Dopo la batosta elettorale
IL PRC SI SPOSTA PIU' A DESTRA E RIAPRE AL GOVERNO
La proposta del "forum" tende anche a recuperare gli antagonisti e gli astensionisti e a integrarli nel capitalismo
E' ORA DI DARE FORZA AL PMLI

Il PRC esce con le ossa rotte dalle elezioni del 13 giugno. Tanto rotte che questa volta nemmeno Bertinotti ha potuto negare l'evidenza dei fatti e ha riconosciuto pubblicamente il "risultato pesantemente negativo" conseguito dal suo partito.
I numeri parlano chiaro. Nelle elezioni europee '99 ha perso 676 mila voti rispetto a quelle precedenti del '94. Ma ancor più pesante è il raffronto con le politiche '96 che seppur non omogeneo è ugualmente proponibile e significativo, dove i voti persi sono addirittura 1 milione e 885 mila. In soli tre anni dunque il PRC ha perso quasi il 60% del proprio elettorato. Nel Mezzogiorno le perdite si aggirano addirittura intorno al 64-67%, specie in Puglia e in Calabria.
Tale andamento, seppur con una percentuale appena minore, è pienamente confermato nelle amministrative. Rispetto alle precedenti provinciali le perdite vanno dal 35 al 60% del proprio elettorato. A Torino, per esempio, ne perde il 58,8%, a Napoli il 59,5%, a Firenze il 56,8%, a Milano il 54,1%. Alle comunali di Bari perde il 62% e a quelle di Bologna il 46%.

LA SCELTA ASTENSIONISTA

Nessun dubbio anche su dove siano finiti i voti persi da Rifondazione. La scissione di Cossutta ha inciso poco o niente sul suo tracollo. Il PdCI ha riscosso solo limitati consensi (circa 622 mila voti) che non compensano affatto le perdite del PRC e presumibilmente provengono in gran parte dalla sinistra dei DS.
E' l'astensionismo la prima causa del tonfo di Rifondazione. La stragrande maggioranza degli elettori del PRC, per stessa ammissione dei dirigenti del PRC, ha infatti scelto l'astensionismo (non voto, voto nullo o bianco). Secondo uno studio dell'Abacus sui flussi elettorali accettato dallo stesso Bertinotti (lo pubblichiamo in questa pagina), ben il 56% di coloro che alle politiche '96 avevano votato PRC questa volta hanno disertato le urne, votato nullo o bianco.
Non siamo dunque di fronte a un ripiegamento a destra dell'elettorato di Rifondazione, ma di un suo spostamento a sinistra verso l'astensionismo. Una scelta voluta, pensata e cosciente che ha inteso punire il gruppo dirigente di Rifondazione, la sua strategia e la sua politica riformiste, filogovernative e filoeuropeiste.
Se l'elettorato avesse voluto esprimere un dissenso contro l'uscita del PRC dalla maggioranza governativa o la posizione contraria alla guerra alla Serbia, come paiono ventilare certe dichiarazioni di Bertinotti e di altri dirigenti neorevisionisti, esso avrebbe premiato il PdCI di Cossutta o i DS stessi. Al contrario coloro che hanno scelto di astenersi hanno voluto punire l'appoggio del PRC al governo Prodi, la sua corresponsabilità in tante giunte locali, gli apparentamenti e i voti gratuiti offerti al "centro sinistra", l'opposizione di cartone verso il governo D'Alema e la sua politica liberista, affamatrice e interventista, la posizione debole, pacifista e filopapale nei confronti della guerra imperialista alla Serbia.
Non a caso l'emorragia di voti era già iniziata nelle ultime consultazioni amministrative del maggio dell'anno scorso quando ancora il PRC non era uscito dalla maggioranza governativa e Cossutta ne era ancora il presidente.
La verità è che negli anni questo partito è riuscito a dissipare anche quella fetta di elettori ereditata dal PCI e che si erano illusi di trovarsi di fronte a un autentico partito comunista solo perché sbandierava un drappo rosso e continuava ad avere nel simbolo la falce e martello.
Prima o poi i nodi vengono sempre al pettine e i fatti parlano più dei proclami e il gruppo dirigente del PRC sta avendo la lezione che si merita mettendone in dubbio anche il futuro organizzativo.
Non ci soffermeremo sulle tesi fuorvianti e senza alcun fondamento reale di cui è infarcita l'analisi di Bertinotti sulle cause di tale sconfitta che vanno dalla presunta scomparsa della tradizionale divisione in classi e in particolare la scomparsa della classe operaia, alla cosiddetta "americanizzazione" del sistema sociale, politico e istituzionale di cui la crescita astensionista sarebbe una manifestazione.
Nell'immediato ci interessa di più vedere quale risposta ha fornito il gruppo dirigente di Rifondazione a questa disfatta. Ebbene il suo elettorato gli ha chiesto di spostarsi a sinistra e per tutta risposta il PRC si sposta ancora più a destra e apre di nuovo al governo.
E' questo ciò che emerge da un'attenta lettura delle relazioni e degli interventi di Bertinotti e degli atti dei suoi organi dirigenti, dalla Segreteria riunita all'indomani del voto, alla Direzione riunita il 17 giugno, al Consiglio politico nazionale (Cpn) riunito il 3-4 luglio.
In particolare è ciò che emerge dai quattro punti "di riflessione, di mobilitazione e di iniziativa politica" proposti al partito per "uscire da questa situazione". Essi sono stati così sintetizzati da Bertinotti al Cpn: "la definizione dei nuovi termini della questione sociale e gli obiettivi di lotta conseguenti, una riforma del modo di agire del partito, le relazioni con i movimenti e le forze della sinistra alternativa, il confronto con la sinistra moderata e il governo".

