Il PRC si spacca sulle candidature europee
17 con Bertinotti 14 contro. Agnoletto sarà candidato dei falsi comunisti
Bertinotti piglia tutto sulla formazione delle liste per le elezioni europee e spacca in due il PRC: questo il risultato finale della Direzione nazionale del PRC del 23 marzo, riunitasi per decidere le candidature alla consultazione del 12 e 13 giugno, che ha visto l'approvazione dei quattro candidati capilista proposti dalla maggioranza con 17 voti a favore e 14 contrari, quasi una spaccatura a metà.
I quattro capilista, i soli che in base ai numeri attuali hanno la certezza di essere eletti al parlamento europeo, sono il segretario Fausto Bertinotti (che si presenterà in tutte le circoscrizioni), l'esponente no-global Vittorio Agnoletto (come candidato indipendente per il Nord-Ovest e per il Sud), Luisa Morgantini (candidato indipendente uscente, per il Centro) e Roberto Musacchio, responsabile per le politiche ambientali, testa di serie per il Nord-Est.
A votare contro la rosa dei capilista proposta dalla maggioranza, con la motivazione che essa non rispecchierebbe le diverse anime del partito, sono state le tre componenti interne che fanno riferimento rispettivamente alla rivista "L'Ernesto", capeggiata da Claudio Grassi, alla cosiddetta "IV internazionale", capeggiata da Maitan, e a "Progetto comunista", guidata da Ferrando. La geografia interna del vertice del PRC, quella uscita dall'ultimo congresso del 2002 che aveva riconfermato Bertinotti alla testa di una salda alleanza con Grassi e Maitan e l'emarginazione della "sinistra" interna di Ferrando, ne risulta quindi completamente ridisegnata. Adesso è Bertinotti che si trova isolato senza i suoi tradizionali alleati, sia pure disponendo ancora della maggioranza dei voti.
Claudio Grassi, la cui componente "L'Ernesto" dispone di 10 membri in Direzione e rappresenta da sola il 30 per cento degli iscritti, ha motivato la decisione di sfilarsi dalla maggioranza perché quella presentata "non è una proposta che tiene conto delle pluralità politiche presenti nel partito". Lo stesso concetto ribadito anche da Ferrando, che accusa la maggioranza bertinottiana di aver "sacrificato il pluralismo interno", e dalla trotzkista quartinternazionalista Flavia D'Angeli ("il pluralismo non può andare in una sola direzione").

Lite sulle poltrone
C'è da dire però che non sembra trattarsi di un dissenso politico rispetto alla linea politica e strategica impressa da Bertinotti al partito della rifondazione trotzkista, quanto di una più classica e prosaica lite sulle poltrone. Tant'è vero che l'insieme delle liste è stato votato con una maggioranza ben più ampia e senza spaccature, con 23 voti a favore e solo 3 contrari e 4 astenuti. Liste che pure sono zeppe di personaggi cosiddetti "indipendenti" che poco o nulla hanno a che vedere con il "comunismo" ma piuttosto col pacifismo, la non-violenza, il volontariato, ecc., come ad esempio la "teologa del dissenso" Adriana Zarri, l'esponente di "Medicina democratica" Marco Caldiroli, gli ex DC Lidia Menapace e Raniero La Valle, e così via. Quindi non è un problema di "identità" politica del partito. Sono le 4 teste di serie, quelle sicure di essere elette, tutte espresse dalla maggioranza bertinottiana o addirittura esterne al partito, ad essere contestate dalle altre componenti interne rimaste a bocca asciutta. Quanto alla linea del segretario non è che sia cambiata rispetto all'ultimo congresso, semmai è andata ulteriormente avanti sugli stessi binari che anche i grassiani e i trotzkisti quartinternazionalisti avevano contribuito a far affermare.
Dunque, una guerra interna sulle poltrone, più che altro. Ciò non toglie però che nel partito della rifondazione trotzkista un problema di identità politica, anzi di vera e propria sopravvivenza, ci sia eccome. Bertinotti, ormai lanciato a testa bassa verso il pacifismo cattolico e la non-violenza gandhiana, punta sempre più scopertamente alla leadership della formazione Sinistra europea, il cui congresso fondativo è previsto per maggio, e a livello interno a stringere l'accordo con la Lista Prodi per qualche poltrona nell'eventuale prossimo governo di "centro-sinistra". A questa strategia l'imbroglione trotzkista è disposto a sacrificare fino in fondo ciò che resta del suo partito prima di scioglierlo come un arnese ormai inutile.
L'imposizione dei capilista da lui voluti risponde a questa logica. La scelta di Agnoletto quale esponente pacifista e no-global, quella della pacifista Morgantini, fautrice del dialogo tra israeliani e palestinesi, e quella dell'ambientalista Musacchio, mirano infatti a stabilire un raccordo con i movimenti sui temi sensibili del pacifismo, della non-violenza, dell'ambiente, ecc. per ottenere i loro voti, mettendo nel contempo a tacere il dissenso nel partito sulla linea sempre più apertamente anticomunista, interclassista, pacifista e riformista del segretario.

