Un'opera faraonica, inutile, dannosa e pericolosa che si vuol fare anzitutto per l'immagine del regime neofascista di Berlusconi
IL NEODUCE VARA IL PONTE DI MESSINA
Incurante dei pericoli sismici, dei danni all'ecosistema, della devastazione ambientale, degli accaparramenti degli appalti da parte della mafia, nonché dei reali e prioritari bisogni delle masse delle due regioni interessate
ALLA SICILIA E ALLA CALABRIA SERVONO ACQUA, POTENZIAMENTO DELLE LINEE FERROVIARIE E MARITTIME PUBBLICHE E DEI PORTI

Col decreto legge 63/2002, attualmente in discussione in parlamento, che dà vita a due società per azioni presso il ministero dell'Economia, strettamente connesse tra loro, la "Patrimonio dello Stato Spa'' e la "Infrastrutture Spa'', il neoduce Berlusconi e il suo ministro Pietro Lunardi hanno inteso creare le condizioni e dare un'accelerazione all'approvazione della famosa "legge obiettivo'' che contiene ben 250 progetti di costruzione di grandi opere infrastrutturali pubbliche, tra strade, autostrade ecc., nei prossimi 10 anni. Due società per svendere ai capitalisti il patrimonio paesaggistico storico e culturale del nostro Paese e con il ricavato finanziare le "grandi opere'' di cementificazione dell'Italia (cfr n.22/2002 de "Il Bolscevico''). Promesse queste, spese dal neoduce nella campagna elettorale delle precedenti politiche e incluse nel "piano dei primi 100 giorni'' e a tutt'oggi rimaste lettera morta.
In questo contesto si colloca l'annuncio fatto in pompa magna in una conferenza stampa lampo il 6 giugno, guarda caso alla vigilia delle elezioni di ballottaggio in province e comuni, da Berlusconi e Lunardi per il varo della mega costruzione del ponte sullo Stretto di Messina. Un'opera da noi denunciata più volte, e con noi le più importanti associazioni ecologiche e ambientaliste, come faraonica, inutile, dannosa e pericolosa per ingrassare la grande speculazione edilizia e finanziaria, ivi compresa la criminalità organizzata siciliana e calabrese, "Cosa nostra'' e 'ndrangheta, e per alimentare il clientelismo più spudorato e spregevole. Una colossale infrastruttura, senza precedenti in Italia e forse nel mondo per dimensioni e costi economici, per dare lustro di grande potenza al regime neofascista di Berlusconi, il quale, con piglio ducesco ha detto: "Questa volta si fa, lo garantisco... il governo fa sul serio''.
Già Mussolini aveva accarezzato l'idea di costruire un ponte che collegasse la Sicilia e il continente, idea rilanciata nel 1985 dall'allora presidente del Consiglio Craxi, avallata anche, è bene ricordarlo, dai governi di "centro-sinistra'' Prodi, D'Alema e, in ultimo, Amato come "un'opera che serve alla Sicilia, al Mezzogiorno e al Paese'' e che ora il neoduce di Arcore col petto gonfio è intenzionato, a realizzare.
Immediato ed entusiasta l'appoggio del grande capitale che per bocca del presidente della Confindustra, Antonio D'Amato, fantasticando ha giudicato il ponte sullo Stretto "un'opera simbolica che metterà di nuovo il Sud al centro di un grande processo di sviluppo e di investimenti''. Balle! Ai capitalisti luccicano gli occhi al solo pensare all'affare che viene loro prospettato, tantoché Lunardi dice: "C'è già la fila di privati che vuole investire sul ponte sullo Stretto''.

IL BUSINESS DEL SECOLO
Noi l'abbiamo definita un'opera faraonica, ma c'è anche chi lo giudica "il business del secolo'' rende bene l'idea. Stiamo parlando infatti di una infrastruttura che ha le seguenti mostruose dimensioni: 3.690 metri di lunghezza, 5.070 per l'intero manufatto. La campata centrale sarà lunga 3.360 metri, larga 61 e sospesa sul livello del mare di 64 metri. Sarà sorretta da due monumentali torri alte 370 metri e larghe 70 e da quattro giganteschi cavi di 132 centimetri di diametro. Sul ponte poggeranno ben otto corsie stradali e quattro binari ferroviari. Insomma qualcosa di molto più lungo del ponte di Brooklyn e di più alto della Torre Eiffel. Costo iniziale previsto: 9.400 miliardi di lire (4,8 milioni di euro). Ma c'è chi sin da ora stima il costo in 11 mila miliardi di lire ritenendo le cifre governative sottostimate. Metà a carico dello Stato, cioè della collettività e metà finanziato dai privati con il metodo del "project financing''. Si pagherà il pedaggio: 10,80 euro per le auto, 41,30 euro per i bus e i camion, 5,10 euro per le moto, 274,20 euro per i treni.
Questi i tempi di realizzazione che il governo vorrebbe rispettare: entro il terzo trimestre del 2002, redazione del progetto preliminare; nei tre mesi successivi, approvazione del progetto da parte del Cipe (Comitato interministeriale per la programmazione economica); entro il 2004 redazione del progetto definitivo da parte del concessionario e relativa approvazione sempre del Cipe; avvio dei lavori entro marzo del 2005. Proprio nell'anno che precede le prossime elezioni politiche.
Per gestire l'intera operazione il ministro Lunardi ha piazzato nei posti di comando del consiglio di amministrazione della società "Stretto di Messina Spa'' una schiera di amici e compari di affari della sua azienda "Rocksoil'' di progettazione di grandi infrastrutture. Alla presidenza, l'ex DC e braccio destro di Cossiga, l'ex ministro della Protezione civile, Giuseppe Zamberletti, e nel consiglio: Vito Raggio raccomandato dal capo siciliano di Forza Italia, Gianfranco Micciché, Lino Cardarelli che ha la figlia segretaria personale del ministro, Giuseppe Calcerano impegnato nel passato come consigliere di amministrazione di società operanti del settore autostradale, infine l'ingegnere Francesco Sabato, direttore generale dell'Anas, tutti e due quest'ultimi hanno favorito più volte l'imprenditore Lunardi.

