio gruppo, per il fatto che porta il mio nome, è guidato da me". E la lettera che Fiorito dice di averle inviato mettendola al corrente delle irregolarità ormai fuori controllo dell'uso dei rimborsi, e a cui la governatrice non ha mai risposto? "Purtroppo è una lettera che nemmeno ricordo", rispondeva sempre con la stessa faccia di bronzo.

Dimissionaria solo perché costretta
Aveva perfino tentato di coinvolgere il governo nel sostegno alla prosecuzione della sua giunta, ritornata a vacillare pericolosamente dopo che l'UDC aveva cominciato a manifestare "disagio", in seguito soprattutto alla condanna espressa dal presidente della Cei, cardinale Bagnasco, per "gli scandali, la corruzione e lo sperpero di denaro pubblico" esplosi nelle regioni italiane, casi "inquietanti che la classe politica ancora sottovaluta". Il 23 la Polverini era andata infatti da Monti a prospettargli "le gravi ripercussioni che ci saranno sul paese" con una crisi alla Regione Lazio così importante, ma il premier aveva glissato ribadendo la non competenza del governo in questo affare.
Soltanto il giorno dopo, e solo perché messa con le spalle al muro dopo essere stata scaricata da Casini ("se andassi avanti lo faresti con i nostri consiglieri dissidenti, non so quanto ti convenga", le aveva detto il leader dell'UDC) la governatrice si è decisa ad annunciare le sue dimissioni. Ma lo ha fatto in maniera platealmente furbesca, cercando di passare da vittima e di averlo fatto di sua propria iniziativa: "Questi hanno fatto cose raccapriccianti e io con certi malfattori non ho nulla a che vedere. Anzi, spero in una punizione esemplare per i consiglieri ladri", ha tuonato facendo l'indignata. "Li mando a casa io", "ho interrotto il cammino di un Consiglio non più degno di rappresentare il Lazio", "mai avrei immaginato che con quelle ingenti risorse tutti, nessuno escluso, facessero spese sconsiderate ed esose", e via scagionandosi e accusando.
Ma la Polverini ha poco da fare la vittima e la giustiziera. Innanzi tutto è colpevole politicamente, perché quei malfattori ce li ha messi lei ai loro posti, dato che sono stati eletti con lei capolista e comunque fanno parte della maggioranza che l'ha sempre sostenuta. In secondo luogo è colpevole amministrativamente, e non può cavarsela dicendo che non ne sapeva niente in quanto i fondi erano decisi e gestiti dai gruppi "all'insaputa della giunta". Infatti il fiume di denaro che il Consiglio si è autoassegnato tra il 2010 e il 2011 portandolo da 1 a ben 14 milioni è stato deciso dall'Ufficio di presidenza, a cui partecipa anche la Lista Polverini.
Inoltre per legge il controllo sul Bilancio e sulla gestione dei capitoli di spesa, compresi i finanziamenti ai gruppi, spetta alla giunta, all'assessore al Bilancio e poi al Consiglio, e gli stanziamenti vennero autorizzati dalla giunta con due delibere del 2011. Secondo una ricostruzione de "la Repubblica" l'aumento abnorme degli stanziamenti servì proprio a blindare la Polverini, mettendo fine con una pioggia di milioni alla faida scoppiata nel PDL e che metteva a repentaglio la sua maggioranza, costretta a dipendere altrimenti dai voti dell'UDC.

Continua l'occupazione della Pisana
Ma la governatrice è colpevole anche personalmente, perché alla mangiatoia partecipavano anche lei e i suoi fedelissimi, di cui si era circondata portandoseli dietro dal sindacato fascista che dirigeva. Sarebbe doveroso infatti che spiegasse la provenienza dei soldi e degli immobili che l'ex sindacalista della missina CISNAL, poi diventata UGL, ha accumulato negli anni del suo mandato alla Regione Lazio.
Che la sua sia tutta una farsa lo dimostra anche il fatto che prima di firmare le sue "dimissioni irrevocabili", dopo tre giorni dall'annuncio, ha trovato il tempo di ridurre il numero degli assessori, licenziando guarda caso i 5 della corrente rivale di Tajani, sponsor politico dell'ex capogruppo Battistoni, rivale di Fiorito e rafforzando i suoi uomini assegnando loro le deleghe vacanti, come quella dei rifiuti tolta a Pietro di Paolo, uomo di Alemanno, suo rivale, per assegnarla a Giuseppe Cangemi, suo fedelissimo. E di rinnovare i contratti di 9 dirigenti della Regione, tra cui anche due già bocciati dal Tar.
E come se ancora non bastasse, per restare più a lungo possibile in sella a "disbrigare gli affari correnti", sta facendo una sporca manfrina per ritardare il più possibile le elezioni, cavillando sull'interpretazione della legge che stabilisce 90 giorni come termine per effettuarle, e che lei sostiene valgano invece per "fissare la data" delle stesse. Una vergogna che il governo e la ministra dell'Interno Cancellieri, invece di lavarsene, come stanno facendo le mani, devono immediatamente far cessare, obbligandola a indire immediatamente le elezioni per il nuovo Consiglio regionale entro dicembre, a tagliare subito gli stanziamenti a favore dei gruppi e a far loro restituire i soldi illecitamente intascati e sperperati.

3 ottobre 2012