Un congresso di liquidazione?
Il prossimo congresso anticipato del PRC, che forse si terrà a novembre, potrebbe quindi essere il congresso della liquidazione definitiva di questo partito, almeno nella sua forma attuale e forse con il suo scioglimento nella nuova formazione europea di cui Bertinotti ambisce ad essere il leader, previa la resa dei conti tra i bertinottiani e quanti non intendono accettare la nuova linea europeista, ulivista e gandhiana del segretario. Non a caso, in margine ai lavori della Direzione, è circolata la voce, diffusa da una rubrica radiofonica, di un cambiamento del simbolo del partito con la sparizione della falce e martello, subito smentita dalla segreteria nazionale dopo le proteste levatesi immediatamente nella base. Un "ballon d'essai" per saggiare le reazioni dei militanti di Rifondazione a una decisione prima o poi obbligata per il vertice bertinottiano se vuole andare fino in fondo sulla strada intrapresa?
Molto significativa, in questo contesto, anche la prima riunione nazionale degli autoconvocati del PRC, che si è tenuta a Roma all'indomani della grande manifestazione antimperialista del 20 marzo, con la partecipazione di iscritti di Roma e del Lazio e di Milano, Parma e Napoli. Sono state messe in rilievo la "difficoltà" e anche la "pericolosità" del momento che Rifondazione sta attraversando, in riferimento soprattutto a tre elementi che gli autoconvocati non accettano: "assolutizzazione della nonviolenza e revisione liquidatoria del Novecento, indifferenza verso la necessaria democrazia interna e accreditamento presso i salotti buoni del centrosinistra"; elementi che per gli autoconvocati del PRC sono "inscindibili" tra loro, "per cui la critica deve dispiegarsi sul complesso della svolta di Bertinotti e del gruppo dirigente".
Qualcuno ha messo in rilievo che "quello proposto da Bertinotti non è un cambiamento di linea, ma lo svuotamento del partito, fino alla cancellazione di ogni riferimento al socialismo. La nonviolenza serve per essere accettati da borghesia, Confindustria e imperialismo come elementi atti a governare". Qualcun altro ha auspicato che quello che ci sarà probabilmente a novembre "sia il congresso del PRC, non quello della sezione italiana di un altro partito che si chiama Sinistra europea". Altri ancora hanno sostenuto la necessità di adottare un documento alternativo alla linea della maggioranza, "perchè si vuole liquidare il partito, quindi la necessità che abbiamo è quella di liquidare il gruppo dirigente attuale del PRC".
Sono tutti segnali evidenti questi - sia la spaccatura di vertice sulle candidature, sia i fermenti alla base contro la deriva di destra impressa al PRC da Bertinotti - dello sfascio politico e organizzativo che ormai attanaglia il partito della rifondazione trotzkista, e dal quale i sinceri comunisti potranno uscire positivamente solo separandosi prima possibile dai falsi comunisti e orientandosi verso il marxismo-leninismo-pensiero di Mao e il PMLI.

14 aprile 2004