L'IMPATTO AMBIENTALE
Mentendo spudoratamente, il ministro, ha avuto il coraggio di sostenere che l'opera avrebbe un impatto ambientale "ridotto'', e tutt'altro che devastante e irreversibilmente dannosa per l'ecosistema. Non si capisce proprio come possa affermare una cosa del genere mancando a tutt'oggi lo studio definitivo di impatto ambientale, essendo ancora "oggetto di un'ampia revisione, sia nella sua impostazione generale che nelle metodologie di analisi''. A parte la bruttura, a dir poco, dal punto di vista paesaggistico, della ciclopica struttura di acciaio e cemento sospesa nel cielo, sono da considerare le rovinose modifiche inferte a fondo e flora marini, alla sopravvivenza dei pesci a causa degli scavi, profondi 55 metri, per impiantare le torri, con ben 9 mila metri cubi di materiali di terra, a causa anche del cono d'ombra che la campata del ponte proietterà nella fascia di mare sottostante. Sono da considerare le deturpazioni che saranno inflitte a Messina e a Reggio Calabria poste ai lati opposti del ponte. E' da considerare inoltre la gran massa di materiale che verrà movimentata, circa un milione e mezzo di metri cubi da prelevarsi in una non specificata zona etnea.
E non si capisce come il governo e le regioni interessate possano ignorare la denuncia di un gruppo di geologi italiani e stranieri, pubblicata nella rivista scientifica Enea, secondo i quali il ponte di Messina è come un grattacielo costruito sulla sabbia poiché le coste calabre e quelle siciliane tendono progressivamente ad alzarsi (1,5 cm ogni 10 anni quella calabra e 0,4 cm quella sicula) e ad allontanarsi con un ritmo di 10 centimetri ogni dieci anni, un metro ogni secolo. Un fenomeno questo, peraltro, antico e conosciuto, che nel tempo ha fatto sollevare di metri le vecchie linee di spiaggia. Gli studiosi Sylos Labini e Luigi Ferrante, che hanno condotto l'indagine, considerando le mastodontiche dimensioni della struttura, sostengono apertamente che essa non è sicura e allo stesso tempo provoca danni altissimi all'ecosistema marittimo e terrestre. E riguardo alla tenuta dell'opera a maremoti e terremoti, essendo la zona fortemente sismica, "la garanzia assoluta - asseriscono - non la può dare nessuno''.
L'utilità di questa ennesima "cattedrale nel deserto'' risulterebbe, allo stato dei fatti, del tutto effimera prima di tutto perché si inserirebbe in un sistema portuale, viario e dei trasporti ferroviari arretrato, insufficiente, inadeguato. Basti dire che per andare in treno da Palermo a Messina (327 Km) ci vogliono 3 ore e mezzo; da Agrigento a Messina (289 Km) occorrono ben 5 ore; da Siracusa a Messina (181 Km) 3 ore e da Ragusa (294Km) addirittura 6. Perciò, il risparmio ipotizzato con il ponte, di un'ora in auto e di due ore in treno, ci sembra davvero poca cosa, assolutamente sconveniente rispetto all'impegno finanziario e ai danni ambientali. Tanto più se si osserva che, attualmente, la maggioranza delle persone che ogni giorno attraversa lo Stretto per ragioni di studio o di lavoro (12 mila su un totale di 15 mila) lo fa senza auto. Sono in gran parte pendolari che usano gli aliscafi e che, probabilmente, continuerebbero ad usarli anche in presenza del ponte.
Pertanto, checché ne dicano Berlusconi e D'Amato, il ponte non rappresenta, se non in modo molto parziale, la soluzione del problema di eliminare l'isolamento relativo della Sicilia dal resto del mondo. E' un inganno farlo credere!

