Il decreto del governo non risolve "il precariato di Stato"
Assunzioni, ma solo per pochi
Esclusi interinali e co.co.co. Per la maggioranza dei precari si prospetta la disoccupazione

Tanta enfasi ingiustificata quella che ci ha propinato il presidente del Consiglio sul "pacchetto pubblico impiego" varato dal governo il 26 agosto. Enrico Letta, i suoi ministri e quasi tutti i mass-media lo hanno pomposamente definito il "provvedimento di stabilizzazione dei precari". Ma chi ha creduto di trovarsi di fronte all'assunzione definitiva delle migliaia di precari impiegati nella Pubblica amministrazione (PA) deve immediatamente ricredersi. Le previsioni più ottimistiche, tutte da dimostrare, fatte da alcuni sindacati e organi istituzionali parlano di 35.000/45.000 occupazioni stabili a fronte di oltre 150.000 lavoratori precari della PA, senza contare che nella scuola ce ne sono quasi 200.000 e sono esclusi da questo provvedimento.
Quindi un lavoratore su 4 avrà il posto fisso? Non è vero neanche questo perché sono richiesti particolari requisiti e le maglie per le assunzioni sono molto strette. Anzitutto bisogna essere stati assunti per almeno 3 degli ultimi 5 anni con un contratto a tempo determinato e quindi sono esclusi tutti quelli assunti a contratto di collaborazione coordinata e continuativa (co.co.co.), gli esternalizzati, gli interinali e altre figure come le partite IVA e le finte borse di studio, oltre a chi ha avuto contratti misti. Inoltre per i tre anni del provvedimento è previsto un tunr over (ovvero la percentuale di assunti rispetto alle uscite) del 20% il primo, del 50% il secondo e solo il terzo anno del 100%. Considerando che le risorse destinate dal governo per i nuovi contratti sono solo il 50% della cifra che si libererà dalle cessazioni, o si trovano nuove risorse o le percentuali delle assunzioni vanno ulteriormente dimezzate.
Ma ci sono anche il Patto di Stabilità e i famigerati tagli della spesa pubblica. Nella sanità e negli enti locali il blocco della spesa e la restrizione delle assunzioni si intrecciano con questo decreto rendendolo ancor più inefficace, e in questi settori sono concentrati la maggior parte dei precari della PA. Alla resa dei conti questo provvedimento strombazzato come la soluzione per eliminare il "precario di stato" riguarderà poche migliaia di unità, pochi fortunati scelti, ha detto Letta, con dei concorsi "altamente selettivi" anche se spesso si parla di lavoratori con almeno 10 anni di esperienza. Probabilmente le uniche assunzioni si avranno nella Sanità, diventata ovunque scadente e inadeguata a causa dei selvaggi tagli, come hanno dovuto in parte ammettere i ministri della PA D'Alia e della sanità Lorenzin.
I sindacati confederali hanno storto il naso e si dicono insoddisfatti ma non sono andati oltre qualche mugugno da parte della Cgil, evidentemente non vogliono mettere in difficoltà il governo già in bilico per i difficili equilibri PD-PDL, nettamente contrari i sindacati di base e in particolare l'USB. Per noi marxisti-leninisti per spazzare via questa giungla di contratti atipici occorre assumere a tempo indeterminato tutti i precari della PA, e per fare questo bisogna sbloccare il turn over e tutti quei vincoli che limitano la spesa pubblica e le assunzioni, comprese le controriforme Treu e Brunetta, come chiedono i lavoratori e i sindacati di base, altrimenti questo provvedimento si rivela una presa in giro buona solo per la propaganda del governo Letta-Berlusconi.
Se permangono questi paletti diventa negativo anche quello che a prima vista potrebbe sembrare un punto a favore dei lavoratori. Quando Enrico Letta dichiara che nella PA, d'ora in avanti il contratto a tempo indeterminato deve essere quello prevalente e le assunzioni con i contratti atipici devono essere limitate alle reali necessità non pone la "soluzione strutturale del problema del precariato" bensì apre la porta ai licenziamenti di massa. Perché nel concreto si avranno poche assunzioni mentre l'esercito dei precari sarà senza speranza e gettato sul lastrico. Dopo l'ulteriore blocco degli stipendi pubblici che si protrae dal 2009, il governo Letta-Berlusconi ci voleva far credere che c'è un'inversione di rotta verso i lavoratori pubblici, che invece sono i primi a pagare ogni volta che vengono eliminati o ridotti i servizi sociali e pubblici di cui dovrebbero beneficiare le masse.

4 settembre 2013