UNA PIATTAFORMA RIFORMISTA

Per quanto riguarda il primo punto si tratta, come si legge nel documento conclusivo approvato a maggioranza dal Cpn, della "costruzione di una piattaforma rivendicativa e programmatica, su cui far convergere le forze della sinistra antagonista, sviluppare l'interlocuzione con le forze sociali, realizzare concrete campagne di partito e mobilitazioni di massa, interloquire con la sinistra moderata". In realtà si tratta della elaborazione di una piattaforma ispirata a una politica neo-keynesiana, come l'ha definita Bertinotti, da contrapporre alla politica neoliberista.
Poco cambia che questa volta, rispetto al recente 4• congresso di Rifondazione, Bertinotti voglia che questa politica neo-keynesiana e la relativa piattaforma sia inserita nel "processo di Rifondazione comunista" e nella "innovazione" della prospettiva del socialismo.
Non solo perché questo processo di "rifondazione" atteso ormai da otto anni non è detto che poi vedrà la luce, ma anche perché è evidente che quando si parla di "tornare a ripensare le questioni del socialismo, prospettando un nuovo e diverso modello di società" non ci si riferisce certo al socialismo autentico, al socialismo di Marx, Engels, Lenin, Stalin e Mao, ma a una società da "reinventare" proprio sulla base della negazione della teoria e dell'esperienza della dittatura del proletariato.
La politica neo-keynesiana non può essere considerata una tappa intermedia o una scelta tattica interna alla strategia del socialismo, perché essa nasce in origine come il tentativo delle borghesie monopoliste di far fronte al disastro provocato dalla crisi del '29 e dalla depressione in cui piombarono le economie capitaliste mondiali evitando che altri proletariati seguissero la vittoriosa via dell'Ottobre e viene rilanciata nel presente dai neorevisionisti proprio in contrapposizione e come negazione della strategia rivoluzionaria e della conquista del potere politico da parte del proletariato.
La politica neo-keynesiana non è nemmeno un'alternativa al neoliberismo e alla "globalizzazione" ma una variante liberale di "sinistra". La riprova sta proprio nella volontà del PRC di porre al centro della propria piattaforma i giovani in virtù di una presunta "nuova questione sociale, assai diversa da quella che ha caratterizzato il ciclo precedente". In questo modo il PRC avalla proprio le linee direttrici della politica neoliberista del governo e della confindustria che hanno individuato nella presunta contrapposizione degli interessi generazionali il grimaldello per scardinare gli ormai residui dello "Stato sociale".

IL "FORUM"

Saltiamo il punto che riguarda il partito e la sua organizzazione anche se rimaniamo in attesa delle "grandi innovazioni" che vengono preannunciate e che non ci pare mettano in discussione la natura trotzkista, opportunista, movimentista, anarco-sindacalista e parlamentarista del PRC. Ci interessano di più gli altri due punti in particolare quello che riguarda: "Il rapporto con le varie aree politiche e culturali della sinistra critica e di alternativa e la ricognizione e progettazione dei movimenti" con i quali il PRC intende "stabilire un dialogo non episodico e una rete di relazioni stabili, sulla base di un reciproco riconoscimento politico e della differenza dei percorsi".
La proposta immediata è quella di "un forum nazionale che veda discutere i diversi soggetti (dalle associazioni sociali e culturali, ai giornali, a organizzazioni politiche, a singole persone) sui risultati elettorali e le prospettive politiche, alla luce di un'analisi aggiornata delle grandi trasformazioni nella società capitalista e in funzione della ricerca di un'alternativa", l'obiettivo è quello di realizzare un "primo passo di un cammino per la costruzione di un arcipelago della sinistra di alternativa".
A noi pare l'ennesimo tentativo da parte dei neorevisionisti e dei trotzkisti di recuperare gli antagonisti e gli astensionisti e di integrarli nel sistema capitalistico. è la stessa operazione, seppur con sfumature, baricentri e soluzioni organizzative diverse, tentata recentemente da Luigi Pintor con la sua proposta di dar vita a una sorta di "federazione" fra le forze anti-D'Alema, o con l'"asinello rosso" proposto da Lucio Magri. è tipico dei trotzkisti e degli opportunisti compiere operazioni diversive e fuorvianti nel momento che la sinistra sociale sfugge al controllo del sistema capitalistico, delle sue istituzioni e dei suoi partiti e potenzialmente potrebbe collocarsi su un terreno proletario rivoluzionario incontrandosi con l'autentico partito marxista-leninista. Proponendo invece soluzioni organizzative diverse da quelle precedenti, sfinendo le forze anticapitaliste in un processo senza fine di "ripensamenti", di studio delle "nuove" situazioni, nella ricerca di "nuovi soggetti", di "nuove soluzioni", e così via, si ritarda la loro presa di coscienza rivoluzionaria, se ne fiacca la volontà e lo spirito di lotta, si impedisce o almeno si ritarda ancora il loro incontro con l'autentico Partito proletario rivoluzionario.