"COSA NOSTRA'' E 'NDRANGHETA
La pioggia di miliardi (pubblici e privati) e le nuove leggi varate a livello nazionale e regionale che allentano e cancellano vincoli e controlli per l'assegnazione degli appalti e dei sub-appalti pubblici rappresentano una vera manna per la criminalità organizzata siciliana ("Cosa nostra'') e calabrese ('ndrangheta). Berlusconi, che con i mafiosi deve avere più di un debito di riconoscenza, e Lunardi per il quale "con la mafia ci si deve convivere'' fanno orecchie da mercante alle chiare e pubbliche denunce del procuratore generale di Palermo, Pietro Grasso e del procuratore nazionale antimafia, Pierluigi Vigna (vedi articolo in questa pagina), i quali all'unisono hanno evidenziato l'enorme forza di condizionamento e di infiltrazione dei clan mafiosi nell'assegnazione degli appalti e criticato duramente la nuova legislazione in materia che annacqua, rende blandi e inefficaci i vincoli antimafia sulle aziende che si propongono per i lavori, specie per quanto riguarda i sub-appalti dietro cui agiscono, preferibilmente i clan mafiosi. Anche i controlli sui cantieri diventano inesistenti. Vigna è giunto a considerare il ponte di Messina "una straordinaria occasione per Cosa nostra''. Si tratta di un forte allarme lanciato a ragion veduta, visto che la giunta regionale siciliana di "centro-destra'' Cuffaro sta approvando un disegno di legge che permette l'assegnazione degli appalti, entro il tetto di spesa di 400 milioni di lire, su base fiduciaria, senza verificare cioè se l'appaltante possiede i requisiti previsti dalla legge Merloni.
In questo contesto è probabile, se non certo, che "Cosa nostra'' e 'ndrangheta faranno man bassa degli appalti specie per i lavori di scavo e realizzazione delle fondamenta, del movimento terra e smaltimento dei detriti, verniciatura e saldatura dei pavimenti, costruzione di aree ed edifici adibiti a servizi ristoro, caselli per il pagamento del pedaggio, costruzione di alberghi e centri commerciali nelle zone adiacenti il ponte, costruzione di tratte stradali e ferroviari, oltre alla fornitura della mano d'opera per i cantieri. Qualora "il tentativo dei gruppi mafiosi - si legge in uno studio intitolato `E la mafia starà a guardare?' pubblicato sulla rivista `Meridiana' - dovesse avere esito positivo, si avrebbe un effetto di moltiplicazione e amplificazione del potere mafioso, quindi una sua ulteriore e nuova legittimazione''.

ALTRE LE PRIORITA', ALTRI I BISOGNI
Per tutte queste ragioni, e per altre ancora che si potrebbero aggiungere, noi del PMLI riconfermiamo un giudizio assolutamente negativo e una ferma opposizione alla costruzione del ponte di Messina. Altri sono i bisogni reali, altre le priorità delle masse delle due regioni interessate che non troverebbero alcuna risposta da questa opera speculativa, in testa l'adeguamento delle infrastrutture, l'industrializzazione e lo sviluppo economico e sociale pari agli standard esistenti nel Nord del Paese. Nel caso specifico, i 9.400 miliardi di lire previsti per la costruzione del ponte devono essere impiegati per affrontare in modo serio e strutturale l'annosa grave crisi idrica che affligge la Sicilia e anche la Calabria, risolvendo tutti i problemi annessi e connessi alla ripulitura degli invasi e delle dighe, alla ricerca di nuove falde acquifere e alla salvaguardia di quelle esistenti da fonti inquinanti, alle riparazione delle tubature, alla requisizione e all'inserimento negli elenchi delle acque pubbliche di tutti i pozzi in mano alle famiglie dei mafiosi, all'inserimento in tali elenchi dei grandi pozzi privati e altro ancora (vedi la piattaforma rivendicativa sulla crisi idrica in Sicilia dell'Organizzazione palermitana del PMLI pubblicata su "Il Bolscevico'' scorso) per garantire 24 ore su 24 ore l'afflusso nelle case di acqua potabile di buona qualità.
Questi e altri soldi vanno spesi per potenziare e ammodernare i mezzi di trasporto pubblici, ossia le linee ferroviarie e marittime. Mentre al Nord si sperperano inutilmente miliardi per l'Alta velocità ferroviaria al Sud si rasenta una situazione da Terzo mondo. Il governo, le Regioni e le amministrazioni comunali hanno il dovere di creare nel Mezzogiorno un servizio di trasporto pubblico comodo, conveniente economicamente per gli utenti, che preveda frequenze più ravvicinate, che tagli sostanzialmente i tempi di viaggio. Allo stesso modo vanno potenziati e modernizzati i porti perché possano supportare con efficienza e sicurezza lo sviluppo del traffico marittimo di persone e merci.
In ultimo, ma non per ordine di importanza, si deve esigere che gli investimenti programmati vengano effettivamente spesi, ci si deve opporre al varo di una legislazione che allenti e cancelli i vincoli antimafia in materia di assegnazione degli appalti e sub-appalti e si deve pretendere la massima trasparenza e il controllo sociale delle masse siciliane e calabresi sulla distribuzione dei suddetti finanziamenti.

19 giugno 2002