APERTURA AL GOVERNO

Del resto questo "arcipelago della sinistra di alternativa" che si vuole costruire è tutt'altro che alternativo al governo e al sistema capitalistico. Entra qui in gioco infatti il quarto punto. Si legge nel documento finale approvato dal Cpn: "All'interno di un confronto con tutte le forze del centro sinistra, va avviata l'interlocuzione con la sinistra di governo su una crisi che è anche sua. Nonostante le difficoltà poste dalle attuali posizioni dei DS e la distanza politica tra le due sinistre, il quadro europeo e il voto chiedono uno sforzo di confronto che parta dalla constatazione della crisi di consenso che in tanta parte di Europa e in Italia ha investito il centro sinistra e la sinistra. Non si tratta di pensare alla ricostruzione nel breve periodo, di alleanze organiche, ma di riaprire un confronto".
Non è bastata l'esperienza del governo Prodi e ancor più del governo D'Alema, il fatto che quest'ultimo abbia fatto compiere un salto di qualità alla politica governativa neoliberista e interventista dell'Italia, il reiterato attacco alle pensioni, alla sanità e allo "Stato sociale", il recente Dpef e nemmeno la batosta elettorale per spingere Rifondazione a recidere il cordone ombelicale che la lega ai DS e al "centro sinistra" che continua in ogni modo ad accreditare agli occhi delle masse.
E' vero che nel "breve" periodo non è prevista un'alleanza organica col "centro sinistra", ma è anche vero che Bertinotti ha precisato che "nei tempi medi è possibile pensare a esperienze di governo di alternativa". Intanto ha già cominciato a rendere concreta la sua apertura al governo offrendo gratuitamente i suoi voti al "centro sinistra" nei ballottaggi del 27 giugno come è avvenuto a Bologna e rendendosi pienamente disponibile ad alleanze organiche in vista delle elezioni regionali del 2000.
Ecco a che obiettivo è finalizzato il tentativo di recupero dell'astensionismo e del rapporto con gli antigovernativi e anticapitalisti sfuggiti al proprio controllo. Recuperare a sinistra per andare a destra. Imbrigliare la sinistra sociale per offrirla come agnello sacrificale a un ritorno di Rifondazione nel gioco governativo.

IL DOVERE DEGLI ANTICAPITALISTI

Non è così che possono e devono spendere le proprie energie gli autentici antigovernativi e anticapitalisti del nostro Paese, e ci riferiamo sia a quelli che hanno scelto di astenersi in questa tornata elettorale, sia a quelli che ancora sono legati elettoralmente e organizzativamente a Rifondazione.
Occorre tenere ben a mente che l'unica e vera alternativa al capitalismo e ai suoi governi è il socialismo, che l'unica strategia possibile per condurre una seria e conseguente lotta contro il capitalismo e difendere i propri interessi immediati è quella della lotta per realizzare l'Italia unita, rossa e socialista.
Vi è un solo modo per capire se un partito è o non è proletario, è o non è comunista, è o non è rivoluzionario, basta osservare se pone come questione centrale del suo programma politico la conquista del potere politico da parte del proletariato.
Il socialismo non è una mèta irraggiungibile purché lo si voglia davvero, purché si impugnino gli strumenti necessari e si percorra la strada maestra e già tracciata vittoriosamente dai grandi maestri del proletariato.
Una grande impresa che passa innanzitutto dalla presa di coscienza da parte degli elementi più avanzati, dei rivoluzionari, degli anticapitalisti autentici comunque organizzati della necessità di un grande, forte e radicato Partito marxista-leninista per risvegliare la classe operaia, far acquisire di nuovo ad essa la coscienza di essere una classe per sé e non solo in sé e riportarla alla testa della lotta antimperialista e anticapitalista.
Non si può perdere altro tempo. Chi oggi ha compreso la reale natura di copertura a "sinistra" del sistema capitalistico e del governo dei vari Cossutta, Bertinotti, Ferrando e Maitan rischia di rendersi corresponsabile dei loro imbrogli se non li denuncia apertamente e se non unisce le sue forze all'autentico Partito del proletariato, della riscossa e della vittoria.
E' ora di dare al PMLI la forza materiale per sprigionare tutta la sua grande carica proletaria e rivoluzionaria e metterlo così in grado di rimettere in moto la lotta di classe in Italia.